Il dibattito sui compensi agli amministratori eccedenti la congruità

di Commercialista Telematico

Pubblicato il 31 ottobre 2007

Premessa

 

È da diversi anni ormai che si discute sui compensi agli amministratori eccedenti la congruità, problematica che rientra, a pieno titolo, nel più ampio dibattito dell’antieconomicità, avviato con la sentenza della Corte di Cassazione n. 12813 del 17.5.2000, depositata  il 27.9.2000 (1), secondo cui il compenso agli amministratori, determinato nel rispetto delle modalità del vecchio art. 62, del T.U. n.917/86, è soggetto alla valutazione di “congruità”, in rapporto alle dimensioni dell'impresa, da parte dei funzionari del Fisco, in quanto la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi rientrano fra i poteri di accertamento previsti dal D.P.R. n. 600/1973 (2).

I Giudici Supremi, nel valutare la questione loro rimessa, hanno ritenuto che la riconosciuta deducibilità normativa dei compensi degli amministratori delle società in nome collettivo, “non significa che gli uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in deliberazioni sociali o contratti, e ciò a prescindere dall'invalidità di tali atti sotto il profilo civilistico”.

Il Supremo Consesso ritiene che la stessa regola valga anche “per altre componenti negativi del reddito per cui non valgono criteri legali di valutazione (come per gli interessi passivi) : si pensi, ad esempio alle spese di pubblicità e propaganda (art.74 del Tuir), che potrebbero essere considerate indeducibili se sproporzionate al volume d'affari”.

Nel caso in esame, pertanto, la Corte di Cassazione ritiene che vi siano elementi certi, precisi e concordanti, e non mere presunzioni semplici, tali da permettere all'ufficio “un sindacato di legittimità”.

La Cassazione va oltre: l'esercizio di tali poteri - la verifica dell'attendibilità economica delle rappresentazioni esposte nel bilancio e in dichiarazione - non rende necessario l'accertamento della nullità (totale o parziale) dei negozi giuridici attraverso i quali i fatti di gestione dell'impresa si sono realizzati. E pertanto, “una volta ritenuta la correttezza dell'esercizio dei poteri valutativi istituzionalmente attribuiti all'ufficio finanziario e l'incensurabile motivazione della sentenza di merito sul punto, resta superfluo il ricorso ad accertamenti (da compiersi incidenter tantum) riservati ad altri giudici, quali quello sulla validità di negozi giuridici”.

Successivamente, la stessa Corte di Cassazione - Sez.Trib., Sent. n. 13478 del 10.11.2000, depositata il 30.10.2001 - nel confermare il precedente orientamento ribadisce la propria convinzione che “l'amministrazione finanziaria ben può valutare la congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e procedere a rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell'esercizio dell'impresa, e di conseguenza negare la deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all'oggetto dell'impresa”.

In consapevole  contrasto  con  queste  pronunce (e conseguentemente la  questione  è  stata  rimessa  alle Sezioni Unite) si pone la sentenza della Cassazione n. 6599 del 9.5.2002 (3), secondo cui  in tema di determinazione del reddito d'impresa, allo  stato attuale della legislazione, l'Amministrazione finanziaria non ha il  potere di valutare la congruità dei compensi corrisposti agli amministratori delle società di persone.

Ritiene la Corte che il problema da esaminare “è quello della esistenza  o meno del potere dell'Amministrazione di valutare la congruità dei compensi  liquidati  agli amministratori nelle società di persone”.

La soluzione positiva data finora al problema sul presupposto che “l'Amministrazione finanziaria ben può valutare la congruità dei  costi e dei ricavi esposti nel bilancio  e  nelle  dichiarazioni  e  procedere  a rettifica di queste ultime,  anche  se  non  ricorrano  irregolarità  nella tenuta delle scritture contabili  o  vizi  degli  atti  giuridici  compiuti nell'esercizio d'impresa, e di conseguenza negare la deducibilità di  parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all'oggetto dell'impresa…sostanzialmente  ancorato  all'esistenza  di  un potere generale di valutazione dei costi e dei ricavi, insito nei poteri di accertamento  dell'Amministrazione,  non   può   essere   condiviso   nello specifico, con riferimento alle somme  corrisposte  a  titolo  di  compenso degli  amministratori  nelle   società   di   persone”, per il preciso e rigido dettato normativo dell’art. 62 (ora artt. 60 e 95) del T.U. n. 917/1986.

