I rimedi in caso di diniego dell’autotutela – prima parte

di Antonino Pernice

Pubblicato il 8 maggio 2010

un'interessante guida all'autotutela in ambito tributario ed agli eventuali rimedi in caso di diniego
 

1. - AUTOTUTELA IN CAMPO AMMINISTRATIVO.


L’autotutela, in ambito amministrativo, consiste nella possibilità per la P.A. di “farsi giustizia da sé”, anche per risolvere contrasti insorti con gli amministrati.

La legge n.15/2005 ha dato un supporto normativo alle ipotesi di autotutela con la legge n.241/1990, artt.21-ter, 21-quater, 21-quinquies e 21-nonies.


2. - AUTOTUTELA IN CAMPO TRIBUTARIO.

Si premette che in base agli artt.23 e 53 Costituzione “nessuna prestazione personale patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” e “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

Queste disposizioni sanciscono:

  • da una parte, il diritto del Fisco a esigere il tributo;

  • e, dall’altra parte, l’obbligo del contribuente a corrispondere il tributo solo nei casi e nelle misure previste dalla legge, unica legittimata a fissare i criteri di determinazione della capacità contributiva.

Quindi, l’A.F. dovrà evitare di emanare provvedimenti illegittimi o, in caso di adozione, provvedere alla loro eliminazione esercitando il potere di autotutela.

L’istituto dell’autotutela nasce dal diritto amministrativo.


L’autotutela è una manifestazione del potere amministrativo attraverso cui la P.A. può riesaminare il proprio operato, procedendo autonomamente alla correzione degli eventuali “vizi”.


L’istituto dell’autotutela indica, per l’amministrazione, la possibilità di annullare e/o correggere un proprio atto, precedentemente emesso, ritenuto in tutto o in parte errato, senza ricorrere ai giudici.


Rappresenta un potere/dovere dell’A.F. di correggere, su propria iniziativa, ovvero su istanza del contribuente, quegli atti posti in essere dall’amministrazione stessa, che risultano illegittimi o infondati; ciò in conformità con il principio di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione stabilito dall’art.97 Costituzione, richiamato, fra l’altro, dall’art.1 Statuto diritti contribuente.


Il ricorso all’autotutela, per la P.A. costituisce l’opportunità di ristabilire il principio di legalità, e di conformare la sua azione ai principi costituzionali del buon andamento ed imparzialità oltre che a quelli generali indicati nella L. 212/2000 della tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente, allorquando elimina un atto divenuto definitivo che risulta palesemente illegittimo.


Si evidenzia che la P.A. una volta venuta a conoscenza che ha emesso un provvedimento viziato, non può esimersi dal rimuovere o correggere i relativi atti, in quanto essa ha l’obbligo di agire secondo i principi di legalità, imparzialità e buon andamento, al fine di salvaguardare il legittimo affidamento dei cittadini.


In effetti la discrezionalità amministrativa deve essere improntata a soddisfare l’interesse pubblico, così:


  • eliminando gli atti viziati;

  • ripristinando la legalità,

  • salvaguardando, soprattutto, oltre che l’interesse pubblico, l’interesse del contribuente di essere sottoposto ad una tassazione equa.


Pertanto, si ha che:


  • l’esercizio dell’attività di autotutela, in genere, è d’ufficio, senza che ha bisogno di alcun atto d’impulso proveniente dal privato;

  • è una mera facoltà (e non un obbligo) della P.A. di rispondere o meno all’eventuale istanza del contribuente;

  • di conseguenza, il silenzio dell’amministrazione non è “significativo” (cioè non costituisce “silenzio-assenso”, né “silenzio-rifiuto”).


Il potere di annullare atti illegittimi o infondati costituisce uno degli aspetti generali del potere amministrativo in materia tributaria ed è ammesso in base ai principi generali del diritto amministrativo (principio di certezza del diritto).


