Il fondo patrimoniale salva il fisco

attenzione, aver costituito un fondo patrimoniale non salvaguarda automaticamente gli immobili dall’esecuzione esattoriale!

Con sentenza n. 437 del 20 dicembre 2010 (ud. del 12 novembre 2010) la C.T.P. di Milano, Sez. XXI – ha affermato che il divieto di esecuzione sui beni costituiti in un patrimonio di destinazione ai bisogni della famiglia, secondo la disciplina del fondo patrimoniale, ex art. 162 e ss. c.c., osta all’aggressione ed all’adozione di misure cautelari nei confronti dei beni medesimi.

Il processo

Con ricorso depositato il 23 luglio 2009, il ricorrente chiedeva l’annullamento per illegittimità dell’iscrizione ipotecaria di cui sopra, emessa ai sensi dell’art. 77 del D.P.R. 602/73.

A tal fine proponeva ricorso esclusivamente contro il concessionario della riscossione Equitalia Esatri S.p.a.

Nello specifico, l’ipoteca riguardava un appartamento di categoria A/3, classe 2 e un box di categoria C/6, classe 7.

In particolare, tale iscrizione ipotecaria veniva emessa a seguito del mancato pagamento del debito tributario di Euro 60.041,48, scaduto il 25 aprile 2009.

Il carico tributario in questione riguardava il mancato pagamento di diverse cartelle esattoriali relative ad omessi (o presunti tali) pagamenti di una pluralità di imposte e sanzioni.

Il ricorrente, nel proprio ricorso, eccepiva l’impossibilità d’iscrizione d’ipoteca su tali beni in quanto destinati al fondo patrimoniale, costituito nel 2007.

Lo stesso evidenziava che la costituzione del fondo veniva trascritta in data 31 gennaio 2007 presso l’Ufficio Provinciale del Territorio di Milano, ed annotata a margine dell’atto di matrimonio.

Il ricorrente asseriva altresì che tali beni, assoggettati al fondo patrimoniale di cui sopra ai sensi dell’art. 170 c.c., non erano ipotecabili in quanto il fondo in questione, ex lege, non permetteva ai creditori dell’attività imprenditoriale di uno dei coniugi di “attaccare” i beni assoggettati al fondo stesso.

Chiedeva, infine, di dichiarare l’illegittimità e/o l’inefficacia dell’atto impugnato.

La sentenza meneghina

Prima di entrare in medias res della problematica, il Collegio identifica ed analizza l’istituto del “Fondo patrimoniale” di cui all’art. 167 e ss. del codice civile.

I giudici meneghini precisano, innanzitutto, che “detto istituto vuole rappresentare ancora il sistema per garantire un substrato patrimoniale alla famiglia, anche se non costituisce un regime patrimoniale della stessa, alternativo a quello di comunione legale e di separazione dei beni, ma soltanto un vincolo su determinati beni che si innesta su un regime base. Riprendendo la definizione del codice civile, il fondo patrimoniale lo si può catalogare come un complesso di beni determinati, assoggettati a una speciale disciplina di amministrazione e a limiti di alienabilità ed espropriabilità da parte dei creditori, per tutto il resto non derogando il loro regolamento alle norme di materia di diritti reali e di obbligazione”.

Può essere definito come “patrimonio di destinazione” al soddisfacimento dei bisogni familiari, “privo di soggettività autonoma, tant’è che i beni che fanno parte del fondo stesso, costituiscono un patrimonio separato, addirittura non compresi nel fallimento, anche se appartengono al fallito, salva l’esperibilità dell’azione revocatoria fallimentare. La sua pubblicità, con effetto di opponibilità ai terzi, è riservata all’annotazione a margine dell’atto di matrimonio”.

Chi costituisce il fondo, si riserva la proprietà dei beni, sui quali i coniugi avranno pertanto uno speciale diritto di godimento, assimilabile all’usufrutto ma senza le limitazioni concernenti la percezione dei frutti.

L’acquisto dei beni avviene pro quota in capo ai coniugi, titolari dei beni.

Il vincolo di destinazione dei frutti ai bisogni della famiglia ha solo un rilievo obbligatorio interno tra i coniugi e non incide sull’efficacia dell’atto di disposizione verso terzi.