Rileva la Corte che “la mancanza, poi, nel sistema di una clausola generale antielusiva è di ostacolo al riconoscimento, nell'attualità, di un potere dell'Amministrazione a fare questo tipo di valutazione per questi comportamenti (l'art. 37 - bis del D.P.R. n. 600/1973 prevede, infatti, ipotesi tassative tra le quali non si può comprendere quella in esame)…né, per superare questi ostacoli, può farsi ricorso al  meccanismo dell'interposizione di persona di cui al co. 3 dell'art. 37  del  D.P.R. n. 600/1973,  poiché  nella  fattispecie  in  esame  si  discute  solo   di deducibilità o meno per un soggetto di costi (che all'Amministrazione  sono apparsi eccessivi),  e  non  di  imputazione  di  reddito  ad  un  soggetto piuttosto che ad un altro (i costi che risultano  sostenuti  dalla  società risultano nella stessa misura reddito per altri soggetti, per cui non vi  è una interposizione…; né,  per  riconoscere  il  potere  di   valutazione,   può   farsi riferimento alla disciplina dell'inerenza…poiché  in questa materia (dell'inerenza) a fini impositivi rileva tendenzialmente  il profilo della qualità del costo piuttosto che  quello  della  quantità, proprio perché  l'ordinamento  riconosce  all'imprenditore  la  libertà  di impostare la sua strategia d'impresa. Orbene, il costo è inerente se  serve a produrre  ricavi;  una  volta  accertata  questa  qualità  del  costo,  è abbastanza difficile poter  dire  (senza  scivolare  in  una  zona  grigia, tendenzialmente molto discrezionale) in quale misura esso  è  deducibile  o meno, tranne che non vi sia una indicazione normativa specifica, che  ponga un tetto alle spese”.

Da ultimo si segnala la sentenza della Cassazione n. 21155 del 31 ottobre 2005 che ha riaperto la questione, affermando che, sulla base dell’attuale normativa, l’Amministrazione finanziaria non ha il potere di accertare la congruità dei costi, neanche quelli portati in deduzione quali compensi agli amministratori. Infatti, il nuovo l’art. 95, comma 5, del T.U. n. 917/1986, come peraltro il precedente art. 62, dispone la deduzione di tali compensi per cassa, senza ulteriori vincoli, vincoli che invece esistevano nel vecchio art. 59 del D.P.R. n. 597/1973, che prevedeva la deduzione dei compensi agli amministratori “ nei limiti delle misure correnti”.

 

Considerazioni

 

Parte della dottrina (4) ha ritenuto che, per scardinare tali abusi, considerato che "…la tradizionale impostazione ( recupero del costo per difetto di inerenza ) è parsa mostrare dei limiti obiettivi ", …si possa utilizzare l'art.37, comma 3, del D.P.R. n.600/73,  secondo cui "in sede di rettifica o di accertamento d'ufficio, sono attribuiti al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti, quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l'effettivo possessore per interposta persona ".

In questo caso, seguendo questa tesi, il socio - amministratore si frappone strumentalmente tra la società e la tassazione in capo ad essa (in base all'art.10, della legge n.408 del 1990, il guadagno d'imposta sarebbe stato ottenuto fraudolentemente, senza una valida ragione economica).

La tesi, pur apprezzabile, in quanto pone all'attenzione del legislatore fiscale un problema concreto, non è convincente, in quanto il socio - amministratore sarebbe un "prestanome"  ( titolare apparente del reddito ) della società (effettivo possessore del reddito ). Lo stesso autore nel suo intervento riporta le " motivate perplessità " di una parte autorevole della dottrina (5).

