Il Fisco usa la diligenza del buon padre di famiglia. Per essere diligenti, non si deve spendere più di quanto si guadagna. Chi spende più del reddito dichiarato deve essere in grado di dimostrarlo. Altrimenti, vuol dire che dichiara meno di quanto guadagna e, perciò, ha evaso. E’ questa la filosofia del nuovo accertamento sintetico, meglio conosciuto con la denominazione “redditometro”, che mette a confronto le spese della famiglia con il reddito dichiarato. L’occhio del fisco sarà puntato, in particolare, su chi non paga imposte, perché ritiene le tasse un “optional” poco gradito, ma spende tanto e possiede beni di rilevante valore, in contrasto con i redditi bassi dichiarati. Prosegue così la guerra tra presunte guardie (fisco) e presunti ladri (evasori). A rischio accertamento chi ha un tenore di vita da “ricco”, ma che dichiara redditi da “povero”. Gli “007” del fisco controlleranno le spese sostenute dalla famiglia e i titolari di immobili, residenze secondarie, auto di grossa cilindrata, barche o altri beni di lusso. Nel mirino degli uffici delle Entrate e della Guardia di Finanza sono le manifestazioni di capacità contributiva, incompatibili con il reddito dichiarato. Ai fini dell’accertamento delle persone fisiche, l’ufficio può determinare sinteticamente il reddito complessivo sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d’imposta, salva la prova che il finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, esclusi per legge dalla base imponibile. Viaggi, crociere, frequenza di case da gioco, circoli privati, hobby costosi e altri “lussi”, serviranno per misurare la capacità contributiva del contribuente. Tra i nuovi indici di ricchezza, da considerare nel quadro della ricostruzione sintetica del reddito, possono rilevare i seguenti: pagamento di consistenti rate di mutuo; pagamento di canoni di locazione finanziaria (leasing), soprattutto in relazione a unità immobiliari di pregio, auto di lusso e natanti da diporto; pagamento di canoni per l’affitto di posti barca; spese per la ristrutturazione di immobili; spese per arredi di lusso di abitazione; pagamento di quote di iscrizione in circoli esclusivi; pagamento di rette per scuole private particolarmente costose; assidua frequenza di case da gioco; partecipazione ad aste; frequenti viaggi e crociere; acquisto di beni di particolare valore, quali quadri, sculture, gioielli, reperti di interesse storico - archeologico, eccetera; disponibilità di riserve di caccia o di pesca; hobby particolarmente costosi, quali, ad esempio, partecipazione a gare automobilistiche, rally, gare di motonautica, eccetera. La determinazione sintetica del reddito della persona fisica può essere altresì fondata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza, con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze che sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale con periodicità biennale. La determinazione sintetica del reddito complessivo, sulla capacità di spesa o sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva, è ammessa a condizione che il reddito complessivo accertabile superi di almeno un quinto quello dichiarato. Il nuovo redditometro, come previsto dalla manovra di primavera, di cui al decreto legge 78 del 31 maggio 2010, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, si potrà applicare a partire dagli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di presentazione della dichiarazione non è ancora scaduto al 31 maggio 2010. In pratica, potrà essere applicato a partire dai redditi delle persone fisiche dell’anno 2009, Unico 2010 compreso. Rimane fermo che il contribuente può sempre fornire le prove che giustificano le differenze tra il reddito dichiarato e quello sinteticamente attribuibile. Può farlo, dimostrando, ad esempio, che: possiede redditi esenti, quali Bot, Cct, e simili; è titolare di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, quali depositi bancari, buoni postali o altro; esercita attività d’impresa o di lavoro autonomo con proventi non tassabili o esenti, quali i redditi conseguiti dai cosiddetti venditori porta a porta, soggetti a ritenuta a titolo d’imposta; il reddito dichiarato non è quello effettivamente conseguito per effetto della tassazione forfetaria prevista dalla legge; ha venduto beni immobili.
