PREMESSA
Con il D. Lgs. 9 gennaio 2006 n. 5 il Governo ha attuato la delega contenuta nell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80 di “Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali”, riscrivendo una normativa che, dopo oltre sessant’anni di vita, appariva anacronistica e non più idonea a rispondere, con efficacia e immediatezza, alle esigenze dell’impresa e a quelle poste dall’economia di mercato, sempre più globalizzata.
Successivamente, in risposta alle richieste di modifica provenienti dalla dottrina e dagli operatori professionali, il Governo con il decreto legislativo “correttivo” del 12 settembre 2007 n. 169 ha dato attuazione alla delega contenuta nell’articolo 1, comma 5 bis, della legge n. 80 del 2005 – comma aggiunto dall’articolo 1 comma 3 della legge 2 luglio 2006 n. 5 - effettuando aggiustamenti tecnici e modifiche sostanziali, in alcuni casi rilevanti, ma sempre in coerenza con la filosofia che ha pervaso l’intera riforma, volta a “privatizzare” le procedure concorsuali.
Infatti, il decreto correttivo, in vigore dal 1 gennaio 2008, rappresenta l’ultima tappa di una staffetta il cui primo step si è avuto la scorsa primavera, con il decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge n. 80/2005, nell’ambito della disciplina per il rilancio della competitività, con il quale si è proceduto alla riscrittura del concordato preventivo, modificando gli artt. 160, 161, 163, 167, 180, 181, della revocatoria fallimentare e all’introduzione di due nuovi istituti, l’accordo di ristrutturazione dei debiti, disciplinato dall’art. 182 bis l.f., e il piano attestato di risanamento, previsto dall’art. 67 comma 3 lett. e) (G. Lo Cascio, Il nuovo concordato preventivo: uno sguardo d’assieme, in Il Fallimento, 2006, 999; Il nuovo concordato preventivo ed altri filoni giurisprudenziali, in nota a Trib. Milano 10 marzo 2006, decr.; Trib. Palermo 17 febbraio 2006, decr.; Trib. Milano 29 dicembre 2005; Trib. Milano 12 dicembre 2005, decr.; Trib. Milano 20 ottobre 2005, decr.; Trib. Milano 30 settembre 2005, decr.; Trib. Milano 22 luglio 2005, decr., ibidem, 581; M. Giuliano, “Il nuovo concordato preventivo: si parte dallo “stato di crisi”, in Diritto e Pratica delle Società, n. 13 del 2005, Il Sole24ore, pagg. 22 ss.; e dello stesso autore Il nuovo concordato preventivo: i presupposti e le condizioni di accesso, Diritto e Giustizia quotidiano di informazione, www.dirittoegiustizia.it).
Tuttavia i venti della riforma della disciplina delle procedure concorsuali soffiavano sin dal 2002 quando il Governo istituiva la c.d. Commissione Ministeriale Trevisanato (dal nome dell’esperto chiamato a presiederla), con il compito di redigere un disegno di legge delega per la riforma organica della legge fallimentare. Contemporaneamente veniva varato un disegno di legge (AS1243 del 2002: d.l. “Caruso”) contenente una serie di integrazioni e modificazioni all’originaria legge fallimentare derivanti dalle numerose pronunce della Corte Costituzionale che si erano succedute nel tempo, e dalla giurisprudenza consolidata su alcuni specifici punti.
La “Commissione Trevisanato” concluse i lavori nel 2004 presentando al Governo due progetti di legge delega, uno votato dalla maggioranza dei componenti, l’altro da una minoranza di cui spiccano esponenti del mondo bancario.
La situazione di stallo provocata dalla predisposizione di due concorrenti disegni di legge portò il Governo a costituire una commissione ristretta alla quale fu conferito l’incarico di predisporre un terzo testo definitivo, e non più un disegno di legge, da sottoporre al Parlamento per la votazione. La Commissione ristretta elaborò una legge di riforma delle procedure concorsuali costituita da oltre 250 articoli, resa oggetto di pubblici dibattiti e congressi, ma che non fu mai presentata al Consiglio dei Ministri.
Alla fine del 2004, il Consiglio dei Ministri approvò un corposo emendamento, c.d. Maxiemendamento, al disegno di legge “Caruso” che languiva al Senato dal 2002.
