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Cassa Integrazione Guadagni in deroga alla vigente normativa per lavoratori apprendisti - Precisazioni del Ministero del Lavoro
Con interpello n. 52/2009 del 5 giugno 2009, il Ministero del Lavoro ha dato risposta affermativa ad un quesito proposto dalla Confindustria circa l’ammissibilità, per un’impresa che intenda fruire degli ordinari ammortizzatori sociali, della richiesta di Cassa Integrazione Guadagni in deroga alla vigente normativa per i lavoratori apprendisti, presentata contestualmente all’istanza volta ad ottenere
In concreto, il cennato Dicastero osserva che nonostante che gli apprendisti non rientrino nell’ambito dei lavoratori aventi diritto al trattamento ordinario o straordinario di integrazione salariale, tuttavia, il Decreto-Legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla Legge 28 gennaio 2009, n. 2, all’art. 19, comma 8, stabilisce che le risorse finanziarie destinate agli ammortizzatori sociali in deroga possono essere utilizzate con riferimento a tutte le tipologie di lavoro subordinato, compresi i contratti di apprendistato e di somministrazione. Inoltre, ai sensi del comma 1-bis del citato articolo, nel testo riformulato dall’art. 7-ter, comma 9, del Decreto-Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni dalla Legge 9 aprile 2009, n. 33, nei casi in cui manchi l’intervento integrativo degli Enti bilaterali (ove previsti dalla contrattazione collettiva), il periodo di tutela di cui al comma 1, lettera c), dello stesso art. 19 (vale a dire il trattamento pari all’indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti ridotti per una durata massima di novanta giorni nell’intero periodo di vigenza del contratto di apprendistato), si considera esaurito ed i lavoratori possono accedere direttamente al trattamento in deroga. Ad avviso del Ministero, la “ratio” della predetta disposizione deve essere individuata nella precisa volontà del legislatore di assicurare la più ampia forma di sostegno del reddito dei lavoratori di imprese in difficoltà (compresi i lavoratori assunti con contratto di apprendistato), mediante il riconoscimento della Cassa Integrazione Guadagni in deroga. Risulta quindi essere coerente con le intenzioni del legislatore la presentazione di una domanda di Cassa Integrazione Guadagni in deroga per i lavoratori apprendisti unitamente ad un’altra finalizzata ad ottenere l’integrazione salariale ordinaria o straordinaria.
Questa contestualità, infatti, garantendo anche agli apprendisti il trattamento di sostegno assicurato agli altri lavoratori subordinati, consente all’impresa di mantenere invariata la propria dimensione aziendale, preservandola, altresì, dal rischio di dispersione del patrimonio di professionalità in via di formazione. In conclusione, il Ministero del Lavoro fa presente che – in conformità a quanto avviene per la generalità dei lavoratori che fruiscono degli ordinari ammortizzatori sociali - le prestazioni di Cassa Integrazione Guadagni in deroga hanno decorrenza nel momento della sospensione del rapporto di lavoro degli apprendisti.
Messaggio INPS n. 13406 del 10 giugno 2009.
Crisi produttive - Cassa Integrazione Guadagni ordinaria e straordinaria - Criteri di fruibilità - Istruzioni dell’INPS
L’art. 6, comma 1, della Legge 20 maggio 1975, n. 164, dispone che l’integrazione salariale ordinaria viene corrisposta fino ad un periodo massimo di tre mesi continuativi; in casi eccezionali detto periodo può essere prorogato trimestralmente sino ad un massimo complessivo di dodici mesi.
Ai sensi dei commi 3-4 dello stesso articolo, qualora l’impresa abbia fruito di dodici mesi consecutivi di integrazione salariale, una nuova domanda può essere proposta per la medesima unità produttiva per la quale l’integrazione è stata concessa, quando sia trascorso un periodo di almeno cinquantadue settimane di normale attività lavorativa. L’integrazione salariale relativa a più periodi non consecutivi non può superare complessivamente la durata di dodici mesi in un biennio “mobile”.
Con circolare n. 58 del 20 aprile 2009,
In particolare, l’Istituto ha precisato che i limiti massimi indicati dall’art. 6, comma 1, della Legge n. 164/1975, possono essere computati avuto riguardo, non ad una intera settimana di calendario, ma alle singole giornate di sospensione del lavoro e considerando usufruita una settimana soltanto nell’ipotesi in cui la contrazione del lavoro abbia interessato sei giorni, ovvero cinque in caso di settimana corta.