Sui bisogni della famiglia deve essere fatto riferimento al “menage domestico – familiare“, secondo le condizioni economiche e sociali della famiglia.

Nello specifico, a giudizio del Consesso, “l’iscrizione di ipoteca sui beni del fondo patrimoniale non può aver luogo in quanto il debito tributario (come quello qui in contestazione) non deriva da un contratto vero e proprio, stipulato fra le parti, poiché il reale debito d’imposta, come quello qui in esame, non è causato, come sopra detto, da un negozio giuridico tradizionale, stipulato fra le parti. Pertanto il divieto di esecuzione, in senso ampio, di cui all’art. 170 c.c. si riferisce anche ai debiti estranei ai bisogni della famiglia, come può essere il debito di natura tributaria, sorto prima della costituzione del fondo patrimoniale, salva l’esperibilità dell’azione revocatoria fallimentare”.

Le conclusioni a cui arriva il Collegio giudicante sono quelle che “il fondo patrimoniale non risponde in alcun modo al debito fiscale in capo ad uno dei coniugi per la propria attività o professione”.

Va da sé che l’aggredibilità dei beni e dei frutti del fondo patrimoniale è segnata dall’oggettiva destinazione dei debiti assunti alle esigenze familiari e, quindi, il criterio identificativo va ricercato non nella natura dell’obbligazione, ma nella relazione esistente fra il fatto generatore di esse e i bisogni della famiglia.

A giudizio del Consesso giudicante, non sono valide le ragioni di difesa avanzate da Equitalia Esatri, la quale ribadisce che l’iscrizione di ipoteca su beni facenti parte del fondo patrimoniale é “un’azione tipicamente cautelare” e non funzione all’espropriazione forzata, vera e propria.

Infatti, fra gli altri aspetti, nel D.P.R. 602/73, l’art. 77 riportante il titolo “Iscrizione di ipoteca” è inserito nella Sezione IV di detto decreto presidenziale, intitolato “Disposizioni particolari in materia di espropriazione immobiliare“.

L’allocazione di tale istituto in un contesto di norme che riguardano quello dell’espropriazione immobiliare, fa venir meno il concetto, come sostenuto dall’ente, che l’ipoteca iscritta faccia parte di un’azione tipicamente cautelare e avente funzione di creare titolo di “prelazione“.

Inoltre, alla data dell’iscrizione del ruolo sussisteva già il fondo patrimoniale.

Circa tale punto, va sottolineato il fatto che il fondo patrimoniale veniva costituito fra i coniugi il 23 gennaio 2007 e che il mancato pagamento del carico fiscale era scaduto al 25 aprile 2009, per complessivi Euro 60.041,48. Come ben si vede la scadenza del debito fiscale era successiva alla data di costituzione del fondo patrimoniale stesso”.

Brevi considerazioni

La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha introdotto, nell’ordinamento legislativo italiano, il fondo patrimoniale e regolamentato negli artt. 167 e seguenti del codice civile.

Il fondo patrimoniale è, quindi, quel complesso di beni destinati a garantire e soddisfare le obbligazioni contratte per le necessità ed i bisogni della famiglia, senza che per questo diventi un autonomo soggetto giuridico, titolare diretto degli obblighi e dei diritti stabiliti dalla legge.

Il fondo patrimoniale si struttura, quindi, con il vincolo di destinazione apposto su determinati beni o sui diritti a questi connessi, in forza del quale gli stessi formano un “patrimonio di destinazione” i cui frutti sono diretti al soddisfacimento delle obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia.

Giammai il fondo patrimoniale diventa proprietario dei beni, poiché la proprietà spetta ai coniugi ovvero al solo coniuge che lo ha costituito, riservandosi l’esclusiva proprietà dei beni ivi inclusi.

Ai fini dell’esecuzione forzata sui beni e sui frutti del fondo patrimoniale, l‘art. 170 del codice civile pone precisi limiti all’esercizio di questa azione, in forza dei quali il creditore non può richiedere l’esecuzione forzata quando:

– il debito sia stato contratto per bisogni estranei alla famiglia;

– il creditore stesso sia stato a conoscenza dell’estraneità dell’obbligazione ai bisogni familiari.