L’autotutela è disciplinata:


  • dall’art.68, Dpr n.287 del 27.03.92, abrogato dall’art.23, 1^ c., lett.m), n.7, dpr n.107 del 26.03.01, secondo cui “salvo che sia intervenuto giudicato gli uffici possono procedere all’annullamento dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati”;


  • dall’art.2-quater del D.L. n.564 del 30.09.94, conv. in L. 656 del 30.11.94, e dall’art.1 e segg. Del Dpr n.37 dell’11.02.97.


In base a tali disposizioni l’ufficio, riconosciuta l’infondatezza di un atto impugnato dal contribuente, per un vizio sostanziale in termini di:


  • irragionevolezza,

  • contraddittorietà tra premesse e conclusioni,

  • travisamento dei fatti,

  • errore di persona,

  • duplicazione di pagamento, etc.,


decide di annullare l’atto “viziato”, per evitare un contenzioso destinato a chiudersi negativamente.



L’art. 2-quater, D.L. 564/94 (Autotutela), prevede che:

comma 1^. Con decreti del M.F. sono indicati gli organi dell'A.F. competenti per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l'attività dell'amministrazione.

Comma 1 bis. Nel potere di annullamento o di revoca di cui al 1^ c., deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell'atto che appaia illegittimo o infondato (aggiunto dall'art.27, L.28/1999).


L’art.1, D.M. n.37 dell’11.02.97 (Organi competenti per l'esercizio del potere di annullamento e di revoca d'ufficio o di rinuncia all'imposizione in caso di auto accertamento), prevede che:


comma 1^. Il potere di annullamento e di revoca o di rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento spetta all'ufficio che ha emanato l'atto illegittimo o che è competente per gli accertamenti d'ufficio ovvero in via sostitutiva, in caso di grave inerzia, alla Direzione regionale o compartimentale dalla quale l'ufficio stesso dipende.


L’art.2 D.M. 37/97 (Ipotesi di annullamento d'ufficio o di rinuncia all'imposizione in caso di auto accertamento), prevede che:


comma 1^. L'A.F. può procedere, in tutto o in parte, all'annullamento o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell'atto o dell'imposizione, quali tra l'altro:


a) errore di persona;

b) evidente errore logico o di calcolo;

c) errore sul presupposto dell'imposta;

d) doppia imposizione;

e) mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti;

f) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;

g) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;

h) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Amministrazione.


Comma 2^. Non si procede all'annullamento d'ufficio, o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all'Amministrazione finanziaria.



L’art.3, D.M. 37/97, (Criteri di priorità), prevede che:

comma 1^. Nell'attività di cui all'articolo 2 è data priorità alle fattispecie di rilevante interesse generale e, fra queste ultime, a quelle per le quali sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso.



L’art.4, D.M. 37/97 (Adempimenti degli uffici), prevede che:

comma 2^. Dell'eventuale annullamento, o rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, è data comunicazione al contribuente, all'organo giurisdizionale davanti al quale sia eventualmente pendente il relativo contenzioso nonchè - in caso di annullamento disposto in via sostitutiva - all'ufficio che ha emanato l'atto.



L’art.5 D.M. 37/97 (Richieste di annullamento o di rinuncia all’imposizione in caso di auto accertamento), prevede che:

comma 1^. Le eventuali richieste di annullamento o di rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento avanzate dai contribuenti sono indirizzate agli uffici di cui all'art.1; in caso di invio di richiesta ad ufficio incompetente, questo è tenuto a trasmetterla all'ufficio competente, dandone comunicazione al contribuente.



L’art.7 D.M. 37/97 (Criteri di economicità per l’inizio o l’abbandono dell’attività contenzioso), prevede che:

comma 1^. Tenuto conto delle rilevazioni previste dall'articolo 6 e della giurisprudenza consolidata nella materia, le direzioni dei Dipartimenti impartiscono direttive per l'abbandono delle liti già iniziate, sulla base del criterio delle probabilità della soccombenza e della conseguente condanna dell'Amministrazione finanziaria al rimborso delle spese di giudizio. Ad analoga valutazione è subordinata l'adozione di iniziative in sede contenziosa.