Con i provvedimenti resisi urgenti per il rilancio della competitività delle imprese, il Governo approvò un complesso e articolato decreto legge immediatamente entrato in vigore, nell’ambito del quale venne introdotta una disposizione che apportava modifiche sostanziali all’azione revocatoria e all’istituto del concordato preventivo, e introduceva nuovi istituti volti alla composizione negoziale della crisi di impresa. La legge di conversione del decreto, legge n. 80 del 2005, confermò le disposizioni dettate dal D.L. 14 marzo 2005 n. 35 ed aggiunse la delega al Governo per la riforma organica della disciplina delle procedura concorsuali, dettando i relativi principi e criteri direttivi.
Il burrascoso ed incerto cammino della (e) riforma (e) della legge fallimentare prende slancio in conseguenza dei gravissimi dissesti finanziari Parmalat e Volare, che indussero il Governo a emanare d’urgenza i cosiddetti decreti “Marzano”, comunemente ribattezzati decreti “Parmalat – Volare”. Con tali decreti si è voluto salvaguardare i valori aziendali sottraendo alla liquidazione dell’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in insolvenza, contenute nel D. Leg. 270/99, le imprese versanti in stato di decozione.
Ed è proprio dallo speciale concordato previsto dalla Legge Marzano che, prima il concordato preventivo e poi quello fallimentare, sembrano trarre spunto i progetti di legge predisposti dalla Commissione Trevisanato e in quelli successivi.
Gli elementi di assoluta novità, che troveranno accoglimento nelle due soluzioni concordatarie, sono principalmente la suddivisione dei creditori in classi; il trattamento differenziato fra creditori appartenenti a classi diverse; le modalità di soddisfazione dei creditori; la possibilità di sovvertire la disciplina dei privilegi, prevedendo il pagamento in percentuale dei creditori prelazionati.
Dunque in seguito alle tre leggi di riforma (e controriforma) succedutesi nell’arco di tre anni, il quadro d’insieme che si evince è quello di un sistema in cui l’impresa viene posta al centro dell’impianto normativo, dove lo scopo principale è quello di recuperare, attraverso soluzioni concordatarie, i valori aziendali, disincentivando la liquidazione dei singoli componenti della stessa, evidentemente spuri di quel valore immateriale che solo l’azienda integra può generare e valorizzare, anche quando l’insolvenza è già esplosa e ha dato luogo all’apertura della procedura del fallimento.
Ci troviamo dunque di fronte ad una legge fallimentare che – come evidenziato dalla relazione illustrativa alla prima legge di riforma - considera “le procedure concorsuali non più in termini interamente liquidatori – sanzionatori, ma piuttosto come destinate a un risultato di conservazione dei mezzi organizzativi dell’impresa, assicurando la sopravvivenza, ove possibile, di questa e, negli altri casi, procurando alla collettività, e in primo luogo agli stessi creditori, una più consistente garanzia patrimoniale attraverso il risanamento e il trasferimento a terzi delle strutture aziendali”.
Nel perseguire i predetti obiettivi si è proceduto,quindi, verso la privatizzazione della crisi d’impresa favorendo, da un lato, il più possibile gli accordi tra i soggetti protagonisti della crisi, debitore e creditori, e dall’altro limitando il potere d’ingerenza del giudice delegato, (sottraendo spazi del diritto concorsuale alla giurisdizione) affidandogli poteri tipicamente giurisdizionali, di risoluzione di conflitti e di garanzie della legalità.
In tale contesto si è quindi deciso di affidare la gestione del fallimento al curatore, il quale, in costante contraddittorio con il comitato dei creditori, vero erede dei poteri del giudice delegato, cercherà di massimizzare la liquidazione dell’impresa. Potere che, come vedremo, è stato – con il decreto correttivo - traslato verso il comitato dei creditori, organo della procedura rappresentativo dei principali interessati all’esito della stessa.
Si è assistito dunque ad una distribuzione qualitativa dei poteri prima attribuita al giudice delegato, ora, non sempre razionalmente, affidati al comitato dei creditori e al curatore.
