La Corte di Cassazione con la sentenza n. 25240 del 22 novembre 2007, depositata il 3 dicembre 2007 affronta e risolve, a favore dell’Amministrazione Finanziaria, un delicato problema interpretativo sorto all’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 289/2002 ovvero della legge che ha introdotto il c.d. condono fiscale.
La questione di diritto
Un professionista presentò istanza di rimborso IRAP per l’anno d’imposta 1998.
Decorsi infruttuosamente i termini di legge, l’istante propose impugnazione alla competente Commissione Tributaria Provinciale di Milano.
Il giudice di primo grado, ritenendo fondate le argomentazioni del ricorrente, accolse il ricorso e, per gli effetti, ritenne legittimo il diritto al rimborso.
Avverso il relativo pronunciamento, propose impugnazione principale l’Ufficio controparte.
Nelle more della celebrazione del giudizio di appello, il contribuente presentava istanza di condono ex art. 7 della legge n. 289/2002 ovvero intese definire in maniera automatica i redditi di lavoro autonomo per i periodi d’imposta la cui dichiarazione fosse stata presentata entro il 31.10.2002.
In corso di giudizio l’ufficio informava l’organo giudicante di tale circostanza, chiedendo, quindi, che fosse dichiarata la cessazione della materia del contendere.
Il giudice di appello, ritenendo tra l’altro intempestiva l’eccezione di cessazione della materia del contendere, rigettò l’appello dell’Ufficio ribadendo, quindi, la legittimità del diritto al rimborso.
La questione, quindi, approdò al giudice di legittimità al quale l’Amministrazione ricorrente chiese che fosse dichiarata l’illegittimità della sentenza di merito per violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 289/02.
La sentenza
Ripercorsi, brevemente, i tratti essenziali dei primi gradi di giudizio, la questione sottoposta alla Suprema Corte può riassumersi nei seguenti termini: la lite instaurata in materia di rimborso IRAP può dirsi definita a causa della presentazione di istanza di condono?
Ebbene, così posta la questione, la Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, propone una convincente ricostruzione interpretativa che di seguito si cercherà di analizzare.
In primo luogo il giudice di legittimità affronta e risolve una pregiudiziale processuale.
Per la Suprema Corte, infatti, le questioni di definizione della lite per avvenuto condono “pur non risolvendosi interamente nei problemi processuali, partecipano anche di tale natura e sono, perciò, rilevabili d'ufficio, senza che occorra una specifica proposizione ad opera della parte interessata a farle valere”.
L’eccezione di definizione della lite per condono, quindi, in applicazione del principio del iura novit curia e dell’economia del processo, può essere rilevata d’ufficio da giudice non essendo necessaria una specifica eccezione in tal senso.
Sciolta la pregiudiziale processuale, la Corte, quindi, analizza il problema interpretativo principale ovvero la coniugabilità del diritto al rimborso e gli effetti del condono.
Per la Corte di Cassazione il perfezionamento del condono “ha una pluralità di effetti, per quanto differenziati nell'ambito delle diverse fattispecie, tra i quali quello (art. 9, comma 10) di precludere gli accertamenti tributari (a), di estinguere le sanzioni (b), di escludere la punibilità per i reati tributari (c), e di (art. 7, comma 11) inibire l'esercizio di alcuni poteri stabiliti nei d.P.R. n. 600 del 1973 e 633 del 1972 o l'operare di alcune presunzioni”.
Conseguentemente, in punto di diritto, la Corte di Cassazione afferma il principio di diritto secondo cui la chiusura della lite per avvenuto condono, indipendentemente dalla tipologia di definizione fruita, “opera non solo riguardo alle liti relative agli accertamenti dell'obbligazione tributaria ed alla debenza dell'imposta, quale che sia, così giovando alla parte privata (in ogni fase e grado della lite), ma anche in relazione alle domande giudiziali riguardanti le richieste di rimborso d'imposta, siccome afferenti alla nascita dell'obbligazione di rimborso per l'indebito versamento di somme non dovute da parte del contribuente, in tali casi giovando all'ente impositore”.
In altri termini, per il giudice di legittimità, dinnanzi al condono amministrazione e contribuente hanno una posizione di assoluta uguaglianza.
Così come all’amministrazione, per effetto del condono, sono inibiti i propri poteri di accertamento, del pari, il contribuente non potrà rivendicare, per gli stessi periodi d’imposta, alcun diritto al rimborso.
La Corte, infatti, in ordine alle condizioni “ostative o preclusive del condono, alla presunta violazione dell'art. 7 della legge n. 289 del 2002, […] ha stabilito (nella sentenza n. 3682 del 2007) il principio a termini del quale, con riferimento alla definizione automatica prevista dall'art. 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, la presentazione della relativa istanza preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d'imposta definite in via agevolata, ivi compreso il rimborso di imposte asseritamente inapplicabili per assenza del relativo presupposto (nella specie, IRAP):in quanto volto a definire “ transattivamente” la controversia in ordine all'esistenza di tale presupposto, pone il contribuente di fronte ad una libera scelta tra trattamenti distinti e che non si intersecano tra loro, ovverosia coltivare la controversia nei modi ordinari, conseguendo se del caso il rimborso delle somme indebitamente pagate, oppure corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata, ma senza possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto in via ordinaria”.
Gianfranco Antico e Mauro Farina
10 Gennaio 2008