Il diniego dell'autotutela

l’esistenza di un interesse legittimo al ricorso avverso il provvedimento di rigetto, espresso o tacito, dell’istanza di autotutela presentata dal contribuente volta ad ottenere l’annullamento di un atto impositivo divenuto definitivo…

Con recente sentenza n. 573 dep. il 29 settembre 2010 la Commissione tributaria Regionale di Roma è stata chiamata a dare ottemperanza ad una pronuncia definitiva riguardante l’impugnazione di un diniego di autotutela.

Per quanto riguarda la vicenda contenziosa precedente, si osserva preliminarmente che il contribuente, a fronte di un avviso di accertamento non impugnato, aveva presentato istanza di autotutela ottenendo dall’ufficio un diniego espresso che veniva impugnato di fronte alla commissione tributaria provinciale.

Mentre il giudizio di primo grado si chiudeva con una sentenza favorevole all’ufficio, il ricorso in appello veniva parzialmente accolto dalla commissione tributaria regionale la quale, da un lato riconosceva che il diniego di autotutela rientrava tra gli atti impugnabili di cui all’art. 19 del D.lgs. n. 546/92, dall’altro rilevava come l’esistenza di un interesse legittimo all’esercizio dell’autotutela in capo al contribuente comportasse che, anche il diniego, per non incorrere in evidenti vizi di eccesso di potere, dovesse seguire lo schema logico e giuridico proprio di qualsiasi atto amministrativo ed, in particolare, dovesse essere assistito da un’adeguata motivazione.

L’esercizio negativo del potere dell’Amministrazione richiede di fornire una congrua motivazione circa la sussistenza o meno dei motivi che giustificherebbero l’eventuale annullamento.

A fronte di simili premesse, il Collegio giungeva nel caso a riconoscere che il diniego impugnato si presentasse viziato sotto il profilo della motivazione, precisando tuttavia che il giudizio non potesse spingersi oltre la valutazione della legittimità del rifiuto. In altri termini senza possibilità per la Commissione tributaria di sostituirsi all’amministrazione finanziaria nell’adozione dell’atto di autotutela.

Venendo ora al giudizio in esame, si osserva che come noto la disciplina in tema di ottemperanza è dettata dal’art. 70 del D.lgs. n. 546/92.

Esso prevede, tra l’altro, che la parte che vi ha interesse possa richiedere l’ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza della commissione tributaria passata in giudicato mediante ricorso da depositare in doppio originale alla segreteria della commissione tributaria provinciale, qualora la sentenza passata in giudicato sia stata da essa pronunciata, e in ogni altro caso alla segreteria della commissione tributaria regionale.

Ovviamente il ricorrente dovrà attendere la scadenza del termine entro il quale è prescritto dalla legge l’adempimento da parte dell’ufficio dell’obbligo posto a carico della sentenza o, in mancanza di tale termine, dopo trenta giorni dalla loro messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario e fino a quando l’obbligo non sia estinto.

Nella fattispecie ciò che rileva non è tanto la procedura da seguire, del resto chiaramente indicata nella norma, quanto degli effetti dell’ottemperanza che faccia riferimento ad una pronuncia di accoglimento emessa su di un diniego di autotutela.

Il contribuente non a caso, infatti, chiedeva, in accoglimento dl ricorso in ottemperanza la cancellazione dell’ipoteca iscritta in base all’accertamento divenuto definitivo.

Nonostante la richiesta formulata dal ricorrente, la commissione tributaria regionale chiarisce che il dictum contenuto nella sentenza non riguardava la legittimità dell’imposizione ma esclusivamente il rigetto dell’istanza di autotutela e che la sentenza di cui si chiede l’ottemperanza nulla di più dispone che l’illegittimità del rigetto (del diniego) per carenza di motivazione.

Il collegio conclude, pertanto, affermando che “esula dal giudicato la richiesta di annullamento dell’ipoteca e, comunque, qualsiasi altra questione inerente l’an debeatur”.

Per tale via la Commissione giunge ad accogliere il ricorso del contribuente ma non nei termini voluti dalla parte. L’agenzia delle entrate – ordina il Collegio – dovrà emettere nuovo provvedimento, stavolta motivato, di decisione sull’istanza di autotutela.

Nel caso in esame appare evidente come la pronuncia non appaia sadisfattiva per il contribuente il quale mirava all’annullamento, non tanto del diniego di autotutela, quanto del prodomico avviso di accertamento, ormai definitivo sulla cui base era stata azionata la fase di riscossione.

In proposito occorre osservare come la Cassazione anche di recente con sent. 15451 del 30 giugno 2010 ha ribadito la tesi secondo cui il sindacato del giudice rimane circoscritto non solo all’obbligazione tributaria ma anche all’esame sull’ortodossia dell’esercizio del potere discrezionale nei soli termini in cui il potere amministrativo è suscettibile di controllo giurisdizionale. Ciò in quanto “il potere di autotutela non è in alcun modo sostitutivo dei rimedi giurisdizionali ordinari non esperiti

Viene pertanto confermato il pensiero espresso in precedenza dalla Corte a SS.UU. secondo cui deve essere dichiarato inammissibile il ricorso avverso il provvedimento di rigetto, espresso o tacito, dell’istanza di autotutela presentata dal contribuente volta ad ottenere l’annullamento di un atto impositivo divenuto definitivo, in conseguenza sia della discrezionalità nell’esercizio del potere di autotutela quanto dell’inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale sull’atto di accertamento munito del carattere di definitività (sent. n. 2870 del 6 febbraio 2009).

 

20 novembre 2010

Ugo Mangiavacchi