I compiti di amministrazione del patrimonio del debitore e di gestione della procedura affidati al giudice sotto la vigenza della precedente legge fallimentare erano giustificati dall’impronta pubblicistica e dirigistica caratterizzante tutte le procedure concorsuali.
Al comitato dei creditori – quale espressione collettiva dell’interesse comune al ceto creditorio – si è voluto affidare quelle maggiori competenze finalizzate ad un maggior coinvolgimento nella gestione della crisi d’impresa che, secondo un’attenta e qualificata dottrina, finirà tuttavia per condizionare l’andamento e l’esito del fallimento. Infatti, in aggiunta alle originarie funzioni consultive e di controllo del comitato, il decreto correttivo attribuisce poteri di autorizzazione per gli atti del curatore (Cfr. artt. 32, 35, 38, 41, 42, 72, 73, 81 e 104-ter l.fall.).
Vi è stato dunque un potenziamento di tale organo che, lungi da divenire strumento dei creditori forti a scapito dei piccoli creditori privati, dovrà invece essere canalizzato sotto il controllo del giudice, verso la massima soddisfazione di tutta la collettività di creditori coinvolti nella crisi aziendale.
Il risanamento e il recupero della crisi e/o insolvenza dell’impresa diventano dunque i due principali obiettivi che si è posto il nuovo regolamento delle procedure concorsuali, finalizzati alla rigenerazione di ricchezza e al salvataggio dei posti di lavoro, che lasceranno lo spazio alla liquidazione dell’azienda solo se concretamente inattuabili.
E’ in tale contesto si colloca il concordato fallimentare che da “modo di chiusura del tutto speciale e processualmente non naturale” (Roncoletta, Del concordato, in Codice del fallimento, a causa di P. Pajardi, quarta ed. p. 900) diventa strumento finalizzato all’ultimo tentativo di risanamento dell’azienda.
LA NATURA GIURIDICA DEL CONCORDATO FALLIMENTARE
La legge di riforma delle procedure concorsuali, che per consenso unanime ha contrattualizzato l’insolvenza, ha fatto assumere al concordato fallimentare un’impronta marcatamente privatistica, in considerazione dell’estensione della legittimazione attiva, della libertà di contenuto della proposta, dell’applicazione piena del principio maggioritario nel sistema di votazione e della sottrazione di poteri valutativi del giudice delegato, divenuto mero controllore della legalità. (G.P. Villani, Il concordato fallimentare, in Il diritto fallimentare riformato, (a cura di) Schiano di Pepe, Padova, 2007, 492).
Tuttavia è vero pure che è sempre necessario un provvedimento del Giudice e, nel caso di dissenso di alcune classi di creditori, c’è ancora un recupero di potere del tribunale sulla valutazione della proposta.
Appare allora ancora valida quella tesi che rifiuta di catalogare l’istituto in modo unitario ed inscindibile, preferendo, invece, una interpretazione che tenga conto di ciascuna norma privatistica e pubblicistica, in funzione della ratio che caratterizza le specifiche situazioni sostanziali e processuali da regolare. (G. Lo Cascio, Concordato fallimentare con assunzione: modifiche dello schema normativo degli effetti, nota a Cass. 29 aprile 1992 n. 5147, Giust. Civ. 1992,I, 1709).
Si consideri, ad esempio, tutti i casi in cui il debitore non assuma alcuna iniziativa e sia invece un terzo a presentare la proposta, dando così vita ad un accordo direttamente con i creditori avente ad oggetto il patrimonio del fallito. (De Crescenzo – Mattei – Panzani, La riforma organica delle procedure concorsuali, Milano, 2006, 147).
I SOGGETTI LEGITTIMATI, LA DOMANDA E IL CONTENUTO DEL CONCORDATO
La disciplina del concordato fallimentare in vigore dal 1 gennaio 2008 è il frutto di due fondamentali interventi legislativi: ad opera del D. Lgs 9 gennaio 2006 n. 5, con il quale si è proceduto ad una prima rivisitazione dell’istituto, attribuendo a chiunque la legittimazione a formulare la proposta di concordato e, dunque, non solo al fallito; ampliando il possibile contenuto della domanda; anticipando la possibilità di presentare l’istanza sin dalla dichiarazione di fallimento, salvo il caso in cui a proporla fosse stato lo stesso fallito, mentre prima bisognava aspettare l’esecutività dello stato passivo; prevedendo la possibilità di soddisfare i creditori privilegiati in percentuale del loro credito; sottraendo poteri all’autorità giudiziaria, lasciandole solo un compito di legittimità, di controllo della legalità; semplificando il giudizio di omologazione e, quello successivo ed eventuale, di impugnazione ed, infine, anticipando il momento a partire dal quale il concordato diviene efficace.