Con il redditometro il Fisco intende scoprire i falsi poveri. Il redditometro può essere “accompagnato” dalle indagini finanziarie, più comunemente conosciute come controlli bancari, per scoprire i falsi poveri, cioè chi dichiara poco o nulla nelle dichiarazioni dei redditi, ma che magari possiede diversi beni immobili e altri beni di lusso. Insomma, ricco per la gente, ma povero e con redditi bassi per il Fisco.
Controlli bancari
In tema di controlli bancari, per i conti correnti bancari o postali, da tenere obbligatoriamente a partire dal 12 agosto 2006 (poi abrogata dal 25 giugno 2008), a norma dell’articolo 35, commi 12 e 12-bis, del decreto legge luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sia per il prelievo di somme finalizzate al pagamento delle spese sostenute, sia per il versamento dei compensi riscossi, questi conti non dovevano essere “dedicati” esclusivamente all’attività professionale, ma potevano essere usati anche per operazioni non afferenti l’esercizio dell’arte o della professione. Occorre però precisare che la semplificazione prevista per i professionisti sulla tracciabilità dei compensi, con la scomparsa dell’obbligo di tenuta dei conti correnti bancari o postali, obbligo soppresso dal 25 giugno 2008, è ininfluente ai fini dei controlli bancari, previsti dall’articolo 32 del decreto sull’accertamento, Dpr 600/1973, nella versione in vigore dal 1° gennaio 2005. Insomma, il Fisco può sempre controllare chi dichiara poco, ma il cui conto in banca aumenta in modo ingiustificato. Rimane fermo che chi dichiara il giusto, come entrate e come spese, non ha nulla da temere.
Il controllo del Fisco deve avvenire sulla base delle entrate e delle spese dichiarate per l’attività professionale, messe a confronto con i dati del conto corrente bancario. Si può fare l’esempio di un professionista, che non avendo altre entrate oltre quelle relative all’attività professionale, ha dichiarato per l’anno 2005 entrate per 250mila euro e spese per 115mila euro, quindi con un reddito di 135mila euro. Durante l’anno, il professionista ha effettuato dei prelevamenti per spese personali per 85mila euro. In questo caso, il controllo del Fisco potrà essere facilmente fatto, verificando i movimenti bancari dal 1° gennaio al 31 dicembre 2005. Considerato che parte del reddito dichiarato è stato usato nel corso dell’anno per le spese personali, il Fisco potrà vedere come è variato il saldo iniziale al 1° gennaio 2005 dal saldo finale al 31 dicembre 2005. Fatta eccezione per le entrate o uscite straordinarie, acquisti o vendite di immobili o altro, se, ad esempio, il saldo al 1° gennaio 2005 riporta un importo a credito del contribuente di 20mila euro, il saldo finale al 31 dicembre 2005, considerati i prelevamenti personali per 85mila euro, dovrebbe risultare, a credito del contribuente, per circa 70mila euro. La differenza di 50mila euro, rispetto al saldo iniziale di 20mila euro, è data dalla differenza tra il reddito dichiarato per l’anno 2005, di 135mila euro, meno i prelevamenti personali dell’anno 2005, pari a 85mila euro. Evidentemente, se il saldo finale dei conti bancari presenta, invece, una differenza positiva di 200mila euro, e il contribuente non è in grado di dimostrare che l’incremento di 130mila euro è dovuto ad altri fattori esterni all’attività, l’ufficio delle Entrate ha la possibilità di emettere un accertamento nei confronti del contribuente per i 130mila euro di maggiori entrate non giustificate. I controlli bancari, che sono una novità recente nell’ambito dei redditi e dei compensi di lavoro autonomo, dovrebbero servire per scovare evasione dove c’è ricchezza, ad esempio, quando il professionista ha conti bancari elevati, ma con dichiarazioni di compensi e redditi bassi. E’ questa la “ratio legis”, cioè la finalità della norma. Non è certo quella di disturbare in modo ingiustificato i contribuenti che fanno il loro dovere.
