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Indagini finanziarie: dentro anche le posizioni fuori conto
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L’assenza di contraddittorio nelle indagini finanziarie inficia il procedimento e non degrada la presunzione legale in semplice?
Il dettato normativo di riferimento dei controlli bancari/finanziari si rinviene, per le imposte dirette, negli artt. 32, comma 1, n. 2, 5 e 7 del D.P.R. n. 600/1973, e per l’IVA, nell’art. 51, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, così come modificati dai commi 402, 403 e 404, dell’art. 1, dalla legge n. 311/2004 – cd. Finanziaria 2005, e dalle norme introdotte dall’art. 37, commi 4 e 5, del D.L. n.223/06, conv. con modif. in Legge n. 248/2006.
Tale forma di indagine trae alimento dalla presenza di presunzioni iuris tantum, e dunque dall’inversione dell’onere della prova, posto a carico dei soggetti sottoposti a controllo.
Se è vero che siamo in presenza di presunzioni relative, per la forza data dalla norma, si atteggiano quasi a presunzioni assolute, poiché richiedono delle prove forti per dimostrare i fatti impeditivi od ostativi al verificarsi del presupposto d’imposta, posto che gli stessi giudici tributari trovano nella perentorietà delle norme un limite alla propria discrezionalità.
Sulla base del dettato normativo, gli elementi risultanti dal conto sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza per lo stesso fine: pertanto, i prelevamenti, oltre che i versamenti, si considerano ricavi tassabili ai fini delle imposte sul reddito, qualora non sia indicato il beneficiario o non si abbia riscontro nelle scritture contabili tenute dal contribuente.
Ai fini Iva i prelevamenti sono considerati come pagamenti per operazioni passive non autofatturate (limitatamente ai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili), e sia le operazioni imponibili (desunte dagli accreditamenti) sia gli acquisti (desunti dagli addebitamenti), che sulla base dei conti intrattenuti non trovano riscontro nella dichiarazione, si considerano effettuati all’aliquota che mediamente risulta prevalente o che in prevalenza avrebbe dovuto essere applicata.
In pratica, l’equazione prelevamenti uguale ricavi deriva dal fatto che normalmente le uscite non giustificate riguardano costi sostenuti in nero proprio perché correlati a ricavi non contabilizzati.
Il contraddittorio
Come è noto, l’Amministrazione finanziaria il 19 ottobre 2006 ha diramato la circolare n. 32 con la quale in ordine al contraddittorio ha evidenziato che, pur se il contraddittorio risulta “essenziale nella fase prodromica dell'accertamento in quanto l'indagine - prima solamente di natura bancaria e ora più in generale finanziaria -, pur realizzando un'importante attività istruttoria, non costituisce uno strumento di applicazione automatica, atteso che i relativi esiti devono essere successivamente elaborati e valutati per assumere, non solo in sede amministrativa ma anche in quella giudiziaria, la valenza di elementi precisi e fondanti ai medesimi fini impositivi”.
Infatti, il preventivo contraddittorio pur se “opportuno per provocare la partecipazione del contribuente, finalizzata a consentire un esercizio anticipato del suo diritto di difesa, potendo lo stesso fornire già in sede precontenziosa la prova contraria, e rispondente a esigenze di economia processuale, al fine di evitare l'emissione di avvisi di accertamento che potrebbero risultare immediatamente infondati alla luce delle prove di cui il contribuente potesse disporre”, è solo una mera facoltà dell'ufficio, senza che rivesta carattere di obbligatorietà.
Pertanto – prosegue il documento - “il mancato invito dell'ufficio medesimo non inficia la legittimità della rettifica, ove basate sulle presunzioni previste dalle norme in esame. Peraltro, detto orientamento sostiene che la mancata instaurazione del contraddittorio non degrada la prevista presunzione legale a presunzione semplice, fermo restando, quindi, l'onere probatorio contrario in capo al contribuente (da ultimo, Cassazione n. 8253/2006 e n. 5365/2006)”.
Il valore probatorio degli elementi raccolti, configurando una presunzione di natura juris tantum, potrà essere ribaltato dal contribuente in sede precontenziosa o meno, fornendo, le prove di volta in volta necessarie.
In ordine alla legittimità o meno del contraddittorio esperito da un organo diverso dall'ufficio competente, la stessa circolare n. 32/2006 osserva che “stante la diretta riconducibilità all'attività di accertamento della valutazione delle risposte e dei chiarimenti forniti dal contribuente, spetta esclusivamente all'ufficio locale - istituzionalmente e territorialmente competente in ragione del domicilio fiscale del contribuente soggetto a controllo - la decisione finale circa l'attitudine degli esiti acquisiti a costituire il presupposto da porre a base della rettifica o dell'accertamento, secondo lo schema legale della presunzione e del conseguente onere della prova liberatoria offerta dal contribuente”.
Qualora il contraddittorio sia stato svolto dalla Guardia di finanza, “il contributo offerto da tale contraddittorio, se ritenuto appagante per l'analisi dell'ufficio, esonera quest'ultimo dalla successiva ripetizione dell'esperimento, sempreché formalizzato in un processo verbale”.
Atteso che titolare del potere di accertamento è solo l’ufficio locale e che le risultanze del contraddittorio formalizzate in un processo verbale costituiscono solo un atto istruttorio (sia se esperito dai verificatori degli uffici locali che dalla Guardia di Finanza) “qualora gli esiti di tale contraddittorio non si rivelino coerenti con le risultanze istruttorie e le elaborazioni analitiche dell'ufficio, questo, al precipuo fine di utilizzare la presunzione legale di cui ai ripetuti numeri 2), provvederà ad approfondire direttamente le incongruenze o le esigenze successivamente evidenziatesi rispetto al contenuto del verbale pervenuto, tramite la ripetizione del contraddittorio già effettuato”.
