Studi di settore: buone notizie per i contribuenti

l’accertamento analitico-presuntivo a carico di una società di persone non può essere motivato con riferimento al redditometro dei singoli soci, né i maggiori ricavi possono essere individuati con riferimento ad una percentuale di ricarico tratta da uno solo degli innumerevoli indici emergenti dagli studi di settore

 

L’accertamento analitico-presuntivo a carico di una società di persone non può essere motivato con riferimento al redditometro dei singoli soci, né i maggiori ricavi possono essere individuati con riferimento ad una percentuale di ricarico tratta da uno solo degli innumerevoli indici emergenti dagli studi di settore.

Sono queste le importanti conclusioni cui è giunta la recente sentenza n. 217 del 9 luglio 2010, depositata il 1° ottobre 2010, della Commissione Tributaria Provinciale di Bari, sez. X (per leggere la sentenza clicca qui), la quale ritorna, accogliendo il ricorso della società, sulla motivazione dell’accertamento analitico-presuntivo motivato sulla base dell’antieconomicità della gestione(1).

 

La vicenda

Risulta essere stato effettuato un accertamento analitico-presuntivo a carico di una società in nome collettivo basato, secondo quanto si può intuire dalla sentenza, sulla base delle seguenti motivazioni(2):

  • antieconomicità della gestione, comprovata dalla insufficienza dei redditi dei singoli soci e dalla circostanza di aver il contribuente dichiarato un ricarico sul costo delle merci vendute inferiore a quello riscontrato nel settore di appartenenza,

  • determinazione presuntiva dei maggiori ricavi non sulla base dei ricavi congrui, ma sulla base di una percentuale di ricarico emergente dallo studio di settore applicabile dalla società.

In pratica, non si trattava di un accertamento da studi di settore, ma di un accertamento basato su una percentuale di ricarico, non determinata materialmente dal confronto fra prezzi di acquisto e prezzi di vendita ma ricavata dalla disciplina degli studi di settore.

 

Insufficienza dei redditi dei soci

In relazione alla prima questione, connessa alla motivazione dell’accertamento con riferimento alla capacità contributiva dei singoli soci, la Commissione rileva che gli accertamenti analitico-presuntivi, come precisato nell’art. 62-sexies del decreto legge n. 331/1993 convertito nella legge n. 417/1993, “possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore”.

Secondo la Commissione, quindi, le gravi incongruenze possono solo essere quelle relative all’attività e non anche quelle relative alla situazione personale e familiare dei soci della società sottoposta ad accertamento.

Conseguentemente, i riferimenti all’accertamento sintetico, propri dell’accertamento a carico delle persone fisiche, “non possono essere utilizzati per procedere all’accertamento analitico-presuntivo della società, ex art. 39, comma 1, lett. d), del DPR 600/1973…. concretizzandosi il loro utilizzo da parte dell’Ufficio in un evidente difetto di motivazione dell’accertamento.

Inoltre, la Commissione rileva anche l’ulteriore circostanza che, ove si volessero considerare i riferimenti al redditometro, in ogni caso l’Ufficio non può “limitarsi ad estrapolare solo alcuni dati ma, come prevede la circolare 9 agosto 2007, n. 49/E, occorre tener conto della situazione dei redditi e degli investimenti della c.d. “famiglia fiscale” in quanto la presunta deficienza di reddito in capo ad una persona ben potrebbe essere bilanciata da redditi conseguiti dagli altri componenti la famiglia o da operazioni di disinvestimento.”

In altri termini, sembra dire la Commissione, il riferimento al redditometro potrebbe essere utilizzato per procedere all’accertamento analitico-presuntivo solo se la relativa applicazione risultasse immune da mancanze, difetti, limitazioni o altro, situazione questa che non sembra essersi verificata nel caso in esame.

Dal punto di vista della difesa del contribuente, quindi, nei casi in cui l’Ufficio faccia riferimento al redditometro, gli elementi da evidenziare sembrano essere i seguenti:

  • i riferimenti alla situazione reddituale della persona fisica non sono sufficienti a motivare l’accertamento analitico-induttivo in quanto per la motivazione di quest’ultimo si deve fare riferimento alle gravi incongruenze desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta (in pratica, non può una motivazione ex art. 38 giustificare un accertamento ex art. 39, primo comma, lett. d), tanto più quando il contribuente è una società),

  • quantunque si possa ritenere ammissibile il riferimento al redditometro, questo deve essere applicato nella sua interezza, tenendo conto di tutti gli elementi che normalmente intervengono della determinazione (famiglia fiscale, disinvestimenti, ecc.).

 

Percentuale di ricarico

Per quanto riguarda, invece, il secondo aspetto, cioè la presunta antieconomicità della gestione rappresentata dall’applicazione di una percentuale di ricarico di un ricarico sul costo delle merci vendute inferiore a quello riscontrato nel settore di appartenenza, la Commissione, dopo aver rilevato che il consolidato orientamento della Cassazione riconosce il potere dell’Ufficio di determinare i maggiori ricavi mediante l’applicazione di un ricarico diverso da quello applicato dal contribuente, evidenzia la necessità che motivare la scelta della percentuale di ricarico concretamente applicata.