Comma 2^. Ai fini di cui al comma precedente è presa in considerazione anche l'esiguità delle pretese tributarie in rapporto ai costi amministrativi connessi alla difesa delle pretese stesse.

La Cass. sent. 3519 del 15.02.2010, ha stabilito che l’autotutela può essere esercitata anche in corso di giudizio, a condizione che i poteri del rappresentante dell’ufficio non siano sottoposti a limitazioni.


Secondo la Cassazione l’ufficio, in virtù dell’autotutela, può procedere eventualmente in contradditorio con il contribuente a una rivalutazione degli elementi a fondamento dell’atto di accertamento per giungere a una situazione che eviti un’inutile prosecuzione del contenzioso.


3. - VALUTAZIONE DELLA INFONDATEZZA E/O ILLEGITTIMITA’ DELL’ATTO.



In linea generale, gli atti sui quali gli uffici possono esercitare il potere di autotutela sono quelli espressamente indicati dall’art.19 1^ c., D.Lgs n.546/92, cioè gli atti accertativi, quelli esecutivi, i dinieghi o i mancati rimborsi contro i quali sarebbe stato ammissibile il ricorso del contribuente alla commissione tributaria.

Infatti, l’art.19, D.Lgs. 546/92 (Atti impugnabili e oggetto del ricorso), prevede che:

comma 1^. Il ricorso può essere proposto avverso:

a) l'avviso di accertamento del tributo;

b) l'avviso di liquidazione del tributo;

c) il provvedimento che irroga le sanzioni;

d) il ruolo e la cartella di pagamento;

e) l'avviso di mora;

e-bis) l'iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all'art.77 Dpr 602/73, e successive modificazioni (aggiunta dall'art. 35 del D.L. 223/2006, conv. in L. 248/2006);

e-ter) il fermo di beni mobili registrati di cui all'art.86 Dpr 602/73, e successive modificazioni (aggiunta dall'art. 35 del D.L. 223/2006, conv. in L. 248/2006);

f) gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell'art. 2, comma 3;

g) il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti;

h) il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;

i) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie.

Comma 3^. Gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo.

Si precisa che:

  • l’atto si ritiene illegittimo nel caso di difetto di motivazione, omessa sottoscrizione, vizi della notifica (si fa riferimento all’art.2, 1^ c., DM 37/97 citato);

  • l’atto si ritiene infondato allorché l’errore cada sulla quantificazione dell’imponibile.

La disposizione di cui all’art.19, D.Lgs. 546/92, che ai fini dell’impugnabilità l’atto deve rientrare in una delle categorie indicate dall’art.19, è da ritenere che sia superata.



Infatti, la giurisprudenza ha esteso la cognizione delle commissioni tributarie anche ad altri atti che non rivestono tale carattere (es. decisioni della dogana in materia di accise, inviti bonari, fatture relative alla TIA, canoni per l’occupazione di spazi e aree pubbliche e per lo scarico e depurazione acque reflue, per lo smaltimento rifiuti urbani).



La Cassazione, con la sent. n.22015/2006, ha affermato “la possibilità di ricorrere contro ogni atto, comunque denominato, che contenga gli elementi necessari a portare a conoscenza del contribuente l’an ed il quantum della pretesa dell’amministrazione la cui mancata osservanza appaia suscettibile di incidere sulla sfera patrimoniale del contribuente”.



La Cass. sent. n.27385 del 18.11.08, richiamando la sent. n.21045 del 08.10.07, ha ammesso la possibilità di ricorrere alla tutela del giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicazione delle relative ragioni (di fatto e giuridiche), porti comunque a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria.



