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Con sentenza n. 1915 del 21 novembre 2007 (dep. il 29 gennaio 2008),
Il Collegio ha riconosciuto la correttezza dell'operato dell'Ufficio, alla luce del condiviso principio secondo cui, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell'economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l'accertamento del reddito ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/73, il quale consente di desumere l'esistenza di ricavi non dichiarati anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (Cass. n. 7680/2002; n. 10802/2002; n. 1821/2001).
Nel caso di specie, era stata accertata e non contestata la circostanza che il contribuente, nell'anno 1984, aveva ricoperto la carica di amministratore di una società di capitali e di due condomini, “e, normalmente, trattasi di attività retribuite”.
Pertanto, è diritto dell'amministrazione, anche in considerazione del disposto dell'art. 2389 c.c. che prevede come oneroso il mandato di amministratore di società, ritenere sussistenti i presupposti per fare ricorso all'accertamento induttivo, stante la manifesta irragionevolezza, e/o comunque l'eccezionalità, dell'espletamento gratuito di attività, complesse, impegnative e di responsabilità e, quindi, accertare la relativa “antieconomicità”.
I Supremi giudici, inoltre, in ordine alla ritenuta fondatezza della pretesa, richiamano il consolidato orientamento giurisprudenziale per cui "ai fini della prova per presunzioni semplici non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, in quanto è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità" (Cass. n. 26081/2005; n. 23079/2005; n. 2700/1997; n. 3302/1996).
Afferma
Né può sostenersi l'inidoneità di siffatta prova, essendo stato affermato, sia che "la prova per presunzioni costituisce prova completa alla quale il giudice di merito può legittimamente ricorrere, anche in via esclusiva nell'esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, di controllarne l'attendibilità, di scegliere, tra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione" (Cass. n. 4743/2005), sia pure che "in tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l'apprezzamento del giudice di merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione sempre che la motivazione adottata appaia congrua" (Cass. n. 1216/2006; n. 9225/2005; n. 10135/2005; n. 3974/2002).
E da ultimo, in merito alla ripartizione dell'onere probatorio,
Non appare, “di certo, incongruo ed illogico ritenere che non possa riconoscersi, autonomamente, dignità di prova alla autodichiarazione, con la quale un amministratore di società, attesti che dalle scritture contabili e dagli atti societari non risulta che gli siano stati erogati corrispettivi, in quanto non supportata da altri elementi oggettivi (in assenza, ad esempio di stralci in copia autentica del bilancio consuntivo approvato a fine esercizio, oltre che del verbale assembleare di approvazione, relativi alle risultanze dei competenti capitoli - voce di spesa compensi e/o rimborsi per cariche istituzionali e/o amministratori - disposizioni statutarie e/o delibera assemblea società o consiglio amministrazione attestante. gratuità prestazioni, etc.), comprovanti l'assunto difensivo;a maggior ragione, nel caso, in cui i Giudici di merito hanno, positivamente, accertato che nello statuto della società C. di P.S.S. ... non v'era traccia di alcuna clausola derogatoria all'onerosità del mandato dell'Amministratore”.
La giurisprudenza ormai manifesta un no secco alle dichiarazioni dei professionisti che sostengono di lavorare per amicizia e senza alcun compenso.
Non ci crede più nessuno che si lavori gratis e forse sarebbe ora che gli stessi contribuenti se ne rendessero conto.
Al di la delle disquisizioni dottrinali se far rientrare o meno tale sentenza nel filone dell’antieconomicità, possiamo affermare – banalmente – che di fronte a dichiarazioni per nulla credibili (lavoro gratis), i giudici ormai bastonano – e diciamolo, giustamente - il contribuente.
Sembra quasi una presa in giro: svolgo l’attività di amministratore di condomino ma non mi faccio pagare.
Ma dai, finiamola, un po’ di pudore e di rispetto per tutti ( per il Fisco, per i giudici, per tutti gli altri professionisti che pagano le tasse e per tutti gli altri contribuenti).
La sentenza, inoltre, in maniera netta spazza via tutte le doglianze – meglio definirli – piagnistei – dei contribuenti: la prova contraria spetta al contribuente e non basta dire “lavoro gratis”, occorre provare quanto si dice.
Consigli per gli …acquisti: quando si viene beccati, forse è meglio cambiare difesa già in corso di verifica: dire di aver incassato qualcosa.
E’ più credibile sostenere aver incassato meno piuttosto che dire di aver lavorato gratis.
Francesco Buetto
15 Febbraio 2008