Al riguardo, la Commissione richiama la sentenza n. 19136 del 16 giugno 2010 della Corte di Cassazione, sez. trib., secondo cui “le medie di settore non costituiscono un fatto noto, storicamente provato, dal quale argomentare, con giudizio critico, quello ignoto da provare, ma soltanto il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, risultando quindi inidonee, di per sé stesse, ad integrare gli estremi di una prova per presunzioni”.

 

Nel caso in questione, invece, l’Ufficio ha applicato il ricarico, pari al 93%, “riscontrato nel settore di appartenenza” ma che, in realtà, è una percentuale che emerge dall’applicazione dello studio di settore.

Secondo la Commissione, tale percentuale non pare assolutamente giustificata in quanto non risulta affatto “se sono stati esaminati i prezzi di acquisto e di vendita degli articoli venduti; se il ricarico è stato determinato come media semplice o come media ponderata; se il ricarico considera le differenti situazioni esistenti sul territorio del comune, della provincia, della regione; a quale annualità di riferisce quella percentuale di ricarico, ecc.”.

La mancanza di motivazione di quella particolare percentuale di ricarico risulta ancor più evidente ove si abbia riguardo al fatto che “l’Ufficio fa riferimento alla percentuale di ricarico scaturita dallo studio di settore come se quella fosse l’unica percentuale che può emergere dallo studio di settore, dimenticando che lo studio di settore richiamato, come tutti gli altri studi di settore, fanno emergere sempre almeno due valori: uno minimo e uno massimo.

E i due valori minimo e massimo non sono validi per tutti i soggetti che applicano lo studio ma solo per i soggetti che rientrano in un apposito cluster; considerando che lo studio di settore TMO5U, come risulta dalla Nota tecnica dello stesso, distingue ben 36 differenti cluster, è evidente che, per l’Ufficio, era possibile fare riferimento a ben 72 diverse percentuali di ricarico.

L’aver, quindi, individuato specificatamente la percentuale del 93%, senza indicare le ragioni di quella particolare scelta, comporta conseguentemente ulteriore illegittimità dell’avviso per difetto di motivazione.

Peraltro, applicare la percentuale di ricarico che emerge dallo studio di settore, significherebbe – per usare una metafora di uso comune – fare entrare dalla finestra quello che non può entrare dalla porta, cioè lo studio di settore, senza fornire al contribuente tutte le garanzie ordinariamente previste (preventivo invito al contraddittorio, ecc.) in caso di applicazione dello studio di settore, con l’effetto paradossale che alla sola percentuale di ricarico tratta dallo studio di settore viene attribuita la natura di presunzione grave, precisa e concordante, quando è noto che l’intero studio di settore costituisce una presunzione semplice.

In fatti, nel caso in questione, “l’Ufficio non ha proceduto ad accertamento sulla base dei ricavi ritenuti congrui in applicazione dello studio di settore (perché lo studio di settore è una presunzione semplice che avrebbe meritato una diversa applicazione da parte dell’Ufficio), però ha utilizzato (peraltro in modo immotivato) un solo dato delle migliaia che ogni studio di settore produce, attribuendogli addirittura valore di presunzione grave, precisa e concordante”, trattandosi di un accertamento ex art.39, primo comma, lett. d).

In definitiva, la Commissione ha ritenuto che il riferimento alla percentuale di ricarico del 93% “di fatto comporta l’utilizzo di una presunzione semplice che, come tale, non può essere utilizzata in modo indiscriminato o automatico in sede di accertamento in quanto l’Ufficio è pur sempre tenuto ad avvalorare il dato dello studio con ulteriori elementi propri dell’attività.

Tanto più che il riferimento alla percentuale di ricarico non è accompagnata da alcun altro elemento che sia strettamente connesso all’attività esercitata o alla irregolare tenuta delle scritture contabili.”

 

Conclusioni

Come già rilevato nella precedente occasione, anche l’attuale sentenza conferma che è possibile difendersi efficacemente dall’accertamento analitico-presuntivo giustificato con riferimento al redditometro dei soci, soprattutto quando l’applicazione del redditometro non considera tutti gli elementi che normalmente sono considerati negli ordinari accertamenti da redditometro.

Nello stesso tempo, risulta confermato anche il principio secondo cui, in caso di applicazione di una diversa percentuale di ricarico, è sempre l’Ufficio che deve dimostrare la fondatezza del ricarico concretamente applicato.

 

Note

1) La stessa sezione aveva già accolto un similare ricorso proposto da contribuente persona fisica; vedi, dello stesso autore, Studi di settore & redditometro: buone notizie per i contribuenti, in www.https://www.commercialistatelematico.com del 14 novembre 2010.

2) La sentenza esamina anche altre questioni sollevate dalla società ma che devono ritenersi pacificamente definite a favore dell’Amministrazione quali l’inesistenza di un obbligo a carico dell’Ufficio di procedere, prima dell’accertamento, alla verifica della contabilità e l’inesistenza di un obbligo, a carico dell’Ufficio, di instaurare il preventivo contraddittorio per accertamenti non basati sulla determinazione dei ricavi congrui da studio di settore

 

29 dicembre 2010

Vito Dulcamare