La disciplina per la disapplicazione

un quadro d’insieme delle richieste dell’Agenzia Entrate per disapplicare la disciplina sulle CFC

Con circolare del 6/10/2010 n. 51, l’Agenzia delle Entrate ha diramato le istruzioni per la disciplina relativa alle controlled foreign companies (CFC).

Puntiamo, la nostra attenzione, in questo intervento proprio sulla disciplina fiscale, per fornire al Lettore un quadro d’insieme.

La disciplina CFC

Al ricorrere dei presupposti previsti dall’articolo 167 del Tuir, l’applicazione della disciplina CFC comporta la tassazione per trasparenza in capo al soggetto controllante residente nel territorio dello Stato dei “redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato” residente o localizzato in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis (c.d. white list).

La norma di cui al citato articolo 167 – con esclusione di quanto previsto dal comma 8-bis – si applica “… anche nel caso in cui il soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, una partecipazione non inferiore al 20 per cento agli utili di un’impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori… – vale a dire a fiscalità privilegiata –…; tale percentuale é ridotta al 10 per cento nel caso di partecipazione agli utili di società quotate in borsa” (cfr. articolo 168, comma 1, del Tuir).

Al riguardo, il comma 5 dell’articolo 167 del Tuir prevede due condizioni di disapplicazione, operanti in modo autonomo ed indipendente l’una dall’altra.

La prima condizione (c.d. prima esimente) si verifica quando il soggetto controllante residente dimostra che la partecipata estera svolge “un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento; per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest’ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento” (cfr. articolo 167, comma 5, lettera a), del Tuir).

La seconda condizione (c.d. seconda esimente) ricorre quando il soggetto controllante residente dimostra che dal possesso delle partecipazioni non consegue “… l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis” (cfr. articolo 167, comma 5, lettera b), del Tuir).

La dimostrazione di una (o entrambe) delle predette esimenti va fornita – relativamente a ciascuna partecipata estera – in sede di interpello, secondo le modalità di cui all’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, che disciplina il c.d. interpello ordinario.

LA PRIMA ESIMENTE

Ai sensi della novellata lett. a) del comma 5 dell’art. 167 del T.U.n.917/86, la disciplina CFC non si applica se il contribuente residente in Italia dimostra – in sede di interpello – che “la società o altro ente non residente svolge un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento; per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest’ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento”.

Il radicamento diventa, quindi, un elemento rilevante per provare che la CFC svolge nel territorio in cui è localizzata un’effettiva attività industriale o commerciale.

Ne consegue che per invocare la prima esimente la disponibilità in loco da parte della società estera di una struttura organizzativa idonea – richiesta dall’articolo 5, comma 3, del D.M. 21 novembre 2001, n. 429 – è condizione necessaria, ma può risultare non sufficiente.

Infatti, la disponibilità di una struttura organizzativa idonea dimostra unicamente la presenza fisica della partecipata estera nel territorio ospitante e non anche che quest’ultima svolge effettivamente in loco un’attività industriale o commerciale.

In linea di principio, per radicamento (i.e. collegamento con il “mercato dello stato o territorio di insediamento”) deve intendersi il legame economico e sociale della CFC con il Paese estero e, quindi, “…l a sua intenzione di partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato…- (omissis) – diverso dal proprio e di trarne vantaggio…” (Sentenza Corte di Giustizia 12 settembre 2006, C-196/04, punto 53, c.d. sentenza Cadbury Schweppes).

In concreto, il riferimento al “mercato” è normalmente da intendersi come collegamento al mercato di sbocco o al mercato di approvvigionamento.

Pertanto la circostanza che la CFC non si rivolge al mercato locale né in fase di approvvigionamento, né in fase di distribuzione, costituisce un indizio del mancato esercizio da parte della stessa di un’effettiva attività commerciale nel territorio di insediamento.

Tuttavia, tale ultima circostanza non impedisce di valorizzare anche altri elementi eventualmente prodotti dal contribuente a supporto della richiesta disapplicativa (ragioni economiche-imprenditoriali che hanno portato l’impresa residente a investire nello Stato o territorio a fiscalità privilegiata).

