Rilevanza fiscale delle differenze giornaliere nella giacenza di cassa

in presenza di una pluralità di punti vendita operanti nei confronti del pubblico e dotati di più casse, possono emergere divergenze tra le risultanze contabili ed i valori riscontrati in cassa…

Con risoluzione 22 giugno 2010, numero 54/E, l’Agenzia delle entrate riconosce rilevanza fiscale alle differenze giornaliere anche in mancanza di una prova documentale diretta degli eventi che li hanno causati, purché possa essere accertato che esse sono fisiologiche e connaturate all’attività di impresa e non imputabili, perciò, ad intenti evasivi. L’intervento di prassi è stato commentato da Assonime nella circolare numero 27 del 5 agosto 2010.

Le differenze tra risultanze contabili e giacenze di cassa

In presenza di una pluralità di punti vendita operanti nei confronti del pubblico e dotati di più casse, emergono spesso divergenze tra le risultanze contabili ed i valori riscontrati in cassa. Questo fenomeno viene accertato normalmente a posteriori – in sede di controllo a fine giornata o a seguito di controlli periodici del fondo cassa oppure, al più tardi, al momento del versamento in banca degli incassi – ed è imputabile, in termini generali, ad una pluralità di eventi connessi alla gestione di grossi volumi di contante.

Concorrono a determinare queste differenze, ad esempio, errori compiuti nella emissione degli scontrini fiscali o nel cambio delle banconote, minimi arrotondamenti nei resti o anche piccoli abusi da parte degli operatori.

Le differenze in questione rappresentano, evidentemente un fenomeno fisiologico e non evitabile per le quali si pone il problema della loro concorrenza a determinare componenti negativi di reddito fiscalmente rilevanti: evidentemente, d’altro canto, la rilevanza delle differenze negative appare speculare a quelle positive, che dovrebbe dar luogo a materia imponibile.

Istanza di interpello

Una associazione di categoria in relazione a questa fattispecie ha formulato un quesito alla competente Direzione Regionale delle entrate.

I problemi interpretativi riguardano essenzialmente, in ambito IRES, l’inerenza dell’ammanco oltre al profilo della sua documentazione e della competenza temporale.

Concetto di inerenza

La tesi dell’istante osservava che gli ammanchi determinavano costi inerenti all’impresa, poiché verificatisi nonostante le procedure di prevenzione e gli strumenti di controllo attivati per evitarli. Ciò in quanto il concetto di inerenza è idoneo a ricomprendere sia gli oneri assunti consapevolmente, sia quelli, che, pur non essendo voluti, non sono evitabili dall’impresa nel perseguimento – secondo canoni di convenienza economica – del miglior risultato gestionale. (cfr. risoluzione del Ministero delle finanze n. 9/557 del 9 aprile 1980).

Documentazione ammanchi

Sotto il profilo della prova, l’associazione interpellante rilevava in evidenza che i costi in questione non potevano che essere documentati in modo indiretto, in considerazione del fatto che le caratteristiche operative di queste imprese e l’elevato numero di transazioni rendono assai difficile individuare analiticamente l’evento che ha generato le differenze di cassa.

Questo aspetto e cioè l’impossibilità di fornire una prova diretta del singolo evento, tuttavia, non sembrava poter escludere la rilevanza fiscale degli oneri in questione, in quanto la fase di controllo periodico consente comunque di documentare con certezza e precisione l’esistenza e l’entità delle differenze di cassa.

Vi è quindi un supporto probatorio sufficiente per poter verificare che gli ammanchi erano riconducibili alla normale operatività aziendale, ossia ad un effetto che l’impresa si trova a subire come naturale conseguenza delle modalità di svolgimento e dei volumi della propria attività.

Principio di competenza

Circa, infine, il profilo della competenza temporale, l’istanza sottolineava che gli oneri correlati alle differenze negative di cassa dovrebbero necessariamente trovare collocazione nel periodo di imposta in cui le differenze siano state accertate.

Fino a quando non sia intervenuto il controllo, l’ammanco non è certo né nell’an, né nel quantum, anche qualora si fosse già verificato. Del resto, così come non è possibile risalire all’evento specifico che ha dato luogo alla differenza, appariva altrettanto arduo fissare il momento preciso in cui si è verificato e, dunque, individuare un criterio di imputazione temporale diverso rispetto a quello della sua emersione.

Sembrava logico, infine, a parere dell’istante che il riconoscimento della rilevanza fiscale delle differenze di cassa giornaliere potesse riguardare tanto le imprese che redigono il bilancio in base ai criteri tradizionali quanto i soggetti IAS adopter, per i quali potevano valere analoghe considerazioni in merito alla documentabilità, all’inerenza e alla competenza degli oneri in questione.