L'ipotesi interpretativa sopra avanzata è stata criticata da una parte della dottrina (6), secondo cui " è stupefacente la disinvoltura con cui la società viene talvolta considerata soltanto un paravento utilizzato per nascondere diaboliche e fantomatiche realtà sottostanti, salvo poi - all'occorrenza - ritenere la società l'unica realtà esistente, mentre tutto il resto costituisce solo apparenza. La società, quando fa comodo al Fisco, è uno schermo da saltare, per imputare direttamente il reddito in capo ai soci o ad altri soggetti. Ma quando questo non serve agli scopi dell'Amministrazione finanziaria, allora la società diventa l'unico soggetto reale…., mentre i suoi soci si tramutano in ectoplasmi, incapaci di possedere il reddito".

Pertanto, "l'attribuzione di un elevato compenso al socio - amministratore, dunque, non nasconde un'intestazione fittizia del reddito prodotto dalla società, ma semmai un atto di erogazione del reddito medesimo " e "l'unica strada che permette di contrastare la contrazione degli utili societari, attuata mediante l'elargizione di compensi molto generosi, passa quindi attraverso un sindacato dell'inerenza del costo (7)". "Il requisito di inerenza è per sua natura un concetto vago ed elastico, la cui presenza va verificata caso per caso, non solo in relazione alla tipologia di spesa ma anche, in certi casi, al suo aspetto quantitativo. In linea di principio, insomma, non si può escludere che l'inerenza di un costo possa essere sindacata proprio per la sua abnorme entità, in rapporto all'attività svolta dall'impresa, alle sue dimensioni e alle altre caratteristiche del caso concreto (8)" .

Per completezza, si ricorda che la tesi dell'inerenza non supera il "vaglio" di prestigiosa dottrina (9) secondo cui "il principio dell'inerenza è di tipo qualitativo: serve a escludere dalle voci passive dei redditi netti le spese che non attengono alla vita dell'impresa…. come fa l'amministrazione a stabilire se un'impresa debba avere un certo numero di amministratori……un limite quantitativo a una spesa inerente lo può porre solo la legge".  

Nei casi in cui si ricompensa il socio - amministratore in maniera eccessiva, di fatto si ha una distribuzione degli utili.

Sulla base di tale constatazione, è stato ritenuto (10) che l'abnorme compenso all'amministratore possa configurare una distribuzione di utili, dissimulata dietro lo schermo dell'erogazione dei compensi, e pertanto andrebbe tassato come tale, riconoscendo però il credito d'imposta previsto dall'art.14, del T.U. n.917/86, in quanto vi sarebbe una "ricostruzione" totale del costo appostato in bilancio.

L'interpretazione si basa sul fatto che la ratio dell'art.14, comma 5, del T.U. n.917/86 è quella di "negare - quasi a titolo di sanzione - la spettanza del credito d'imposta nel caso di utili non dichiarati dal socio perchè distribuiti in nero"; e, invece, in questo caso vi sarebbe una diversa riqualificazione da parte dell'ufficio accertatore.

A nostro parere, tale tesi, non appare persuasiva , per il forte divieto posto dall'art.14, comma 5, del T.U. citato, secondo cui "la detrazione del credito d'imposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta in cui gli utili sono stati percepiti e non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione degli utili nella dichiarazione presentata".

Perplessità, peraltro, avanzate dalla stessa autrice, che non ha mancato di evidenziare " che non è facile superare l'art.14, comma 5, del Tuir " (11).

Con le dovute cautele e riserve del caso, si ritiene che, qualora l'ufficio avesse così motivato il rilievo, il riconoscimento del credito d'imposta possa avvenire in sede di accertamento con adesione.

Dal momento che non c'è una vera e propria norma antielusiva nel nostro ordinamento fiscale, in materia di compensi agli amministratori, è stato affermato (12) che potrebbe essere inserita una norma di tale tenore: "E' consentito all'Amministrazione finanziaria disconoscere i vantaggi fiscali connessi all'attribuzione di compensi ai soci amministratori, in misura anomala rispetto alle dimensioni economiche della società, ovvero ad un ragionevole compenso per le funzioni svolte, allo scopo di distribuire per questa via quote di utili".

