Il condono tombale non elimina l’accertamento

attenzione: il condono tombale elimina il debito ma non le spettanze del Fisco e dunque non elimina l’eventuale accertamento

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 18942/2010, evidenzia che, in presenza di condono tombale, l’Amministrazione può accertare l’inesistenza del diritto alla detrazione dell’Iva, basandosi su fatture passive di operazioni inesistenti.

Infatti, si evidenzia, il condono tombale, elimina il debito ma non le spettanze del Fisco e dunque non elimina l’eventuale accertamento.

Il fatto oggetto della sentenza in commento, parte dalla compensazione dell’Iva di gruppo tra società controllanti e controllate.

La società controllante compensava nella dichiarazione Iva per l’anno 2000 con l’imposta a debito il credito maturato dalla società controllata, definendo così un’eccedenza a credito.

L’importo così compensato era contestato dall’ente impositore, il quale sottolineava che credito maturato della società controllata proveniva da fatture passive relative a operazioni inesistenti.

L’avviso di accertamento così creato, era impugnato dalla società che sottolineava l’inammissibilità dell’accertamento dell’Ufficio a seguito e per effetto del condono tombale, ex articolo 9 della legge 289/2002.

La Commissione tributaria provinciale respingeva il ricorso,

La Commissione tributaria regionale, riformava la sentenza della Commissione provinciale accettando la tesi del contribuente: per il credito non era stato richiesto rimborso, ma lo stesso veniva utilizzato in compensazione, portando ciò l’impossibilità, per l’ufficio, di rettificare la dichiarazione definita secondo la legge 289/2002.

Secondo i giudici d’appello, l’operazione è legittima basandosi, anche sulla precisazione che la Corte costituzionale, con ordinanza 340/2005, precisava che il controllo dell’Amministrazione sui crediti Iva in presenza di condono è limitato alle richieste di rimborso.

Nel caso in specie si trattava di compensazione, e quindi sussisteva la preclusione di ogni accertamento tributario nei confronti di chi ha prodotto la dichiarazione integrativa e dei soggetti coobbligati, “senza alcuna modifica dell’importo degli eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni presentate ai fini delle diverse imposte“.

L’Amministrazione finanziaria impugna la sentenza in Cassazione.

L’Amministrazione deduce violazione di legge e chiede alla Corte suprema se, in concomitanza al “condono tombale”, l’Amministrazione finanziaria possa accertare l’inesistenza del diritto alla detrazione dell’Iva su fatture passive relative a operazioni inesistenti con il conseguente disconoscimento del diritto al rimborso, se possa negare il diritto al riporto dell’eccedenza di credito nell’esercizio successivo e se possa riprendere a tassazione l’imposta non versata per effetto della detrazione.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso dell’Amministrazione sottolineando che l’articolo 9, comma 9, legge 289/2002 stabilisce che la definizione automatica non modifica l’importo dei rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni presentate ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, con la conseguenza che nessuna modifica sottrae comunque all’ufficio il potere di contestare il credito.

Dunque, l’importo di rimborsi e crediti inseriti nelle dichiarazioni Iva è sottoposto alla contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, in particolar modo se l’importo richiesto a rimborso è considerato mai versato come risultante da operazioni inesistenti.

Si ricorda, inoltre, che con la circolare 22/2003 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito come la disposizione sul condono tombale, non trova applicazione in relazione all’utilizzo di crediti di imposta, letti come momenti incentivanti che si connettono al fenomeno tributario solo al momento del loro utilizzo in diminuzione delle imposte dovute, commisurati a presupposti che non hanno alcuna relazione con la base imponibile.

Dunque l’accertamento dei presupposti tralascia ogni relazione con la base imponibile dichiarata o accertabile nei confronti dei contribuenti con la conseguenza che anche in caso di definizione automatica, ex art. 9, comma 9, legge 289/2002, l’Amministrazione finanziaria continuerà ad accertare la sussistenza dei presupposti per i crediti di imposta presentati nella dichiarazione.

La Corte precisa, inoltre, che secondo l’ordinanza interpretativa di rigetto n. 340/2005 della Corte costituzionale, il condono è letto come una procedura per ottenere entrate tributarie evitando la consolidazione di crediti di imposta da condotta fraudolenta, precisando che lo scopo della disciplina del condono è l’emersione di reddito imponibile non dichiarato e l’incentivazione di pagamenti non ancora effettuati.

Il condono è strumento per sanare il pregresso e non si erge come mezzo per consolidare e stabilizzare benefici derivanti da un comportamento fraudolento sanato.

Dunque, secondo la disposizione oggetto della sentenza, nessuna modifica di tali importi può essere determinata dalla definizione automatica, sottolineando che all’Ufficio rimane il potere di contestare il credito.

16 dicembre 2010

Sonia Cascarano