Non presentarsi al contraddittorio non paga

in caso di accertamento standardizzato (da parametri o studi di settore), la scelta del contribuente di non presentarsi al contraddittorio può essere dannosa per la difesa

Non presentarsi al contraddittorio non paga. E’ questo il giudizio che emerge dalla lettura della sentenza n. 22553 del 5 novembre 2010 (ud. del 15 giugno 2010) della Corte di Cassazione.

La sentenza

La Corte richiama, innanzitutto, le sentenze a SS.UU. del 2009, secondo cui la procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sè considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio, esito che deve far parte e condiziona la motivazione dell’accertamento.

Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte emerge la mancata presentazione del contribuente al contraddittorio, nonostante debitamente invitato.

Questo preciso accertamento fattuale negativo, come ovvio, non può ritenersi contrastato dalla mera contraria (peraltro del tutto astratta, non essendo confortata da nessun preciso riferimento, neppure temporale, da cui desumere l’espletamento di una qualche attività di ‘presentazione’, ovverosia di sottoposizione all’esame dell’Ufficio dei ‘necessari chiarimenti’) affermazione del ricorrente (il quale si è limitato a dire: l”assunto … che il contribuente non avesse aderito all’invito dell’Ufficio’ è ‘infondato’; egli ‘ha fornito … nella fase precontenziosa … la prova’; ‘nella motivazione’ dell’atto impositivo ‘non vi era alcuna traccia del contraddittorio’) essendo, di contro, necessario, per contestare detto accertamento, la denunzia (nel caso del tutto mancante) di un qualche vizio dello stesso riconducibile alla fattispecie regolata dall’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Pertanto, “deve ritenersi irreversibilmente accertato che il C., non rispondendo neppure allo stesso, non ha consentito lo svolgimento di alcun ‘contraddittorio endoprocedimentale’“.

L’ufficio, viceversa, ha dimostrato di aver rivolto al contribuente (che, oltre tutto, non lo ha mai contestato) l’invito al contraddittorio.

L’inesistenza, nel caso, del contraddittorio, deve quindi “ritenersi imputabile esclusivamente alla libera scelta difensiva del contribuente il quale ha preferito non accettare l’invito”.

E ciò travolge anche la violazione del “principio di chiarezza e motivazione degli accertamenti tributari” (L. n. 212 del 2000, ex art. 7 e L. n. 241 del 1990, art. 3), “non avendo alcun senso logico pretendere od imporre la redazione (e la conseguente allegazione all’atto di imposizione fiscale) di un verbale ‘negativo’, di mera attestazione della mancata comparizione del contribuente invitato, atteso che un siffatto adempimento è del tutto ultroneo perchè non contribuisce in alcun modo (nè il ricorrente svolge alcuna considerazione in proposito) a rendere più chiara e/o completa la motivazione di detto atto”.

In coerenza con il principio affermato nella richiamata decisione delle sezioni unite, la Corte ritiene necessario e sufficiente, “in ipotesi di mancata accettazione dell’invito da parte del contribuente, che l’Ufficio si limiti ad indicare nell’atto di imposizione i dati dell’avvenuto rispetto della norma (oltre che ad offrirne, poi, la prova in giudizio in ipotesi di avversa contestazione)”.

Inoltre, l’obbligo, posto all’amministrazione finanziaria dall’ultimo inciso della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, c. 1, (“chiarezza e motivazione degli atti“) in aggiunta a quello primario di motivare i propri atti “secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3” (“indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinalo la decisione dell’amministrazione“), di allegare a quello “che lo richiama” l’eventuale “altro atto” al quale “si fa riferimento” nella motivazione, giusta anche l’espresso rimando (“secondo quanto prescritto”), in via logica, deve essere letto sempre alla luce della L. n. 214 del 1990, art. 3, in particolare del comma 3, il quale prescrive che “se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama“.

Nel caso di specie, la L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, c. 186, come noto, prevede espressamente che i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di approvazione dei parametri siano pubblicati nella Gazzetta Ufficiale: cosa che è avvenuta.