Secondo la Cass., sent. n.16736 del 08.08.05, spetta alle commissioni tributarie l’attribuzione dell’intera materia tributaria, sia che si tratti di diritti soggettivi che di interessi legittimi, per i quali la Costituzione non prevede alcuna riserva assoluta di legge a favore del giudice amministrativo.



4. - ESISTENZA DI UN INTERESSE PUBBLICO ALLA ELIMINAZIONE DELL’ATTO.



L’esistenza di un interesse pubblico alla eliminazione dell’atto rientra nell’esercizio della discrezionalità amministrativa della P.A., che deve rispondere sia ad un’esigenza di tutela dell’interesse pubblico sia all’interesse del contribuente di essere sottoposto ad una tassazione equa.



L’interesse pubblico può essere riferito sia a norme specifiche che a valutazioni di “politica amministrativa”.


In materia tributaria, il provvedimento di autotutela può basarsi sui seguenti principi costituzionali:


  • buon andamento della pubblica amministrazione, stabilito dall’art.97 Costituzione;

  • esigenza di ridurre il contenzioso;

  • per i quali l’amministrazione deve esplicitare i motivi di opportunità e di economicità.


5. - DINIEGO E IMPUGNABILITA’.


Anche se si tratta di attività discrezionale, l’esercizio del potere di autotutela è stato considerato doveroso, collegato alla doverosità dell’azione amministrativa ed ai principi di trasparenza e buon andamento della P.A.


In questi casi l’esercizio dell’autotutela è doveroso, anche in presenza di atti definitivi, in quanto gli uffici hanno comunque il dovere di imparzialità e di oggettività, tra cui rientra anche quello di rinunciare a una posizione di vantaggio, quando essa appaia manifestamente ingiusta, senza tener fermo uno atto obiettivamente sbagliato solo perché il contribuente per diverse ragioni (anche per non sua colpa) sia decaduto dai termini per presentare ricorso.


L’autotutela su atti definitivi è imperniato sul concetto di interesse pubblico, che tuttavia si incentra in capo ad un contribuente determinato all’esercizio in modo imparziale della funzione tributaria.


Bisogna prendere atto della sussistenza di una categoria di vizi talmente gravi ed evidenti che non possono passare inosservati davanti al silenzio o al diniego dell’ufficio, forte che il contribuente sia decaduto dai termini per ricorrere.


Il problema è di vedere se nell’attuale sistema del contenzioso tributario esista qualche rimedio giurisdizionale a favore del contribuente in presenza di atti inoppugnabili.


In linea di principio, la tutela dovrebbe riguardare il corretto esercizio di un potere discrezionale, attribuito al giudice amministrativo, il quale potrebbe stabilire se l’amministrazione abbia correttamente interpretato gli interessi in conflitto.


Il giudice amministrativo, però, non ha competenza in materia tributaria e dovrebbe limitarsi a stabilire se l’amministrazione sia illegittimamente rimasta inerte o abbia motivato in modo inadeguato la propria decisione.

La Cassazione, Sez. Unite, sent. n.7388 del 27.03.07, ha affermato che “in tema di contenzioso tributario, e con riferimento all'impugnazione degli atti di rifiuto dell'esercizio del potere di autotutela da parte dell'A.F., il sindacato del giudice deve riguardare, ancor prima dell'esistenza dell'obbligazione tributaria, il corretto esercizio del potere discrezionale dell'Amministrazione, nei limiti e nei modi in cui esso è suscettibile di controllo giurisdizionale, che non può mai comportare la sostituzione del giudice all'Amministrazione in valutazioni discrezionali, né l'adozione dell'atto di autotutela da parte del giudice tributario, ma solo la verifica della legittimità del rifiuto dell'autotutela, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che, ai sensi dell'art. 2-quater del D.L. 564/94, conv. con modificazioni dalla L. n.656/94 e dell'art. 3 del D.M. 37/97, ne giustificano l'esercizio.