I richiami del direttore Befera
Al riguardo, il direttore generale dell’agenzia delle Entrate Attilio Befera, in un suo intervento riportato sul Sole 24-Ore del 19 agosto 2010, ha chiaramente affermato che “non vogliamo più iniziare defatiganti contenziosi per non ascoltare le ragioni del cittadino e non avere il coraggio e la responsabilità di annullare un accertamento sbagliato”.
In alcuni uffici il coraggio non esiste
Il “guaio” è che il coraggio di Befera non ce l’hanno alcuni dirigenti degli uffici dell’agenzia delle Entrate, che proseguono il contenzioso defatigante e costoso per l’amministrazione finanziaria sia in tema di studi di settore applicati in modo automatico e senza alcun contraddittorio, sia nel caso di altri accertamenti esagerati con presunti compensi evasi per diversi miliardi delle vecchie lire, poi risultati inesistenti, con il rischio di incassare poco o nulla. Basti pensare che esistono accertamenti emessi con richiesta di diversi miliardi di vecchie lire che rischiano di procurare più spese che gettito, in quanto i giudici tributari hanno condannato gli uffici al pagamento di spese di giudizio di importo superiore a quelli che incasserà il fisco. La speranza è che tutti gli uffici recepiscano gli inviti del direttore Attilio Befera. Basterebbe applicare la regola non scritta del “buon senso”, nonché il principio generale ed assoluto per tutti in ogni applicazione di regole aritmetiche: due più due fa sempre quattro e quattro meno due fa sempre due. Perché scoprire evasioni inesistenti di diversi miliardi di vecchie lire a contribuenti che fanno il loro dovere, significa anche sconvolgere le regole della matematica.
Riflettori puntati su chi possiede beni di rilevante valore,
ma considera le tasse un “optional” da evitare
Con i controlli da redditometro, l’occhio del Fisco è puntato, in particolare, su chi non paga imposte, perché ritiene le tasse un “optional” poco gradito, ma possiede beni di rilevante valore. Prosegue così la guerra tra presunte guardie (Fisco) e presunti ladri (evasori). A rischio accertamento chi ha un tenore di vita da “ricco”, ma che dichiara redditi da “povero”. Gli “007” del Fisco controlleranno chi possiede immobili, residenze secondarie, auto di grossa cilindrata, barche o altri beni di lusso e dichiara imponibili bassi. Nel mirino degli uffici delle Entrate e della Guardia di Finanza sono le “manifestazioni di capacità contributiva, incompatibili con il reddito dichiarato”. E’ previsto che, per il triennio 2009-2011, gli accertamenti degli uffici delle Entrate e quelli della Guardia di Finanza dovranno essere indirizzati verso gli effettivi elementi di capacità contributiva, desunti dall’anagrafe tributaria, o forniti dai Comuni. Insomma, redditometro in prima linea per scovare i falsi poveri.
Il piano straordinario per il triennio 2009-2011
E’ già da qualche anno, a partire dalla manovra d’estate del 2008, che è previsto l’impiego massiccio del redditometro, mediante un “piano straordinario di controlli finalizzati all’accertamento sintetico e efficientamento dell’Amministrazione fiscale”. Per “accertamento sintetico” si intende l’accertamento eseguito con l’impiego del cosiddetto “redditometro”. E’ questo lo strumento induttivo che mette a confronto i beni posseduti, auto, immobili, barche o altri beni, con il reddito dichiarato dalla persona fisica. E’ infatti previsto che, nell’ambito della programmazione dell’attività di accertamento relativa agli anni 2009, 2010 e 2011 è pianificata l’esecuzione di un piano straordinario di controlli finalizzati alla determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche a norma dell’articolo 38 del Dpr 29 settembre 1973, n. 600, sulla base di elementi e circostanze di fatto certi desunti dalle informazioni presenti nel sistema informativo dell’anagrafe tributaria nonché acquisiti in base agli ordinari poteri istruttori.
