Indeducibili le minusvalenze non comunicate alle Entrate

è previsto l’obbligo di comunicare le minusvalenze e le differenze negative di ammontare superiore a 50.000 euro derivanti da operazioni su azioni o altri titoli negoziati in mercati regolamentati, stabilendo, in caso di comunicazione omessa, incompleta od infedele, l’indeducibilità di tali componenti negativi

La recente interrogazione parlamentare (n. 5-03814 del 17 novembre 2010) e la successiva risposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze ci permette di fare un approfondimento su un argomento che è molto attuale: la deducibilità per le imprese delle minusvalenze superiori a 50.000 euro .

Il legislatore con l’articolo 5-quinquies del decreto-legge n. 203 del 2005 ha previsto l’obbligo di comunicare le minusvalenze e le differenze negative di ammontare superiore a 50.000 euro derivanti da operazioni su azioni o altri titoli negoziati in mercati regolamentati, stabilendo, in caso di comunicazione omessa, incompleta od infedele, l’indeducibilità di tali componenti negativi.

Il problema della novità introdotta dal legislatore è che la predetta comunicazione deve essere resa con modalità inusuali; è richiesto, infatti, l’invio di una lettera raccomandata all’Agenzia delle entrate entro 45 giorni dalla data di scadenza della dichiarazione dei redditi. Trattasi come risulta evidente di un adempimento che è del tutto sganciato dalle consuete procedure di rappresentazione dei componenti negativi, che avviene, di regola, mediante le apposite dichiarazioni dei redditi e il problema è che al contribuente può accadere di omettere detta comunicazione, per una semplice dimenticanza anche in buona fede.

Sulla legittimità costituzionale della citata sanzione sono stati sollevati molti dubbi dalla dottrina dominante: nel caso in questione, infatti, si rende indeducibile un componente negativo di reddito altrimenti pienamente deducibile in quanto effettivamente sostenuto, inerente, certo e di competenza, senza che la mancata comunicazione rechi alcun danno all’erario.

Un’altra problematica riguarda il relazione al comma 4 dell’articolo 1 del decreto-legge n. 209 del 2002, laddove l’indeducibilità si riferisce alla mancata comunicazione delle minusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie.

L’interrogazione parlamentare è finalizzata a chiedere al Governo se non ritenga opportuno assumere le necessarie iniziative normative nel senso di prevedere, per la mancata comunicazione delle minusvalenze e delle differenze negative, l’irrogazione, a carico del contribuente inadempiente, delle sanzioni previste dal comma 3-bis dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 471 del 1997, pari al 10 per cento delle minusvalenze e differenze negative non comunicate, con un minimo di 500 ed un massimo di 50.000 euro, e se non ritenga opportuno assumere le necessarie iniziative normative per estendere la sanzione più favorevole anche alle violazioni già contestate, ma per le quali il procedimento non sia già stato definitivamente chiuso.

La risposta all’interrogazione

Nella risposta fornita dal Sottosegretario all’Economia, nella premessa viene evidenziato che, in riferimento al regime sanzionatorio dell’omessa comunicazione delle minusvalenze e delle differenze negative su strumenti finanziari, l’interrogazione parlamentare chiede se non si ritenga opportuno assumere le necessarie iniziative per addivenire alla sostituzione dell’attuale sanzione «impropria» dell’indeducibilità delle minusvalenze (e differenze negative su strumenti finanziari) con la sanzione amministrativa prevista dal comma 3-bis, dell’articolo 8, del decreto 18 dicembre 1997, n. 471, per l’omessa od incompleta indicazione delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con soggetti localizzati in paesi a fiscalità privilegiata (articolo 110, comma 11 del testo unico delle imposte sui redditi).

Come rilevato nell’interrogazione, la vigente disposizione dell’articolo 5-quinquies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248) dispone l’obbligo di comunicare le minusvalenze e le differenze negative di ammontare superiore a 50.000 euro derivanti da operazioni su azioni od altri titoli negoziati in mercato regolamentati. In caso di comunicazione omessa, incompleta od infedele, è prevista l’indeducibilità di tali componenti negativi.

È una fattispecie di cosiddetta sanzione impropria che, in effetti, appare sproporzionata rispetto all’obiettivo da perseguire. Più dettagliatamente, occorre rilevare che l’articolo 8, comma 3-bis, di cui nell’interrogazione si chiede l’applicazione, costituisce una norma sanzionatoria espressamente introdotta per la diversa, fattispecie di mancata o incompleta indicazione delle spese e degli altri componenti negativi, di cui all’articolo 110, comma 11, del TUIR, in sede dichiarativa, cui consegue l’applicazione di «una sanzione amministrativa pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di euro 500 ed un massimo di euro 50.000».

Al riguardo, gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria esprimono dubbi sulla traslabilità della sanzione prevista dal predetto articolo 8 del decreto legislativo n. 471 del 1997, alla fattispecie in esame, posto che il trattamento sanzionatorio, di cui si propone l’applicazione, attiene ad un illecito commesso in sede dichiarativa e, in particolare, all’ipotesi di mancata, separata, indicazione in dichiarazione dei redditi delle spese e degli altri componenti negativi, derivanti da operazioni intercorse con Paesi e territori che non consentono un adeguato scambio di informazioni. Risulterebbe, pertanto, difficilmente applicabile, alla fattispecie di mancata comunicazione delle minusvalenze, la sanzione “pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi”.

Il Ministero dell’Economia rileva, altresì, che già in base ai principi generali in materia di sanzioni amministrative-tributarie, “se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo”. Pertanto, già in applicazione dei richiamati principi, l’eventuale disposizione sanzionatoria di favore troverebbe applicazione alle violazioni già contestate ma per le quali l’accertamento non sia divenuto definitivo.

In altri termini, l’applicazione retroattiva delle nuove disposizioni di favore incontrerebbe il solo limite dei rapporti cosiddetti esauriti, intendendosi per tali quelli per i quali sia intervenuto un giudicato od un atto amministrativo definitivo o, comunque, siano decorsi i termini di prescrizione o decadenza stabiliti dalla legge per l’esercizio dei diritti ad essi relativi.

In proposito, il Ministero fa presente che la problematica segnalata è all’attenzione degli Uffici dell’Amministrazione finanziaria che stanno analizzando le misure più adeguate da adottare, per addivenire a scelte più consone dal punto di vista sanzionatorio.

21 dicembre 2010

Federico Gavioli