Tuttavia, come rilevato in dottrina(1), “il fondo patrimoniale, costituito da un vincolo posto su un complesso di beni determinati al fine di garantire il mantenimento, l’assistenza e il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, è stato spesso utilizzato all’unico scopo di resistere fraudolentemente all’azione dei creditori – Fisco compreso – piuttosto che come strumento di ‘protezione’ della famiglia”.

Se il fondo patrimoniale dovrebbe servire, quindi, a proteggere il complesso di beni, in esso confluiti, da aggressioni dei creditori, e ciò affinché i frutti prodotti da tali beni possano comunque garantire il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, nel corso degli anni, “tuttavia, proprio a causa del divieto di esecuzione, tale scopo originario dell’istituto è stato travisato, o meglio, utilizzato per altri fini: in primis, il tentativo di sottrarsi, con frode, all’azione dei creditori, e, in particolar modo, alla riscossione delle imposte evase”(2), prestandosi facilmente anche ad operazioni di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte evase.

Situazione esaminata dalla Suprema Corte nella sentenza n. 38925/2009: il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, previsto e punito dall’art. 11, D.Lgs. n. 74/2000, ha natura di reato di pericolo. Conseguentemente, la fattispecie criminosa è perfezionata al verificarsi di atti simulati o fraudolenti idonei a rendere, in tutto od in parte, inefficace la riscossione coattiva dei tributi. La stipulazione di atti, ivi compresa la costituzione di un fondo patrimoniale privo di giustificazione, nella prossimità temporale della notificazione di avvisi di accertamento o di atti impositivi deve ritenersi chiaramente sospetta, né l’utilizzo del prezzo per l’estinzione di debiti pregressi è circostanza sufficiente ad escludere la simulazione. Preliminarmente, osserva la Corte, “non è necessario che sussista una procedura di riscossione in atto … essendo sufficiente l’idoneità dell’atto simulato o ritenuto fraudolento a rendere in tutto o in parte inefficace una procedura di riscossione coattiva da parte dello Stato. Ciò premesso, “si rileva che gli atti posti in essere dagli indagati erano indubbiamente idonei a diminuire le garanzie patrimoniali del Fisco. La loro stipulazione è chiaramente sospetta sia perchè effettuata in coincidenza con i primi accertamenti o comunque con le prime verifiche da parte della polizia tributaria, sia perchè l’alienazione è stata effettuata in favore di persone vicine alla famiglia dei ricorrenti e prive di garanzie adeguate a garantire il pagamento del residuo prezzo stabilito nel contratto”. La sentenza poi si concentra sulla costituzione di un fondo patrimoniale, avente ad oggetto tutti i beni mobili ed immobili della società: per la Corte “era indubbiamente atto idoneo a limitare le ragioni del fisco, come già statuito da questa corte con la sentenza n. 5824 del 2008, tanto più che non sono state indicate le ragioni della costituzione del fondo patrimoniale. Con tale fondo alcuni beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri vengono destinati a soddisfare i bisogni della famiglia e quindi sono parzialmente sottratti all’espropriabilità. Invero, a norma dell’art. 170 c.c., l’esecuzione sui beni del fondo o sui frutti non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei alla famiglia il credito fiscale non ha alcuna attinenza con i bisogni della famiglia ma sorge automaticamente quando si verificano i presupposti che determinano la nascita dell’obbligazione tributaria”. Per i giudici di Cassazione, anche in ordine all’alienazione sussistono allo stato validi elementi che inducono a ritenerla simulata o quanto meno fraudolenta.

Nella fattispecie meneghina è vero che il fondo patrimoniale veniva costituito il 23 gennaio 2007 e che il mancato pagamento del carico fiscale era scaduto al 25 aprile 2009, e che quindi la scadenza del debito fiscale era successiva alla data di costituzione del fondo patrimoniale stesso; ma ciò che occorreva sapere era anche quando era stato iscritto a ruolo il carico tributario, che poteva anche essere antecedente alla data di costituzione del fondo.

NOTA

1) Cfr. BORGOGLIO, Cass. sent. n. 38925 del 7 ottobre 2009 – Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e fondo patrimoniale, in “il fisco” n. 39/2009, pag. 6529.

2) Cfr. BORGOGLIO, Cass. sent. n. 38925 del 7 ottobre 2009 – Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e fondo patrimoniale, in “il fisco” n. 39/2009, pag. 6529.

13 gennaio 2011

Francesco Buetto