Con il decreto correttivo il legislatore è nuovamente intervenuto, correggendo alcune criticità emerse nel corso dell’anno di applicazione dello stesso ed evidenziate dalla dottrina nel corso dei numerosi dibattiti tenutisi all’indomani della legge di riforma.
Passando all’esame dell’articolato del rinnovato istituto del concordato fallimentare, costituito dagli articoli da 124 a 141, contenuti nel Capo VIII delle legge fallimentare, si nota come molte delle principali novità introdotte dalle due riforme sono concentrate nell’articolo 124 l.f., che sin dal primo comma fa emergere tutta la filosofia della nuova impostazione dell’istituto.
Infatti, la Relazione illustrativa all’originario decreto legislativo individua tra le più importanti novità l’estensione della legittimazione alla proposta di concordato ad uno o più creditori o ad un terzo.
Prima del decreto correttivo, taluno aveva ipotizzato che terzo legittimato potesse essere anche il curatore, benché non previsto espressamente ma bensì ricavabile da un inciso contenuto nel secondo comma dell’articolo 129 che prevedeva la redazione e il deposito della relazione sulla proposta di concordato ad opera del comitato dei creditori qualora la proposta stessa fosse presentata dal curatore. Tale inciso è stato espunto dalla norma del decreto correttivo.
La norma, infatti, stabilisce che “la proposta di concordato può essere presentata da uno o più creditori o da un terzo, anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, purché sia stata tenuta la contabilità ed i dati risultanti da essa (parte aggiunta dal decreto correttivo) e le altre notizie disponibili consentano al curatore di predisporre un elenco provvisorio dei creditori del fallito da sottoporre all'approvazione del giudice delegato”.
La possibilità per il terzo di presentare la domanda di concordato fallimentare comporta necessariamente un mutamento radicale della natura dell’istituto, il quale prima aveva come proprio fulcro la persona del fallito ed oggi ha come proprio scopo il risanamento dell’azienda: sicché, è stato affermato, che ben si comprende la ragione per la quale un tempo era quasi unanime la tesi che il debitore fosse l’unico legittimato attivo a proporre il concordato fallimentare. (G. Jachia, Del concordato fallimentare e della chiusura della procedura, in Il nuovo diritto della crisi di impresa e del fallimento, a cura di Fabrizio Di Marzio, Torino, 2006, 756).
Tale facoltà, a dire il vero, era già prevista dall’art. 831 del cod. comm., che prevedeva la legittimazione di presentare la domanda di concordato anche al curatore, alla delegazione dei creditori ed a tanti creditori tali da rappresentare almeno un quarto del passivo. Anche il progetto di riforma della legge fallimentare redatto dalla commissione Pajardi prevedeva la possibilità che la proposta di concordato potesse essere presentata anche dal curatore, dai creditori e dai terzi.
Invece, sotto la vigenza del vecchio art. 124 l.f., nonostante la lettera della norma, vi era chi riteneva che anche un terzo potesse presentare domanda di concordato, anche senza l’accordo con il fallito, in quanto nel diritto civile è consentito al terzo di pagare il debito altrui ex art. 1180 codice civile, anche senza il consenso e persino contro la volontà del debitore, o di assumere il debito ex art. 1272 codice civile. (P. Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2002, p. 558; contra A. Bonsignori).
Va, tuttavia, evidenziato che tale possibilità non è stata prevista nella legge delega, cui comunque il decreto correttivo doveva attenersi, e dunque vi sarebbero dei dubbi circa la costituzionalità per eccesso di delega della norma nella parte in cui amplia i soggetti legittimati a presentare la domanda di concordato.
Solo dopo il decorso di un anno dalla dichiarazione di fallimento e purché non siano decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo, la proposta può essere presentata anche dal fallito, da società cui egli partecipi o da società sottoposte a comune controllo.