La posizione giurisprudenziale
Né possiamo sostenere che questa è la posizione delle Entrate mentre la giurisprudenza è di segno opposto.
Infatti, la sentenza n. 2821 del 6 novembre 2007 (dep. il 7 febbraio 2008) aveva già evidenziato che non osta alla legittimità degli accertamenti bancari il mancato coinvolgimento del contribuente. La Cassazione, nella citata sentenza n. 2821/2008, in ordine alla questione posta, smantella la difesa di parte, richiamando quanto ha già avuto modo “di ripetutamente affermare (Cass., trib., 23 giugno 2006 n. 14675, cit.; 27 giugno 2005 n. 13808; 17 maggio 2002 n. 7267; 29 marzo 2002 n. 4601; 26 febbraio 2002 n. 2814; 18 gennaio 2002 n. 518, tra le recenti)…che va confermato in quanto nelle esposte argomentazioni della contribuente non si ravvisano convincenti argomentazioni per discostarsi dallo stesso:….la legittimità della utilizzazione, da parte dell' Amministrazione Finanziaria, dei movimenti dei conti correnti bancari non è condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell'accertamento, atteso che l'art. 32 DPR 29 settembre 1973 n. 600, invocato dalla contribuente, prevede il contraddittorio come oggetto di una mera facoltà dell'amministrazione tributaria e non già di un obbligo per la stessa”.
Pertanto, non possiamo che ritenere che il contraddittorio non è necessario per dare legittimità agli atti di accertamento, in quanto nessuna norma prevede la nullità dell’azione di accertamento nel caso in cui non venga instaurato il contraddittorio anticipato con il contribuente, al fine di consentirgli di fornire la prova contraria.
Il contraddittorio personale del contribuente con l'Ufficio non costituisce un presupposto dell' accertamento che intenda fondarsi sui dati risultanti dai conti bancari, né la presunzione di ricavi sia sui versamenti che sui prelevamenti, viene meno qualora non sia instaurato il contraddittorio tra ufficio e contribuente.
In pratica non è sostenibile la tesi secondo cui il contraddittorio preventivo costituisce presupposto delle presunzioni legali, né che costituisce un contrappeso della presunzione legale relativa di imponibilità dei movimenti bancari.
La Corte di Cassazione, sbriciola infatti il teorema di quanti sostengono che, una volta emesso l’accertamento, in difetto di instaurazione del contraddittorio, sarebbe l'ufficio a dover fornire, sia pure utilizzando le norme sul valore probatorio di versamenti e prelevamenti, la prova della gravità, precisione e concordanza degli elementi ricavati dall'esame dei conti. La prova, invece, resta sempre a carico del contribuente.
E’ su questa lunghezza d’onda continua ad essere la Corte di Cassazione che con sentenza n. 6094 del 13 marzo 2009 ha ricordato il principio affermato da questa Corte, “secondo il quale in tema di accertamento delle imposte sul reddito, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, nella parte in cui prevede l'invito al contribuente a fornire dati e notizie in ordine agli accertamenti bancari, non impone all'Ufficio l'obbligo di uno specifico e previo invito, ma gli attribuisce una mera facoltà, della quale può valersi in piena discrezionalità; il mancato esercizio di tale facoltà non può quindi determina l'illegittimità della verifica operata sulla base dei medesimi accertamenti, nè comporta la trasformazione della presunzione legale posta dalla norma in esame in presunzione semplice, con possibilità per il Giudice di valutarne liberamente la gravità, la precisione e la concordanza, e con il conseguente onere per il fisco di fornire ulteriori elementi di riscontro”.
L’inesistenza di un obbligo di preventivo contraddittorio con il contribuente sulle movimentazioni bancarie/finanziarie è stata altresì raffermata con sentenza n. 2753 del 5 febbraio 2009 (ud. del 28 ottobre 2008), la quale – richiamando diverse precedenti pronunce – (Cass., trib.: 7 febbraio 2008 n. 2821; 7 settembre 2007 n.18868; 23 giugno 2006 n. 14675; 27 giugno 2005 n. 13808; 17 maggio 2002 n. 7267; 29 marzo 2002 n. 4601; 26 febbraio 2002 n. 2814; 18 gennaio 2002 n. 518, tra le recenti) ha confermato il principio per il quale “la legittimità della utilizzazione, da parte dell'Amministrazione Finanziaria, dei movimenti dei conti correnti bancari non è condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell'accertamento, atteso che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, prevedono il contraddittorio come oggetto di una mera facoltà dell'amministrazione tributaria e non già di un obbligo per la stessa”.
L'attività di accertamento degli uffici finanziari, infatti (Cass., trib.: 21 dicembre 2005 n. 28316; 10 dicembre 2003 n. 18851; 23 maggio 2003 n. 8143; 16 maggio 2003 n. 7666; 18 aprile 2003 n. 6232; 13 giugno 2002 n. 8422; 23 marzo 2001 n. 4273; 3 marzo 2001 n. 3128; 28 luglio 2000 n. 9946), avendo natura amministrativa, “deve svolgersi nel rispetto delle previste cautele per evitare arbitrii e la violazione di fondamentali diritti del contribuente ma non è retta dal principio del contraddittorio per cui la previsione, nelle norme invocate, della convocazione del contribuente con l'invito al medesimo a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari, ha solo il fine di consentire all'Amministrazione di acquisire elementi istruttori e non impongono alla stessa un obbligo per cui le risultanze emerse dall'attività di verifica, prodromica all'emissione dell'avviso di rettifica, ben possono costituire valido supporto probatorio della pretesa impositiva a tale avviso sottesa anche in mancanza di immediata contestazione al contribuente in sede di verifica”.
Francesco Buetto
6 Ottobre 2009