Ove il rifiuto dell'annullamento d'ufficio contenga una conferma della fondatezza della pretesa tributaria, e tale fondatezza sia esclusa dal giudice, l'Amministrazione è tenuta ad adeguarsi alla relativa pronuncia, potendo altrimenti esperirsi il rimedio del ricorso per ottemperanza, il quale, peraltro, non attribuisce alle commissioni tributarie una giurisdizione estesa al merito.

In tema di contenzioso tributario, l’art.12, 2^ c., L. 448 del 28.12.01, configurando la giurisdizione tributaria come giurisdizione a carattere generale, indipendentemente dalla specie dell'atto impugnato:


  • prevede la devoluzione alle commissioni tributarie anche delle controversie relative agli atti di esercizio dell'autotutela tributaria, non assumendo alcun rilievo la natura discrezionale di tali provvedimenti, in quanto l'art. 103 Cost. non prevede una riserva assoluta di giurisdizione in favore del giudice amministrativo per la tutela degli interessi legittimi, ferma restando la necessità di una verifica da parte del giudice tributario in ordine alla riconducibilità dell'atto impugnato alle categorie indicate dall’art.19 D.Lgs. 546/92, che non attiene alla giurisdizione, ma alla proponibilità della domanda.


La Cass. sez. unite, sent. n.16776 del 10.08.05 ha stabilito che “sussiste la giurisdizione del giudice tributario in ordine alle impugnazioni proposte avverso il rifiuto espresso o tacito dell’A.F. a procedere ad autotutela. Con l’art.12, 2^ c., L.448/2001, infatti, la giurisdizione tributaria è divenuta una giurisdizione a carattere generale, competente ogniqualvolta si controverta in relazione ad uno specifico rapporto tributario, o su sanzioni inflitte da uffici tributari. Sono, così, al di fuori di tale giurisdizione solo le controversie in cui non è direttamente coinvolto un rapporto tributario, ma viene impugnato un atto di carattere generale o si chiede il rimborso di una somma indebitamente versata a titolo di tributo e di cui l’A.F. riconosce pacificamente la spettanza al contribuente. Si deve tendere ad attribuire queste controversie alle commissioni tributarie per esigenza di certezza del diritto.


L’unica valutazione che può fare il giudice tributario riguarda la correttezza del potere discrezionale, ma non il merito. Il giudice deve accertare che l’istanza sia stata valutata e il potere discrezionale sia stato esercitato.


Se la motivazione di diniego non sussiste o è contraddittoria vi sarà un illegittimo esercizio del potere di autotutela: “Vi sarà un Annullamento del diniego e non dell’atto”.


Il giudice si deve fermare all’esatto esercizio del potere di autotutela. Il contribuente può presentare istanza per il risarcimento del danno ricorrendo al giudice amministrativo.


La Cassazione a sez. unite n.22564, 01.12.04; Cass. Sez. UU. n.16776, 10.08.05, supera l’indirizzo tendente ad affermare la giurisdizione del giudice amministrativo e conferma la giurisdizione tributaria “anche in ordine alle impugnazioni proposte avverso il rifiuto espresso o tacito dell’amministrazione a procedere ad autotutela”, precisando al contempo che “altra e diversa questione, di competenza del giudice tributario, è stabilire se quel rifiuto sia o meno impugnabile, così come valutare se con l’istanza di autotutela il contribuente chieda l’annullamento dell’atto impositivo per vizi originari di tale atto”.

(in tal senso TAR Toscana, sez.I, n.767 del 22.10.99; TAR Campania, sez.I, n.2839 dell’11.03.04; TAR Sicilia, sez.I, n.93 del 13.01.04; TAR Friuli Venezia Giulia, n.86 del 25.02.03)


La Cassazione con le sentenze n.2870 del 06.02.2009, n.3698 del 16.02.2009, n.9669 del 23.04.2009, è ritornata sul problema dell’impugnabilità degli atti di diniego di autotutela.