Chi non paga tasse sarà tra i primi ad essere controllato
Nella selezione delle posizioni ai fini dei controlli con l’impiego del redditometro è data priorità ai contribuenti che non hanno evidenziato nella dichiarazione dei redditi alcun debito d’imposta e per i quali esistono elementi segnaletici di capacità contributiva. I primi ad essere controllati saranno perciò i contribuenti che non pagano tasse, ma che hanno rilevanti capacità di spesa. Anche i Comuni in prima linea per la caccia agli evasori. Essi hanno il compito di segnalare all’agenzia delle Entrate eventuali situazioni rilevanti di cui sono a conoscenza per la determinazione sintetica del reddito mediante il redditometro.
Il redditometro applicabile fino ai redditi del 2008
Il redditometro è lo strumento che fornisce una prima stima del reddito sinteticamente attribuibile alla persona fisica in base a una scelta e misurazione di certi elementi indicativi di capacità contributiva. La denominazione “redditometro” si usa per indicare gli strumenti di determinazione del reddito sintetico. Il redditometro è lo strumento che consente agli uffici dell’agenzia delle Entrate di procedere all’accertamento sintetico dei redditi della persona fisica, sulla base di parametri uniformi in relazione a indici di spesa tassativamente fissati. La norma che ammette l’uso del redditometro è l’articolo 38 del Dpr 29 settembre 1973, n. 600, che reca disposizioni in materia di rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche. Il suo quarto comma, nella versione applicabile fino ai redditi dell’anno 2008, stabilisce che l’ufficio può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze, quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. La determinazione induttiva del reddito può essere fatta dall’ufficio in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva, quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi d’imposta.
Confronto tra ricchezza manifestata e redditi dichiarati
Da qualche anno il Fisco ha rispolverato il redditometro alla ricerca dei contribuenti ricchi, che dichiarano redditi bassi, evadendo le tasse dovute all’erario. E torna a usare l’accertamento che misura il reddito secondo i beni posseduti o i servizi scelti dai contribuenti. Per conferire il massimo grado di sostenibilità alla pretesa fiscale, gli uffici, sussistendone i presupposti, potranno anche eseguire le indagini finanziarie nei confronti dei contribuenti soggetti al controllo. Controlli bancari e altre indagini finanziarie che, nell’ambito delle attività improntate alla ricostruzione sintetica del reddito, costituiscono uno strumento importante per trasformare gli indizi di tipo “patrimoniale” e “gestionale” in prove che evidenzino l’effettiva capacità contributiva della persona controllata. In alcuni casi il redditometro può essere usato proficuamente anche da solo. Ad esempio, può essere usato nei confronti del contribuente in odore di mafia che non presenta la dichiarazione dei redditi, ma che possiede diversi beni immobili, macchine di grossa cilindrata, altri beni e servizi, e depositi bancari elevati, per i quali il redditometro determina sinteticamente un reddito di diversi milioni di euro. Il redditometro può perciò essere veramente efficace, se usato nei confronti di delinquenti ricchi, ma sconosciuti al Fisco. In questi casi, il Fisco può essere veramente molto efficace e utile per la collettività. Per ricordare come può essere efficace il Fisco nei confronti della malavita, sovente si ricorre all’illustre precedente degli anni venti in America che portò all’arresto del mafioso Al Capone, che venne arrestato per evasione fiscale.
I beni e i servizi del redditometro applicabile fino al 2008
I beni e servizi indicativi della capacità contributiva sono elencati nella tabella allegata al decreto ministeriale 10 settembre 1992 recante “determinazione, ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, degli indici e coefficienti presuntivi di reddito o di maggior reddito in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva”. La tabella che si usa per il calcolo del redditometro è stata integralmente sostituita con decreto ministeriale 19 novembre 1992, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 278 del 25 novembre 1992. La denominazione “Redditometro” è usata per indicare gli strumenti di determinazione del reddito sintetico.
Le nove categorie di beni e servizi
I beni e i servizi individuati sono i seguenti:
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1) gli aeromobili;
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2) le navi e le imbarcazioni da diporto;
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3) gli autoveicoli;
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4) gli altri mezzi di trasporto a motore;
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5) le roulottes;
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6) le residenze principali e secondarie;
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7) i collaboratori familiari (da non confondere con i collaboratori dell’impresa familiare);
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8) i cavalli da corsa o da equitazione;
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9) le assicurazioni di ogni tipo (escluse quelle relative all’utilizzo di veicoli a motore, sulla vita e quelle contro gli infortuni e malattie).