Tale termine è stato ampliato di sei mesi al fine di incentivare il fallito a presentare una domanda di concordato preventivo e di evitare che si ritardi la liquidazione concorsuale con proposte dilatorie e pretestuose.
Nel caso in cui sia una società a proporre il concordato, il novellato art. 152 l.f. stabilisce che la deliberazione deve essere adottata, se non è diversamente previsto dallo statuto, per le società di persone dai soci che rappresentano la maggioranza del capitale sociale, per le società di capitali dagli amministratori e la relativa deliberazione deve risultare da verbale redatto da notaio, diversamente da quanto stabilito dalla disciplina anteriore alla riforma, dove il potere di proposta era attribuito all’assemblea straordinaria, salvo delega agli amministratori.
Riguardo al contenuto della proposta, il secondo comma dell’art. 124 l.f., in linea con quanto già previsto nel concordato preventivo, in aderenza al principio più volte richiamato della massimizzazione dell’autonomia privata, prevede che esso possa avere ad oggetto la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l'attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito. Con ciò aprendo il campo di azione agli operatori professionali.
La norma, inoltre consente la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei e trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse, purché ciò avvenga nel rispetto di quei criteri di correttezza costituenti il parametro della valutazione rimessa al tribunale ai sensi dell’articolo 125 della legge fallimentare.
La posizione giuridica non può che riguardare i creditori privilegiati e all’ordine di graduazione degli stessi, distinguendoli, ad esempio, in creditori in prededuzione e privilegiati rispetto a quelli chirografari e postergati.
Gli interessi economici omogenei potrebbero interessare sia i creditori privilegiati che i creditori chirografari i quali, entrambi, possono avere interessi comuni, indipendentemente della natura (privilegiata o chirografaria) del loro credito. (G. M. Perugini, La collocazione ed il soddisfacimento dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Fallimento on line).
“La suddivisione dei creditori dovrebbe avvenire per classi e gruppi. Le classi dovrebbero essere espressione dei creditori che abbiano una medesima posizione giuridica, come i lavoratori dipendenti che sono assistiti dal privilegio, oppure i creditori chirografari. Nell’ambito di questi ultimi dovrebbero, poi, essere distinti i gruppi dei creditori secondo il loro interesse economico omogeneo, come quelli finanziari, i fornitori, i creditori di rilevante dimensione o di dimensione più piccola, i creditori che vantino ingenti crediti e i creditori che abbiano crediti modesti, ecc”. (G. Lo Cascio, Il nuovo concordato preventivo ed altri filoni giurisprudenziali, in Il Fallimento, 581, 2006).
Altra importante novità di rilievo è rappresentata dalla possibilità di prevedere nella proposta il pagamento non integrale dei creditori muniti di diritto di prelazione, pegno ed ipoteca, sempre che il trattamento stabilito per ciascuna classe non alteri l'ordine delle cause legittime di prelazione, a patto che il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di vendita, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile al cespite o al credito oggetto della garanzia indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lett. d) designato dal tribunale.
Il decreto correttivo, in accoglimento anche di una specifica osservazione del Senato, ha disposto che il professionista designato dal tribunale fosse iscritto all’albo dei revisori contabili e che avesse anche i requisiti che l’art. 28, alle lett. a) e b), prescrive per i curatori, ovvero che fosse un avvocato, dottore commercialista o ragioniere, oppure fosse uno studio associato o società tra professionisti i cui soci abbiano tali requisiti.
Tale possibilità, ampliata con il decreto correttivo, consentendo il pagamento non integrale non solo dei creditori muniti di privilegio speciale, ma anche di quelli muniti di privilegio generale, sicuramente apprezzabile e conforme allo spirito della riforma, volto a valorizzare l’accordo delle parti, è tuttavia in evidente contrasto con la legge delega che autorizzava ad attribuire il diritto di voto al privilegiato solo quando questi volontariamente avesse rinunciato al privilegio, sottraendo alle disponibilità delle parti, al di fuori dell’ipotesi predetta, la previsione di un pagamento non integrale del privilegiato.