Con le sentenze nn.2870 e 3698, ha negato la possibilità di impugnabilità degli atti di diniego di autotutela:


  • non essendo tali atti riconducibili ad alcuna delle categorie individuate dall’art.19, D.Lgs. 546/92;

  • per la discrezionalità dell’attività di autotutela;

  • e per l’impossibilità di dare ingresso ad una controversia su di un atto impositivo ormai definitivo.


Con la sentenza n.9669, conferma la precedente giurisprudenza che ritiene esperibile l’impugnativa del rifiuto esplicito di esercizio dell’autotutela, al fine di farne accertare l’eventuale illegittimità.


Con le citate sentenze, la Cassazione ha messo in evidenza due problemi distinti:


  • della giurisdizione sulla domanda;

  • della proponibilità della domanda;

  • ribadendo che l’art.12, 2^ c., L.448/01, ha comportato l’attribuzione al giudice tributario di tutte le controversie in materia di tributi di qualunque genere e specie e, dunque, anche di quelle relative agli atti di autotutela tributaria.


La sent. n.3698 ha esaminato il problema della proponibilità della domanda nei termini ormai superati della riconducibilità degli atti in contestazione nell’ambito delle categorie previste dall’art.19, D.Lgs. 546/92.


Secondo la Cassazione gli atti di rifiuto di autotutela, impugnati dal contribuente, non sono riconducibili ad alcuna delle categorie di cui all’art.19 citato, con conseguente improponibilità della domanda.


Le due sentenze nn.3698 e 2870, hanno affermato l’impossibilità di dare ingresso ad una controversia su di un atto impositivo ormai definitivo:


  • sia per il carattere discrezionale dell’autotutela;

  • sia per perché è impossibile dare ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto divenuto ormai definitivo.


Invece, la Cassazione con la sent. n.9669 ha ritenuto improponibile il ricorso avverso il diniego espresso di autotutela per i seguenti motivi:


  • la società ricorrente aveva invocato, in via di autotutela, l’annullamento degli avvisi di accertamento divenuti definitivi, anziché l’illegittimità del rifiuto di autotutela, confermando la giurisprudenza precedente (sent. n.7388/07).


La sent. n.9669, in effetti, ritiene impugnabile il rifiuto esplicito di esercizio dell’autotutela soltanto sulla legittimità del rifiuto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria, in quanto costituirebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa.


Diverso è il caso di impugnabilità del rifiuto di autotutela allorchè non sia stata esercitata in relazione a situazioni sopravvenute che incidono sull’atto.


Per fatti analoghi, la Cass. sent. n.3608/2006, ha accolto il ricorso avvero un diniego di autotutela che non aveva tenuto conto di un evento sopraggiunto, rappresentato da una legge successiva in materia di condono, applicabile ad infrazioni meramente formali.


Anche l’art.2 D.M. 37/97 (Ipotesi di annullamento d'ufficio o di rinuncia all'imposizione in caso di auto accertamento), al 1^ c., lettt. f)-g), prevede che:


L'A.F. può procedere, in tutto o in parte, all'annullamento o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell'atto o dell'imposizione, quali tra l'altro, la mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza o della sopravvenienza di requisiti per fruire di un’agevolazione prima negata”.


Dunque, nel caso di un atto illegittimo o infondato ab-origine, l’amministrazione può esercitare il potere discrezionale di annullarlo o revocarlo, sempre che su di esso non si sia formato un giudicato (in senso sostanziale e non semplicemente per motivi di carattere processuale).


Nel caso di vizi determinatesi successivamente alla formazione dell’atto, il potere di autotutela dovrà pur sempre essere esercitato in presenza delle ragioni di rilevante interesse generale, ai sensi dell’art.2-quater, D.L.564/94 e dell’art.3, D.M. 37/97 e l’eventuale diniego potrà essere impugnato.


