I finanziamenti del titolare vanno provati

per difendersi da un accertamento basato su verifiche di conto bancario, non basta giustificare gli importi come “finanziamento del titolare”, tali importi vanno anche documentati

Sono interessanti le conclusioni cui giunge la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26260 del 29 dicembre 2010 (ud. del 12 ottobre 2010). Ripercorriamo lo svolgimento del processo ed analizziamo il contenuto della sentenza emessa.

Il processo

Con sentenza depositata in data 25.11.2003 n. 51/3/03 la C.T.P. di Sondrio accoglieva il ricorso proposto da un contribuente avverso l’avviso di rettifica emesso dall’Agenzia delle Entrate di Morbegno e riguardante l’IVA relativa all’esercizio 1997 per un importo di L. 169.788.000 a fronte di quello dichiarato di L. 34.789.000.

Rilevava, quanto alle somme iscritte in contabilità come “finanziamenti del titolare“, che non vi fossero elementi di “incompletezza, falsità o inesattezze” che avrebbero consentito all’ufficio di emettere un atto di accertamento di tipo induttivo.

L’ufficio appellava detta sentenza e la C.T.R. di Milano con sentenza n. 74/38/05 depositata in data 12.5.2005 accoglieva il gravame, condannando l’appellata al pagamento delle spese processuali.

Dopo aver rigettato l’eccezione sollevata dalla contribuente in ordine alla pretesa mancanza di specificità dei motivi d’appello in violazione dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546 del 1992, laddove si sostiene che i primi giudici sarebbero incorsi in un errore interpretativo dell’art.54 del D.P.R. n. 633 del 1972, la C.T.R., in riforma della decisione di primo grado, dichiarava la legittimità e la fondatezza dell’avviso di rettifica, assumendo che si verteva effettivamente in ipotesi di contabilità formalmente regolare ma che essa non era attendibile in quanto il contribuente non aveva dimostrato, come avrebbe dovuto, che i movimenti bancari riscontrati e giustificati come “finanziamenti del titolare“, non si riferissero, nonostante l’entità degli importi, all’attività svolta. Ha richiamato quindi al riguardo il D.P.R. n. 633 del 1972 – artt. 51 e 54 -, che consentono in tal caso all’Ufficio di applicare la presunzione di attribuzione dei movimenti bancari all’attività aziendale.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente.

La sentenza

Gli esposti motivi di ricorso, esaminati congiuntamente dalla Corte, sono stati ritenuti infondati.

Per la Corte, la situazione descritta nella sentenza impugnata e le conseguenze di ordine fiscale che ne sono state tratte si inquadrano in un contesto ben più semplice rispetto a quello evidenziato con le varie censure prospettate in ricorso.

La C.T.R. infatti ha dato atto che, non avendo la ricorrente giustificato, in considerazione del loro ammontare, la provenienza delle somme risultanti dalla documentazione contabile e versate a titolo di Finanziamento del titolare sui c.ti/c.ti aziendali, correttamente è stato fatto ricorso, in presenza di una contabilità formalmente regolare ma inattendibile, all’accertamento analitico sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti ed ha ritenuto così, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, che tali movimenti bancari ineriscono strettamente alla attività aziendale qualificando gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi. Tutto ciò in mancanza, ripetesi, di una prova liberatoria, il cui onere incombeva alla contribuente, volta ad evidenziare che la titolare avesse tenuto conto di detti movimenti nella dichiarazione ovvero che gli stessi non ai riferissero ad operazioni imponibili. Del tutto disancorato dalla realtà processuale è quindi il riferimento all’accertamento induttivo con cui, ad avviso della ricorrente, avrebbe proceduto l’Ufficio il quale, oltre tutto, non avrebbe avuto interesse a servirsene in presenza delle condizioni che giustificavano il ricorso a quello analitico”.

Brevi considerazioni

Con chiarezza e semplicità la Corte di Cassazione, innanzitutto, opera un distinguo tra accertamento induttivo (art. 39, c. 2, del DPR n.600/73) e accertamento analitico (art. 39, c. 1, lett. d DPR n.600/73).

Le due fattispecie, infatti sono assai diverse. Basta, infatti, ricordare le norme di riferimento per accorgersi che i presupposti sono sostanzialmente diversi.

Come è noto, l’ufficio, ai sensi dell’art. 39, c. 2, del D.P.R. n.600/73, può determinare il reddito d’impresa e il reddito di lavoro autonomo derivante dall’esercizio di arti e professioni, in deroga alle disposizioni previste dal comma 1, del citato art. 39, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, in suo possesso, prescindendo in tutto o in parte dalle scritture contabili, e con facoltà di avvalersi di presunzioni semplici anche se non gravi, precise e concordanti, nelle seguenti ipotesi:

  • se il reddito d’impresa non è stato indicato nella dichiarazione;

  • se dal verbale d’ispezione risulta che il contribuente non ha tenuto o a ha sottratto all’ispezione una o più scritture che era obbligato a tenere o se le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore;

  • se le irregolarità formali, le omissioni, falsità e inesattezze delle scritture risultanti dal verbale d’ispezione sono così gravi, ripetute e numerose da rendere inattendibili le scritture stesse nel loro complesso.

L’ufficio, inoltre, può ricorrere all’accertamento induttivo anche se il contribuente non ha risposto e non ha ottemperato agli inviti di esibire atti e documenti, compilare questionari o comparire di persona (art. 38 ultimo comma del D.P.R. n. 600/1973, aggiunto dall’art. 25 L 18.2.1999 n. 28).

Diversamente, nel caso di specie, ci troviamo in presenza della classica ipotesi di accertamento analitico, con posta induttiva sui ricavi, ex art. 39, c. 1, lett. d, del citato D.P.R. n. 600/73 (attraverso ragionamenti logico presuntivi, ovvero utilizzando percentuali di ricarico, etc.).

Infatti, il finanziamento c/titolare o il finanziamento soci è la classica voce di bilancio ove confluisce spesso il nero.

Per il regolare funzionamento aziendale il nero rientra in bilancio – attraverso finanziamenti del titolare – per poter procedere all’acquisto pulito di merce.

Ma se il titolare non ha altre attività che determinano redditi questi soldi prestati alla società da dove venivano ?

A questa domanda il contribuente ha fornite risposte vaghe e generiche mentre la Corte ritiene che tali presunzioni – gravi, precise e concordanti – debbano puntualmente essere giustificate dal contribuente.

E’ ormai acclarata la legittimità dell’avviso di accertamento, pure in presenza di una contabilità formalmente regolare (fra le altre, Cass. Sent. n. 21579 del 28 giugno 2005, dep. il 7 novembre 2005). Nel caso di specie, le presunzioni che hanno determinato la decisione della Corte di Cassazione si fondano su fatti certi, analiticamente indicati (il finanziamento del titolare), che evidenziano incongruenze dei dati contabili.

Ogni volta che l’ufficio effettua un ragionamento logico induttivo di buon senso – credibile, per intenderci – le rettifiche superano il vaglio dei giudici.

Ove svolta, l‘indagine creditizia e finanziaria costituisce una attività istruttoria di rilevante peso, poiché la normativa di riferimento opera in modo automatico, non richiedendo ulteriori elementi di riscontro per conferire validità al controllo, consentendo, però, al contribuente – anche attraverso il contraddittorio – di dimostrare l’irrilevanza fiscale delle movimentazioni riscontrate.

Gli elementi – prelevamenti e versamenti – risultanti dall’analisi dei conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza per lo stesso fine.

E’ onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti (Cass. 26 febbraio 2009 n. 4589).

12 gennaio 2011

Roberta De Marchi