La legge delegata e lo stesso decreto correttivo sembrano aver agito fuori dalla delega e quindi a rischio di una pronuncia di illegittimità costituzionale per eccesso di delega. Infatti, l’articolo 1, comma 6, n. 12 della legge delega n. 80 del 2005 aveva disposto di: modificare la disciplina del concordato fallimentare, accelerando i tempi della procedura e prevedendo l'eventuale suddivisione dei creditori in classi che tengano conto della posizione giuridica e degli interessi omogenei delle varie categorie di creditori, nonchè trattamenti differenziati per i creditori appartenenti a classi diverse; disciplinare le modalità di voto per classi, prevedendo che non abbiano diritto di voto i creditori muniti di privilegio, pegno ed ipoteca, a meno che dichiarino di rinunciare al privilegio; disciplinare le modalità di approvazione del concordato, modificando altresì la disciplina delle impugnazioni al fine di garantire una maggiore celerità dei relativi procedimenti. Nulla è stato previsto in ordine al pagamento in percentuale dei creditori privilegiati.
Questa nuova possibilità per il fallito di accordarsi anche con i privilegiati ha reso necessario intervenire sulla regolamentazione del diritto di voto prevedendo all’art. 127 l. f. comma 4, che in caso di soddisfazione non integrale dei creditori privilegiati questi acquistino il diritto di votare la proposta in quanto vengono considerati chirografari per la parte residua del credito.
Il decreto correttivo ha definitivamente parificato le posizioni dei creditori a quella dei terzi, consentendo per entrambi la possibilità di prevedere nella proposta concordataria la cessione di azioni della massa e la limitazione degli impegni assunti con il concordato ai soli creditori ammessi al passivo, e a quelli che hanno proposto opposizione allo stato passivo o domanda di ammissione tardiva.
Dottrina e giurisprudenza prevalente, sotto la previdente disciplina, in tema di concordato fallimentare con assuntore, già ritenevano che l'assuntore del concordato potesse rispondere solo limitatamente ai crediti ammessi al passivo, purché vi fosse una specifica clausola (Cass. 26 aprile 1983, n. 2850). Si riteneva che l'assuntore del concordato fallimentare, se la proposta di concordato omologata non avesse contenuto alcuna clausola specifica per quanto concerne i creditori non insinuati, sarebbe stato tenuto al pagamento della percentuale concordataria anche a favore dei creditori anteriori all'apertura del fallimento che non avessero presentato domanda di ammissione al passivo.
(Cass. 23 dicembre 1992 n. 13626, in Il fallimento, 1993, 708; Cass. 14 luglio 1965, n. 1491, in Giur. it., 1966, I, 1, 42; Dir. fall., 1965, II, 538 e 697 con nota di I. Schettini; Foro it., 1966, I, 122).
Si è anche sostenuto che è da ritenersi conveniente la proposta di concordato fallimentare che preveda la clausola di esclusione della responsabilità dell'assuntore verso i creditori non insinuati nel fallimento, solo a condizione che la cessione delle attività fallimentari all'assuntore sia soltanto parziale, di guisa che nel patrimonio dell'impresa fallita rimangano alcuni beni che possano costituire valida garanzia - ex art. 2740, Codice civile - per gli eventuali creditori non insinuati (Tribunale Roma 12 gennaio 1982, in Fallimento, 1983, 443; Fallimento e altre proced., 1983, 443).Per gli altri creditori continuerà a rispondere il fallito, fermo quanto disposto dagli articoli 142 e seguenti in caso di esdebitazione.
IL GIUDIZIO DI OMOLOGAZIONE E L’EFFICACIA DEL DECRETO
I POTERI DGLI ORGANI DELLA PROCEDURA.
In coerenza con il nuovo assetto dei rapporti fra gli organi preposti al fallimento il nuovo articolo 125 attribuisce al giudice delegato solo il compito di chiedere il parere del curatore e del comitato dei creditori, sottraendogli il potere di valutare la convenienza, anche eventuale, della proposta che viene, invece, sottoposta al giudizio dei creditori una volta che sia stato acquisito il parere favorevole, e vincolante, del comitato dei creditori.