Secondo la Cass. sez. unite, sent. N.16776/2005, è impugnabile, oltre al rifiuto espresso dell’amministrazione, anche il rifiuto tacito, a procedere all’autotutela.


Tale assunto sembra lasciare dei dubbi, in quanto davanti le commissioni tributarie non sono impugnabili i comportamenti inerti dell’A.F., tranne che nel caso, espressamente previsto, di presentazione di domanda di restituzione di somme e di inutile successivo decorso del termine di 90 giorni.


Anche in diritto amministrativo, il carattere discrezionale dell’esercizio dell’autotutela rende inapplicabile la regola del silenzio-rifiuto.


Pertanto, in sede di autotutela, il giudice tributario ha il compito:


  • prima di verificare se con l’istanza il contribuente abbia chiesto il ritiro dell’atto per vizi originari o per eventi sopravvenuti,


  • ed una volta che, versandosi nella seconda ipotesi, abbia ritenuto il rifiuto impugnabile, poi di dichiararne la illegittimità.


Il tipo di controllo consiste soltanto nella verifica della legittimità del rifiuto dell’autotutela, non potendo il giudice sostituirsi all’amministrazione in valutazioni discrezionali.


Tuttavia, può accadere che l’A.F. non si adegui alla pronuncia di annullamento dell’atto di diniego, ed in tal caso potrà essere esperito il rimedio del ricorso in ottemperanza, ai sensi dell’art.70, D.Lgs. 546/92, che non attribuisce alle commissioni tributarie una giurisdizione estesa al merito (a differenza di quanto previsto avanti il giudice amministrativo, ex art.27, n.4, R.D. 1054/1924).


L’esperibilità dell’impugnazione del rifiuto di autotutela deve seguire un giudizio di ottemperanza per la realizzazione dell’interesse posto a base dell’istanza di autotutela, aggirando così la sanzione della decadenza, dando ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo.


In conclusione, si può dire che il ricorso all’autotutela è sempre ammesso, per tutte i tipi di provvedimenti (rigetto e silenzio-rifiuto), addirittura anche in presenza di sentenza passata in giudicato, tranne l’ipotesi in cui la res iudicata sia entrata nel merito del rapporto tributario.


Deriva che, come affermato dalla giurisprudenza, l’autotutela consisterebbe in un’attività amministrativa vincolata, posta in essere nell’esercizio:


  • o di un potere che comporta un’attività preliminare di mero accertamento dei presupposti di fatto,

  • o, in subordine, di un potere discrezionale che attribuisce al contribuente un interesse legittimo a che l’amministrazione eserciti in modo ragionevole e non arbitrario il proprio dovere di autotutela.


Proprio per il fatto che si possono verificare situazioni pratiche di disparità di trattamento tra situazioni pressoché analoghe, la giurisprudenza sostiene che:


è preciso obbligo dell’ufficio finanziario, nell’esercizio dei suoi poteri di autotutela, eliminare errori propri o del contribuente, quando esso stesso li rilevi o quando tali errori siano portati a sua conoscenza”; o ancora che “l’ufficio, nell’esercizio del suo potere di autotutela è tenuto ad eliminare errori propri o del contribuente (CTC, VIII, n.3639 del 22.04.88).


Vale la pena ricordare che, secondo la Cass. sez. unite n.10328, del 3.10.1991, rimane comunque esperibile l’azione di ingiustificato arricchimento contro l’amministrazione ex art. 2041 e 2042 c.c. e quella di responsabilità nei confronti della stessa amministrazione o del funzionario ex art. 28 Cost., che implicitamente disconoscerebbe la tesi dell’inapplicabilità dell’autotutela quando l’atto sia divenuto definitivo, in considerazione del fatto che, indipendentemente dalla definitività dell’atto, l’autotutela sia dovuta ove ne ricorrano i presupposti, quando cioè l’amministrazione abbia emanato atti non conformi alla legge.


8 maggio 2010

Antonino Pernice