La “disponibilità” secondo il redditometro
L’articolo 2, comma 1, del decreto ministeriale 10 settembre 1992 stabilisce che i beni e servizi “si considerano nella disponibilità della persona fisica che a qualsiasi titolo o anche di fatto utilizza o fa utilizzare i beni o riceve o fa ricevere i servizi ovvero sopporta in tutto o in parte i relativi costi”. Vale perciò la situazione di fatto. Per esempio, l’automobile intestata al figlio studente, senza redditi, è nella “disponibilità” dei genitori. Non si considerano nella disponibilità della persona fisica, e perciò sono esclusi dal redditometro, alcuni dei beni e servizi relativi esclusivamente all’attività di impresa di arti o professioni. I beni e i servizi che si possono escludere sono i seguenti:
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aeromobili da turismo, navi e imbarcazioni da diporto, autoveicoli, altri mezzi di trasporto a motore oltre i 250 cc. e roulottes;
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cavalli da equitazione o da corsa;
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riserve di caccia e di pesca;
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assicurazioni di ogni tipo, limitatamente all’indicazione degli istituti o imprese di assicurazione e ai dati identificativi delle polizze, escluse le assicurazioni relative alla responsabilità civile per la circolazione di veicoli a motore e quelle sulla vita, contro gli infortuni e le malattie.
A norma dell’articolo 2, comma 2, del decreto ministeriale 10 settembre 1992, l’esclusione dal redditometro dei predetti beni e servizi è subordinata alla condizione che i beni e servizi siano “relativi esclusivamente ad attività di impresa o all’esercizio di arti o professioni e tale circostanza risulti da idonea documentazione”. Ne consegue, per esempio, che l’automobile dell’imprenditore o del professionista, che si presume di uso promiscuo, deve essere considerata per metà ai fini del redditometro e per metà ai fini degli altri controlli induttivi delle entrate e dei redditi degli esercenti imprese, arti e professioni (parametri o studi di settore).
Valori dei beni e servizi
La disponibilità dei beni e servizi, anche della stessa categoria, è indicativa, per il relativo periodo d’imposta, di un valore che si ottiene applicando i seguenti criteri:
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si considerano gli importi relativi a ciascun bene o servizio disponibile, che si ricavano dalla tabella, riducendo proporzionalmente ciascuno di tali importi se il bene o servizio è nella disponibilità anche di altri soggetti diversi dalle persone per le quali spettano le deduzioni o le detrazioni fiscali (coniuge, figli e altri familiari a carico), o se per detto bene o servizio sopporta solo in parte le spese, o se lo stesso è usato nell’esercizio di impresa, arti o professioni; gli importi calcolati su base annua sono proporzionalmente ridotti se la disponibilità del bene o servizio non è duratura per l’intero anno;
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si moltiplica ciascun importo per il rispettivo coefficiente indicato nella tabella.
Somma dei valori e riduzioni
I valori ottenuti si sommano, usando i seguenti criteri:
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il valore più elevato è considerato per intero, cioè per il 100 per cento;
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il secondo valore è ridotto del 40 e considerato per il 60 per cento;
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il terzo valore è ridotto del 50 e considerato per il 50 per cento;
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il quarto valore è ridotto del 60 e considerato per il 40 per cento;
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i valori successivi sono ridotti dell’80 e considerati per il 20 per cento.
Limite della riduzione
E’ stabilito che, in ogni caso, l’ammontare del valore ridotto non deve essere inferiore all’importo-base indicato nella tabella.
Somma dei valori più incrementi patrimoniali
La somma dei valori è il reddito presunto, al quale si deve aggiungere la quota relativa ad eventuali incrementi patrimoniali determinata a norma del quinto comma dell’articolo 38 del Dpr 600/1973. Questo comma dispone che “qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti”. Ne consegue che, per gli investimenti effettuati, si deve attribuire:
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la quota di un quinto all’anno in cui è stata sostenuta la spesa;
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la quota di un quinto a ciascuno dei quattro anni precedenti.