Al giudizio del tribunale è unicamente rimesso di verificare il corretto utilizzo dei criteri previsti dall’articolo 124, secondo comma, lettere a) e b), nella sola ipotesi in cui la proposta contenga condizioni differenziate per singole classi di creditori, al fine di evitare suddivisione del ceto creditorio in classi strumentali all’omologazione del concordato.
Tale distribuzione di poteri e compiti evidenzia l’accentuata privatizzazione delle procedure concorsuali in cui il potere di veto, idoneo a impedire che la procedura prosegua, è ora attribuito, ai sensi del decreto correttivo n. 169/2007, al comitato dei creditori, e non più al curatore come precedentemente previsto dal D.Lgs n. 5 del 2006.
E proprio sul potere di veto attribuito al curatore dal legislatore della riforma del 2006, il Tribunale di La Spezia, secondo un ragionamento del tutto condivisibile, ha ritenuto che in caso di parere negativo del curatore sulla proposta di concordato fallimentare – dal 1 gennaio 2008 di competenza del comitato dei creditori - il giudice delegato, prima di emettere il decreto di arresto della procedura, deve effettuare un controllo sulla regolarità della stessa, senza entrare nel merito della convenienza, in modo da impedire che un eventuale errore o travisamento dei fatti da parte del curatore possa avere come effetto la sottrazione del potere di voto e di decisione per i creditori. Nel caso in cui il giudice delegato, prosegue il tribunale ligure, preso atto del parere negativo vincolante del curatore, rectius comitato dei creditori, sulla proposta di concordato fallimentare, dispone di non dare corso alla procedura, la decisione sarebbe comunque reclamabile ex art. 26 l. fall. ad opera dei soggetti legittimati.
Tale interpretazione si inserisce in quella corrente giurisprudenziale che attribuisce al giudice delegato, oltre il controllo di legittimità, il compito di verificare la completezza delle informazioni fornite dal curatore, onde consentire ai creditore una consapevole espressione del voto, essendo invece preclusa ogni valutazione in ordine alla convenienza della proposta (Propende per l’impugnabilità ex art. 26 del decreto del giudice delegato di arresto del procedimento motivato con il parere sfavorevole del curatore Vitiello, Esame della proposta comunicazione ai creditori, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, Bologna, 2007, 1993; lo ritiene invece ricorribile ex art. 36 l.f. per violazione di legge, non avendo il giudice delegato alcun potere di superare il parere ostativo del curatore, Zanichelli, Il concordato fallimentare, in La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 2008, 360; P. Bosticco, Il “nuovo corso” del concordato fallimentare, in Il Fallimento, 2008, 829, nota a Tribunale di Mantova, sez. II, 20 febbraio 2007, decr. Giud. Bernardi).
Come accennato il legislatore del decreto correttivo, riformulando il primo e secondo comma dell’articolo 125, ha attribuito il predetto potere di veto non più al curatore, che dovrà invece emettere un parere obbligatorio, ma non vincolante, bensì al comitato dei creditori, con ciò confermando quell’indirizzo privatistico della riforma che vuole privilegiare le esigenze privatistiche dei creditori rispetto a quelle di natura più pubblicistica.
Appare senz’altro opportuno che il potere di veto sulla proposta di concordato venga esercitato secondo criteri di legalità, fondato sulla corretta percezione dei fatti e sia adeguatamente motivato, e che pertanto sia riconosciuto comunque al giudice delegato quel controllo di legalità a tutela degli stessi creditori, o di merito al tribunale in caso di reclamo o di opposizione ex articolo 129. (Tribunale di La Spezia, sez. Fall., ord., 5 luglio 2007 – Pres. E rel. Cardino; cfr. A. Cavalaglio, sub.art.129, in Commentario Jorio – Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, Bologna – Roma, 2006, II, 2015 - 2035).
Quanto al contenuto del parere del curatore esso è di natura complessa, dovendo riguardare l’ampia gamma delle opportunità consentite dalla formulazione del nuovo articolo 124, esprimendo quel giudizio di convenienza della proposta rispetto alla liquidazione dei beni; un parere che nel concordato preventivo è rappresentato dalla relazione concernente la fattibilità della proposta, rilasciata comunque da un professionista scelto dal debitore.
La mancata previsione di accompagnare la proposta di concordato fallimentare con una relazio