Si segnala ora che, con messaggio n. 13406 del 10 giugno 2009,
In proposito, l’INPS evidenzia che il Ministero del Lavoro, con lettera-circolare prot. 14/0005251 del 30 marzo
Secondo i chiarimenti forniti nella citata lettera-circolare, l’”evento improvviso ed imprevisto”, che genera la crisi aziendale, deve intendersi riferibile non solo a fattispecie interne alla singola impresa, ma anche a tutte le situazioni, quali la riduzione delle commesse, la perdita di quote di mercato interno o internazionale, la contrazione delle esportazioni e la difficoltà di accesso al credito, che, prolungandosi nel tempo, comportino ricadute negative sui volumi produttivi o sui volumi di attività e, di conseguenza, sull’occupazione.
Tenuto conto degli indirizzi divulgati da parte del ministero, l’INPS ritiene che un’azienda, la cui crisi sia ricompresa nei criteri sopra descritti, abbia titolo ad accedere alla Cassa Integrazione Guadagni straordinaria immediatamente dopo e senza soluzione di continuità con
L’impresa, in tale ipotesi, presenterà al Ministero del Lavoro istanza di concessione della Cassa Integrazione Guadagni straordinaria ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera e), del menzionato Decreto Ministeriale n. 31826/2002. Il Ministero del Lavoro - conclude l’INPS – avrà facoltà di disporre l’erogazione del trattamento di integrazione salariale straordinaria a conguaglio, ovvero con pagamento diretto da parte dell’Istituto, in funzione di quanto disposto dall’art. 2, comma 6, della Legge 23 luglio 1991, n. 223.
Interpello al Ministero del Lavoro n. 51/2009 del 5 giugno 2009.
Interruzione di gravidanza dopo il 180° giorno dall’inizio della gestazione - Irrinunciabilità del congedo di maternità “post partum” - Precisazioni del Ministero del Lavoro
Con interpello n. 51/2009 del 5 giugno 2009, il Ministero del Lavoro ha risposto ad un quesito concernente la possibilità di adibire al lavoro la lavoratrice, durante il periodo di congedo obbligatorio “post partum”, nel caso di interruzione di gravidanza, nell’ipotesi in cui la lavoratrice stessa lo richieda espressamente e supporti la rinuncia al diritto di fruire del predetto periodo di astensione con certificati rilasciati sia dal medico curante sia dal medico competente, comprovanti il suo stato di buona salute.
Al riguardo, il menzionato Dicastero evidenzia che:
— l’art. 16 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 sancisce, tra gli altri, il divieto di adibire al lavoro le donne durante il periodo di congedo obbligatorio successivo al parto (tre o quattro mesi a seconda che la lavoratrice si sia avvalsa o meno della flessibilità prevista dall’art. 20 dello stesso decreto legislativo, ovvero durante il cosiddetto “periodo di puerperio”);
— ai sensi dell’art. 12, comma 2, del Decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026, l’interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza che si verifichi dopo il 180° giorno dall’inizio della gestazione è considerata, “a tutti gli effetti”, come parto.
L’interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza avvenuta prima del 180° giorno dall’inizio della gestazione viene invece qualificata come semplice malattia (art. 19, comma 1, del Decreto Legislativo n. 151/2001).
Pertanto, il Ministero del Lavoro sottolinea che il divieto di cui all’art. 16 del Decreto Legislativo n. 151/2001, permane anche nelle ipotesi di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza avvenuta successivamente al 180° giorno dall’inizio della gestazione, atteso che tale circostanza equivale al parto.
La lavoratrice non potrà, quindi, essere adibita al lavoro, nel periodo di astensione obbligatoria successivo all’evento interruttivo, evento che coincide non con la morte del nascituro, bensì con l’espulsione del feto, con conseguente diritto all’indennità di maternità, così come già precisato dalla Direzione Generale dell’INPS con la circolare n.
Da ultimo, il Ministero del Lavoro pone in rilievo che il divieto di adibizione al lavoro in discorso non decade né in presenza dell’esplicita rinuncia della lavoratrice al diritto di godere del periodo di congedo obbligatorio “post partum”, trattandosi di diritto indisponibile, né tantomeno in presenza dell’attestazione da parte del medico curante e/o del medico competente dell’assenza di controindicazioni alla ripresa dell’attività lavorativa.
L’inosservanza al predetto divieto, infatti, costituisce, ai sensi dell’art. 18 del Decreto Legislativo n. 151/2001, ipotesi di reato penalmente sanzionata, a prescindere dall’accertamento in concreto delle condizioni psicofisiche della puerpera, poiché l’illecito ricorre sulla base della semplice presunzione, operata dal legislatore, della idoneità della condotta a ledere, o semplicemente mettere in pericolo, la salute della lavoratrice nel periodo di congedo “post partum”.
Massimo Pipino
30 Giugno 2009