Le “prove” per vincere contro il redditometro
E’ stabilito che l’ufficio può procedere all’accertamento cosiddetto “sintetico” del maggior reddito calcolato, nel caso in cui la differenza tra il reddito determinato sinteticamente con il redditometro e quello effettivamente dichiarato risulta superiore al 25% per un periodo di almeno due anni. Il contribuente può però dimostrare che il maggior reddito presunto induttivamente dal redditometro è costituito o giustificato da redditi esenti, redditi soggetti a ritenuta a titolo di imposta o da una diminuzione del patrimonio posseduto. Al riguardo, nella circolare 49/E del 9 agosto 2007, l’agenzia delle Entrate avverte che nel corso della fase istruttoria mediante convocazione in ufficio o mediante questionario o nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione, cosiddetto concordato a regime, è necessario acquisire tutte le informazioni e la relativa documentazione probatoria non conoscibili attraverso gli strumenti informativi a disposizione, o per suffragare quelli conoscibili, che configurano la “prova contraria” (come previsto dal sesto comma dell’articolo 38, del Dpr 600/1973) che il contribuente oggetto di controllo può fornire prima della notificazione dell’atto di accertamento.
I controlli preliminari degli uffici
Gli uffici dovranno esaminare la documentazione prodotta dal contribuente, valutandone la probatorietà in relazione al possesso ed effettivo utilizzo nello specifico periodo d’imposta, nell’ambito del biennio oggetto di controllo, di:
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redditi esenti;
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redditi assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta;
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somme riscosse a titolo di disinvestimenti patrimoniali,
nonché vagliare eventuali diverse giustificazioni, anche riferibili ai componenti il nucleo familiare, dello stesso tenore documentale, che pur non essendo espressamente considerate nel sesto comma dell’articolo 38 del Dpr 600 del 1973 sono tuttavia suscettibili di apprezzamento, quali, ad esempio:
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utilizzo di finanziamenti;
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utilizzo di somme di denaro derivanti da eredità, donazioni, vincite, eccetera;
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utilizzo di effettivi redditi conseguiti a fronte di importi fiscali convenzionali (ad esempio, i redditi agrari tassati non in base al reddito effettivamente prodotto, ma alle rendite catastali aggiornate);
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utilizzo di somme riscosse, fuori dall’esercizio dell’impresa, a titolo di risarcimento patrimoniale.
La documentazione acquisita dall’ufficio sarà esaminata, oltre che per procedere o meno con l’accertamento, anche per valutare la complessiva posizione fiscale dell’eventuale contribuente correlato al soggetto selezionato in quanto è risultato quello che ha effettivamente sostenuto gli esborsi o le spese di gestione. Se sussistono elementi di certa e concreta rilevanza fiscale a carico dei contribuenti, anche a seguito dell’acquisizione di ulteriori informazioni reperibili con gli strumenti informatici a disposizione o presenti in ufficio, si procederà all’inserimento delle relative posizioni nel “Piano dei controlli”.
Le “prove” del contribuente
Il contribuente può quindi fornire le prove che giustificano le differenze tra il reddito dichiarato e quello sinteticamente attribuibile dal redditometro, dimostrando che:
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possiede redditi esenti, quali Bot, Cct, e simili;
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è titolare di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, quali depositi bancari, buoni postali o altro;
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esercita attività d’impresa o di lavoro autonomo con proventi non tassabili o esenti, quali i redditi conseguiti dai cosiddetti venditori porta a porta, soggetti a ritenuta a titolo d’imposta;
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il reddito conseguito non è quello effettivamente conseguito per effetto della tassazione forfetaria prevista dalla legge;
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ha venduto beni immobili.