Per le attività bancarie, finanziarie e assicurative, il collegamento con il mercato dello Stato o territorio di insediamento si ricava – secondo il dettato normativo – dall’origine delle fonti, degli impieghi o dei ricavi.

Più in particolare, per quanto riguarda le assicurazioni, in considerazione delle peculiarità dell’attività in esame, ai fini della verifica del requisito del radicamento rileva in via generale la residenza degli assicurati e il luogo di ubicazione dei rischi: ciò nel presupposto che il territorio nel quale sono ubicati i rischi assicurati comporta necessariamente lo svolgimento in loco di alcune fasi preminenti dell’attività assicurativa, come, ad esempio, quelle di stima e valutazione dei rischi coperti, accertamento e valutazione del danno, nonché dell’eventuale contenzioso.

In ogni caso, per assumere rilevanza ai fini in esame, il collegamento con il mercato di sbocco o di approvvigionamento deve essere significativo anche per le altre attività. Coerentemente con quanto previsto per le attività bancarie, finanziarie e assicurative, si può considerare significativa una percentuale di “acquisti” o di “vendite” sul mercato locale del territorio di insediamento superiore al 50 per cento.

Con specifico riferimento alle banche, finanziarie e assicurazioni, la condizione richiesta dalla lettera a) del comma 5 in esame si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti (con i connessi costi) e degli impieghi (con i connessi ricavi) originano nello Stato o territorio di insediamento. Resta inteso che la mancanza di uno o entrambi dei suddetti requisiti non preclude la possibilità di dimostrare la sussistenza della prima esimente sulla base di altri elementi.

In ultimo, la nota d’Agenzia fa presente che il “…mercato dello stato o territorio di insediamento” non coincide necessariamente con i confini geografici del Paese o territorio in cui la partecipata ha sede: in determinate fattispecie, infatti, la valutazione del “mercato” rilevante della CFC va necessariamente estesa all’area geografica circostante, legata allo Stato di insediamento da particolari nessi economici, politici, geografici o strategici (c.d. area di influenza della CFC).

La prima esimente non può essere invocata qualora “…i proventi della società o altro ente non residente provengono per più del 50% dalla gestione, dalla detenzione o dall’investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica, nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari”.

In virtù della norma appena richiamata, l’Amministrazione finanziaria può negare la disapplicazione della disciplina CFC in base alle condizioni previste dall’articolo 167, comma 5, lett. a) del Tuir, quando, a prescindere dalla valutazione di ogni altro elemento, i proventi di detta società o ente non residente per più (>) del 50 per cento derivano dalla:

  • gestione, detenzione o investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie (es. dividendi, plusvalenze, interessi attivi, commissioni);

  • dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica (es. royalties);

  • dalla prestazione di servizi infragruppo, ivi compresi i servizi finanziari (es. servizi di contabilità, di tesoreria accentrata o di consulenza).

Tale disposizione è finalizzata a contrastare le politiche di delocalizzazione dei passive income attuate mediante la collocazione, in Paesi a fiscalità privilegiata, degli asset produttivi di detti redditi. A tal fine, sono attratti a tassazione in Italia quei redditi che solo formalmente sono prodotti all’estero, mediante la creazione, in territori a fiscalità privilegiata, di società formalmente autonome, che sostanzialmente svolgono attività di sfruttamento passivo di asset in grado di per sé, ovvero per le loro caratteristiche intrinseche, di produrre reddito (c.d. società senza impresa).

La norma va comunque interpretata coerentemente con i principi comunitari in materia di antiabuso. Tali principi riconoscono al contribuente, cui si applicano particolari disposizioni nazionali che individuano delle soglie al di là della quali il rischio di abuso diventa più elevato, la possibilità di dimostrare il contrario.

Ne consegue che i limiti introdotti dal comma 5-bis in esame vanno visti quali soglie al superamento delle quali si presume – salvo prova contraria – che la partecipata estera sia una società senza impresa nel senso prima chiarito.

LA SECONDA ESIMENTE

Per poter invocare l’esimente di cui all’articolo 167, comma 5, lettera b), del Tuir (c.d. seconda esimente) il contribuente residente deve dimostrare che “dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis”.