Tale forma di pubblicità ha, quindi, determinato la conoscenza legale dei “parametri” stessi da parte di tutti i contribuenti e, di conseguenza, la non necessità di allegazione degli stessi ai singoli atti di accertamento fiscale.

Brevi riflessioni

Recenti sentenze di merito e di legittimità affermano in pratica che la validità dello studio di settore utilizzo è legato al corretto utilizzo del contraddittorio.

E questa è una posizione sostanzialmente conforme in seno alla giurisprudenza.

I giudici valutano la posizione del contribuente alla luce della sua capacità contributiva.

La determinazione della capacità contributiva deve avvenire in contraddittorio e l’ufficio ha l’obbligo di prendere in considerazioni le osservazioni di parte avversa, senza limitarsi a scontare in maniera fissa ( 10%, 20%,30%), senza magari nessuna giustificazione.

Come affermato dalla più autorevole dottrina(1), la funzione del contraddittorio “è fondamentale, giacché postula che, in quella sede, il contribuente indichi le ragioni che, a suo avviso, non consentono di ritenere applicabile lo studio di settore invocato dall’Agenzia, ovvero le ragioni che giustificano l’anzidetto scostamento. In sede di contraddittorio, quindi, compete al contribuente, che intenda evitare l’emanazione di un avviso di rettifica, l’onere di indicare, anche se non di dimostrare, l’esistenza di circostanze che tolgano rilevanza induttiva al risultato desumibile dallo studio sia per quanto concerne la sua applicabilità alla fattispecie, sia per quanto riguarda quelle (le più varie) che possano spiegare lo scostamento (dagli impedimenti allo svolgimento dell’attività derivanti da fatti personali, alle caratteristiche organizzative dell’attività, alle eventuali crisi del settore nel quale il contribuente opera)”.

Tale modo di operare permette di portare a conoscenza del funzionario una serie di fatti ed elementi che l’ufficio “ha l’obbligo di prendere in considerazione e verificare, cosicché non può notificare avviso di rettifica se non corredandone la motivazione con il disconoscimento o la confutazione dell’esistenza dei fatti addotti in sede di contraddittorio amministrativo, fatti indicati anche, in via esemplificativa, ma, ovviamente, senza pretesa di completezza, nelle circolari dell’Agenzia”(2).

Osserva ancora la dottrina citata che “in caso di mancata partecipazione al contraddittorio, l’Agenzia può, invece, legittimamente emanare l’avviso di rettifica, salva, per il contribuente, la possibilità di proporre le proprie eccezioni in sede processuale, ma, in questa ipotesi, con inversione, a mio avviso, dell’onere della prova. L’avviso di rettifica, infatti, non si può in tal caso ritenere viziato da nullità per difetto di motivazione ed i fatti dedotti dal contribuente si atteggiano come impeditivi rispetto alla pretesa tributaria, cosicché l’onere di provarli non può che competergli, in quanto, rinunciando e dedurli nella fase amministrativa, egli ha dispensato l’Agenzia dall’obbligo di prenderli preventivamente in considerazione. È, quindi, particolarmente importante avvalersi in modo corretto del contraddittorio, nel quale il contribuente non può limitarsi, come mi è capitato di vedere talvolta, a lamentare la gravosità della determinazione del ricavo attuata in base allo studio, ma deve indicare le ragioni per le quali lo studio medesimo non può essere riferito alla sua attività ovvero le ragioni, per così dire patologiche, in forza delle quali l’attività medesima si pone al di fuori di quella normalità che il risultato dello studio presuppone”(3).

A nostro sommesso parere l’interpretazione fornita dalla dottrina sopra citata ci sembra che abbia colto – con grande lucidità e sapienza – lo spirito della circolare n. 5/2008 delle Entrate: il valore del contraddittorio.

Ma se il contribuente, per sua scelta, non si presenta al contraddittorio ne paga le conseguenze, atteso che lo studio di settore – a monte legittimo – può essere meglio tarato attraverso il contraddittorio.

Note

1) Batistoni-Ferrara, L’attività istruttoria – Modalità operative di svolgimento dei controlli e delle verifiche: le possibili difese, in “il fisco” n. 8/2009.

2) idem.

3) idem.

26 novembre 2010

Roberta De Marchi