Il giusto calcolo della franchigia del 25% per il redditometro
Ai fini del redditometro applicabile fino ai redditi dell’anno 2008, l’ufficio può procedere all’accertamento “sintetico” del maggior reddito calcolato, nel caso in cui la differenza tra il reddito determinato sinteticamente con il redditometro e quello effettivamente dichiarato risulta superiore al 25% per un periodo di almeno due anni. In una nota del servizio consultivo e ispettivo tributario (SECIT), si legge che “nelle istruzioni ministeriali relative ai questionari ed in quelle per la compilazione della dichiarazione dei redditi” modello 740/93, per l’anno 1992, “è stato precisato che l’ufficio può procedere ad accertamento sintetico se il reddito dichiarato è inferiore al reddito accertabile diminuito di un importo pari ad un quarto di quest’ultimo reddito. Al riguardo, va precisato che la attuale formulazione normativa (articolo 38, comma 4, DPR 600/1973) andrebbe modificata al fine di rendere del tutto evidente tale impostazione, in quanto il testo vigente può far sorgere il dubbio che lo scostamento si riferisca, invece, al 25% del reddito complessivo dichiarato”.
La norma incriminata è la seguente: “L’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’articolo 39, può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato”. L’invito del SECIT a modificare la norma è però rimasto nel vuoto, perché il predetto periodo è rimasto lo stesso dal 1992 al 2008, generando confusione tra gli addetti ai lavori, che magari si sono dimenticati delle istruzioni del modello 740/93, cioè del modello che venne definito “lunare” dall’allora Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro.
Pertanto, esistono programmi che applicano la norma secondo le corrette indicazioni ministeriali del 1993 che prevedono l’applicazione del 25% a titolo di franchigia sul reddito sinteticamente attribuibile in base ai beni e servizi rilevanti per il redditometro. Perciò, se il reddito sintetico è 100.000 euro:
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lo scostamento di un quarto è pari a 25.000 euro, che costituisce la “franchigia” (100.000 per 25% è infatti uguale a 25.000 euro);
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la soglia di reddito al di sotto della quale può essere applicato il redditometro è uguale a 75mila euro, cioè alla differenza tra i 100.000 euro del reddito sintetico e la franchigia di 25.000 euro.
Di conseguenza, a partire da un reddito dichiarato di almeno 75.000 euro il contribuente è escluso dall’accertamento da redditometro. A partire, invece, da un reddito di 74.999,99 euro o di importo inferiore, il contribuente è soggetto all’accertamento da redditometro, fermo restando che la non congruità del reddito dichiarato deve verificarsi per un periodo di almeno due anni.
Esistono anche programmi di calcolo del redditometro che applicano la “franchigia” del 25%, prendendo a riferimento il reddito dichiarato, anche perché, come venne osservato dal Secit nel 1993, il testo della norma può far sorgere il dubbio che lo scostamento, cioè la franchigia, si riferisce, invece, al 25% da sommare al reddito dichiarato. La conseguenza è che, in questo caso, i programmi che prendono a base il reddito dichiarato calcolano la franchigia del 25% sul reddito dichiarato. I programmi che applicano la predetta metodologia che, si ripete, è sbagliata, partono dal reddito sul quale sommano la franchigia del 25%. In questo caso, per un reddito sintetico di 100.000 euro, il reddito dichiarato al di sotto del quale scatta l’accertamento da redditometro sarebbe di 80.000 euro.
Infatti, sommando al reddito dichiarato di 80.000 euro, la franchigia del 25%, pari a 20.000 euro, si arriva al reddito sintetico di 100.000 euro.
La differenza è evidente perché la procedura di calcolo che prende come base di riferimento il reddito dichiarato, oltre ad essere sbagliata, è a danno del contribuente. Infatti, partendo dal reddito sinteticamente accertato, nel caso sopra esemplificato, di 100.000 euro, il contribuente dovrebbe dichiarare un reddito di almeno 80.000 euro e non di 75.000 euro.
Non è così, come a suo tempo chiarito sia nelle istruzioni ministeriali al modello 740/93, sia nella relazione del servizio consultivo e ispettivo tributario (SECIT), che prevedono l’applicazione del 25% a titolo di franchigia sul reddito sinteticamente attribuibile in base ai beni e servizi del redditometro.
21 settembre 2010
Tonino Morina