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La proroga dei termini per proporre appello da parte dell’ufficio finanziario (articoli 1 e 2 legge n. 592 del 1985), facente capo ad un soggetto (direttore dell’agenzia) che è parte del processo, deve assicurare il contraddittorio tra le parti nel rispetto del principio costituzionale di parità della parti nel giudizio.
Per quanto precede
Preliminarmente occorre soffermarsi sulle disposizioni contenute nella legge 25 ottobre del 1985, n. 592, recante modifiche sulla proroga dei termini di prescrizione e decadenza per il mancato o irregolare funzionamento degli uffici finanziari. In particolare, l’art. 1 prevede la possibilità per gli uffici finanziari di chiedere una proroga, fino al decimo giorno della pubblicazione sulla gazzetta ufficiale, dei termini di prescrizione e decadenza nel caso in cui gli stessi non abbiano funzionato regolarmente a causa di eventi di natura eccezionale. Il successivo art. 2 stabilisce che l’intendente di finanza territorialmente competente deve inviare, entro e non oltre il termine di quindici giorni, una motivata proposta sulle misure da adottare nel caso di mancato funzionamento degli uffici finanziari.
Nella fattispecie in esame il contribuente ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui
I giudici di legittimità hanno ritenuto non manifestamente infondata la questione proposta, rimettendo gli atti alla Corte Costituzionale sulla base delle seguenti motivazioni.
I medesimi giudici, nel rilevare preliminarmente che la normativa di cui al d. lgs 35/2001 attribuisce attualmente la competenza “all’ufficio di vertice dell’agenzia fiscale interessata” – sentito il parere obbligatorio ma non vincolante del Garante per il contribuente -, mentre originariamente era attribuita al Ministro, dai citati articoli 1 e 2 legge 592/1985 e successivamente riconosciuta al competente direttore generale, regionale o compartimentale (legge n. 28/1999), hanno ritenuto che nel diritto vivente le proroghe di cui trattasi operano anche in relazione ai termini processuali (1) . Atteso che il potere di determinare la proroga dei termini in esame fa capo ad un soggetto che è istituzionalmente parte del processo, e che la proroga in campo civile e penale è disposta dal Ministro della Giustizia, rileva il fatto che a seguito della legge costituzionale n. 2 del 1999 ogni processo (dunque anche il processo tributario) deve svolgersi “nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità”.
Alla luce della norma costituzionale le parti processuali devono esser poste in condizione di parità e l’eventuale prevalere delle tesi sostenute da una di esse (rectius: competente direzione regionale) deve essere mediata dall’intervento del giudice terzo che si pronuncia sul contraddittorio.
Il contrasto con il principio di parità delle parti e con quello del contraddittorio non viene meno per il fatto che le proroghe in esame operino a vantaggio del contribuente (Cfr. Corte Cost. 15 aprile 1992, n. 177).
Un ulteriore profilo di incostituzionalità deriva dal fatto che all’epoca fosse consentita la proroga dei termini anche a seguito di eventi riconducibili a disfunzioni organizzative dell’amministrazione finanziaria e tale eventualità, rilevabile nel caso di specie, sembra in contrasto con il principio della parità delle parti, atteso che permette all’amministrazione di fare leva sulla propria organizzazione.
Per quanto sopra esposto, in considerazione anche della violazione dell’art. 111 cost. relativamente al principio della ragionevole durata del processo,
Enzo Di Giacomo
11 Marzo 2008
(1) Cass. 26 gennaio 2004, n. 1287. Il decreto ministeriale attestante il periodo di mancato funzionamento rappresenta un atto amministrativo, meramente ricognitivo e privo di valore normativo, con conseguente onere di produrlo in giudizio a carico della parte che ne invochi l’autorità, senza che la produzione di esso possa avvenire per la prima volta in sede di legittimità.