Ugualmente, in ambito IRAP, per le imprese “non IAS” avevamo prospettato che gli oneri in questione avrebbero potuto concorrere alla formazione della base imponibile in quanto normalmente collocati tra gli oneri diversi di gestione, ossia tra le voci del valore della produzione. La medesima soluzione veniva individuata anche per i soggetti IAS adopter, in considerazione del fatto che le voci fiscalmente rilevanti devono essere assunte in modo corrispondente, ossia tenendo conto della collocazione che avrebbero avuto qualora fosse stato adottato lo schema di bilancio tradizionale (cfr. art. 5 del decreto n. 446 del 1997).

Risposta dell’Agenzia

Con la risoluzione in esame, l’Agenzia delle entrate ha sostanzialmente condiviso la soluzione interpretativa proposta.

In primo luogo, l’Agenzia ha confermato che il requisito di inerenza deve essere riconosciuto non soltanto in relazione ai costi che sono sostenuti, volontariamente ed in modo programmatico, per il conseguimento dei ricavi, ma anche per gli oneri che si presentano come inevitabili ai fini dell’esercizio dell’attività di impresa.

In quest’ottica, per le imprese della grande distribuzione, l’utilizzo della cassa in luogo di altri mezzi di pagamento è indispensabile, anche se ciò può naturalmente comportare l’emersione di

ammanchi la cui genesi è riconducibile ad eventi che è difficile o antieconomico accertare (scontrini errati, arrotondamenti o piccoli furti).

In secondo luogo, l’Agenzia ha ritenuto che gli oneri conseguenti a questi ammanchi possano trovare riconoscimento fiscale ai fini IRES ed IRAP, anche in mancanza di una prova documentale diretta degli eventi che li hanno causati, purché possa essere accertato, nel caso concreto, che esse sono fisiologici e connaturati all’attività di impresa e non imputabili, perciò, ad intenti evasivi.

A tal fine, secondo l’Agenzia, si dovrebbe innanzitutto attestare l’ammanco mediante la redazione di un verbale sottoscritto dal responsabile di cassa e dal controllore. In una seconda fase, si dovrebbe poi valutare se l’ammontare degli ammanchi è modesto e compatibile con la movimentazione quotidiana della cassa. In questa verifica possono assumere rilevanza una pluralità di parametri quali la presenza di misure di prevenzione e contrasto del fenomeno; l’esistenza di differenze sia di segno positivo e negativo; l’incidenza delle differenze in rapporto con il volume d’affari, il valore delle operazioni, la consistenza del fondo cassa, il numero delle casse e degli operatori, ecc..

Anche in relazione al profilo della competenza temporale, infine, l’Agenzia appare aver implicitamente recepito la soluzione proposta.

La risoluzione in commento, infatti, non individua un periodo di imposta diverso rispetto a quello in cui le differenze siano state accertate ai fini della loro deduzione (o tassazione).

Le conclusioni dell’Agenzia, poi, sono state estese non solo alle imprese con bilancio tradizionale ma anche a quelle IAS adopter, nel senso che anche per esse, una volta verificata la natura fisiologica delle differenze, non vi sono ostacoli a considerare gli oneri connessi alle differenze di cassa come fiscalmente deducibili.

Conclusioni

La risoluzione, conclude la circolare ASSONIME dello scorso agosto, risolve dunque, in modo positivo e con argomentazioni convincenti il problema posto.

conclusioni raggiunte costituiscono una conferma delle indicazioni già fornite dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 31/E del 2 ottobre 2006 in tema di differenze inventariali relative a beni-merce.

Queste differenze si verificano soprattutto nel settore della grande distribuzione, e, più in generale, per le imprese con elevati volumi di movimentazione del magazzino e sono dovute ad una pluralità di fenomeni non riconducibili alla volontà dell’imprenditore e non documentabili analiticamente (cali e sfridi, distruzioni accidentali, furti) che generano divergenze tra le risultanze contabili e i beni concretamente riscontrati.

Anche in quella sede, l’Agenzia ha ritenuto che tali divergenze non siano di per sé da ricondurre ad ipotesi di evasione d’imposta, ma debbano invece essere oggetto di attento esame per ricostruire la loro natura (fisiologica o meno) e congruità rispetto alle normali dinamiche gestionali; la loro emersione e annotazione nelle scritture contabili, quindi, non dovrebbe dar luogo, in modo automatico, a presunzioni di acquisto e di cessione dei beni ai sensi del d.P.R. n.

471 del 1997. La pronuncia in esame si muove nella stessa logica di questo precedente di prassi ed ha il pregio di dare rilevanza sostanziale alla realtà operativa delle imprese che si trovano a sostenere oneri inevitabili per lo svolgimento della propria attività.

5 ottobre 2010

Antonino Romano