Al riguardo, l’articolo 5, comma 3, del D.M. 21 novembre 2001, n. 429 prevede che “ai fini della risposta positiva rileva, in particolare, nei riguardi del soggetto controllante autore dell’interpello,… il fatto che i redditi conseguiti da tali soggetti (le società o enti partecipati non residenti, n.d.r.) sono prodotti in misura non inferiore al 75 per cento in altri Stati o territori diversi da quelli (di cui al D.M. 21 novembre 2001, n.d.r.) … ed ivi sottoposti integralmente a tassazione ordinaria ….Ai fini della medesima risposta positiva, nel caso di cui all’articolo 1, comma 1, ultimo periodo, del presente regolamento, rileva anche il fatto che i redditi della stabile organizzazione risultano sottoposti integralmente a tassazione ordinaria nello Stato o territorio in cui ha sede l’impresa, la società o l’ente partecipato”.

Tale circostanza ricorre quando la CFC abbia prodotto direttamente redditi di fonte estera, in misura non inferiore al 75 per cento del totale, tramite, ad esempio, una stabile organizzazione o in virtù del possesso di cespiti immobilizzati, localizzati e sottoposti a tassazione fuori dagli Stati o territori a fiscalità privilegiata.

Detta circostanza può ricorrere anche quando:

  • la partecipata estera, pur avendo la sede legale in un Paese o territorio black list, svolge esclusivamente la propria principale attività, ovvero è fiscalmente residente ovvero ha la sede di direzione effettiva in uno Stato non compreso nella black list, nel quale i redditi da essa prodotti sono integralmente assoggettati a tassazione; oppure quando

  • la partecipata estera è localizzata in uno Stato o territorio diverso da quelli a fiscalità privilegiata e opera in un tax haven mediante una stabile organizzazione, il cui reddito è assoggettato integralmente a tassazione ordinaria nello Stato di residenza della casa madre.

In ogni caso, le ipotesi di disapplicazione in base alla seconda esimente previste dal D.M. 21 novembre 2001, n. 429 devono considerarsi menzionate a titolo esemplificativo e non esaustivo.

In generale, ai fini del riconoscimento dell’esimente in esame, assume rilevanza il carico fiscale complessivamente gravante sul gruppo societario in relazione ai redditi prodotti da una CFC appartenente al medesimo gruppo.

Tale parametro, infatti, è determinante per la verifica del rispetto sostanziale della ratio insita nelle disposizioni che regolano la seconda esimente, che è quella di garantire che i redditi prodotti dalla CFC siano tassati in misura congrua.

In particolare, la ratio della disposizione in esame va considerata in linea di principio soddisfatta quando il tax rate effettivo “complessivamente scontato” sui redditi prodotti dalla CFC risulti congruo rispetto al livello di imposizione vigente in Italia.

Inoltre, considerato che l’inclusione di uno Stato o territorio nella vigente black list è stata effettuata dal legislatore non solo in ragione del livello di tassazione effettivamente applicabile sul reddito delle società ivi residenti, ma anche della mancanza di un completo ed efficiente scambio di informazioni con l’Amministrazione finanziaria italiana, assume rilievo ai fini del riconoscimento dell’esimente in commento la presentazione di una documentazione idonea a dimostrare la sistematica distribuzione verso l’Italia dell’utile proveniente dalla CFC. Ciò, ovviamente, nel presupposto che risulti contemporaneamente verificata la precedente condizione, e cioè che l’imposizione effettiva complessivamente gravante sull’utile ante imposte della CFC sia congrua rispetto al livello di imposizione gravante in Italia, a prescindere dal luogo in cui il reddito si considera prodotto e dallo Stato (o dagli Stati) in cui avviene detta tassazione.

La sistematica distribuzione dei dividendi, infatti, da un lato rafforza la dimostrazione della carenza di intenti elusivi, dall’altro immette l’utile prodotto dalla CFC in circuiti totalmente accessibili all’Amministrazione finanziaria italiana ai fini dell’acquisizione delle relative informazioni.

20 ottobre 2010

Francesco Buetto