Tale tesi - da discutere, come richiede lo stesso autore - limitandosi a disconoscere il vantaggio fiscale, ha il pregio di evitare " quella ricostruzione ottusa che preleverebbe le imposte pagate in meno (l'Ilor e l'Irpeg della società), senza restituire quelle pagate in più (cioè l'Irpef del socio) ", in quanto altre strade non sembrano percorribili, né tanto meno convince la via del disconoscimento del costo in capo alla società per difetto d'inerenza, in quanto (13)  …. " disconoscere la deduzione alla società significherebbe ….. prelevare Irpeg (e sanzioni Irpeg) su somme che sono state già assoggettate ad Irpef in capo all'amministratore. Avremmo perciò il paradosso di redditi assoggettati al tempo stesso ad Irpeg, Irpef ed Ilor ".   

Gli abusi, che continuano ad esistere, possono essere contrastati solo con interventi legislativi, evitando, talaltro, il cd. "turismo fiscale", dal momento che, legittimamente, per alcuni uffici la non congruità potrebbe essere pari a 40, per altri potrebbe essere pari a 70, o per altri il compenso dedotto potrebbe essere congruo.

A nostro parere, con riserva di approfondimento, la soluzione legislativa potrebbe essere quella di ancorare, "a priori", sulla base di una scala parametrica, i compensi degli amministratori - soci al volume d'affari dell'azienda.

Naturalmente, come tutte le scelte forfetarie, tale soluzione presenta dei limiti, evitando, però, di costringere la Corte di Cassazione "ad emettere giudizi di equità che non le competono e a riempire vuoti che solo la legge potrebbe riempire in funzione antielusiva" (14).

Ma agli svantaggi del forfait fa riscontro, da una parte la semplicità della norma, da tutti auspicata e spesso poi raramente attuata, e dall'altra la certezza per il contribuente che tale costo non possa essere sottoposto al "vaglio di congruità" di nessun verificatore (15).

  

Gianfranco Antico

 

31 Ottobre 2007


NOTE

(1) Cfr. ANTICO, Compensi agli amministratori. Il pronunciamento della Cassazione, in “ Consulenza”, n.34/2001, pag.15. Per la definizione della controversia in adesione, si veda ANTICO, Accertamento con adesione: i compensi agli amministratori eccedenti la congruità, in “ il fisco”, n.25/2002, fasc.n.1, pag.3963

(2) Per delle interessanti indicazioni pratiche, unite alle affermazioni dei principi in materia, si confronti GHINI, Le prossime delibere fiscali del consiglio di amministrazione, in “ il fisco”, n.20/2002, fasc.n.1, pag.3100

(3) Peraltro confermata da Cass. sent. n. 21155/2005

(4) A. Di Geronimo, in " Rassegna Tributaria ", n.1/94, pag.73

(5) R.Lupi, in " il fisco" , n.43/1993, pag.10618 e F.Gallo, in " Dir.Prat.Trib."Padova, 1992, secondo cui l'art.37 citato è utilizzabile dal Fisco solo quando venga evidenziata una interposizione fittizia di persona, di matrice civilistica.  

(6) D.Stevanato, in "Rassegna Tributaria", n.1/94, pag.77

(7) Per un esame delle condizioni e termini di ciò, si rinvia a D. Stevanato, in " il fisco ", n.10/1993, pag.1143 e seguenti.

(8) D.Stevanato, in  "Guida normativa - il Sole 24 ore ", n.211/2001, pag.20

(9) E.De Mita, in " il Sole 24 ore", 13 novembre 2001, pag.25

(10) L. Carpentieri, in " Rassegna Tributaria ", n.4/94, pag.583

(11) L. Carpentieri, in " Op. cit. ", pag.584

(12) R. Lupi, in " Rassegna Tributaria ", n.1/94, pag.81

(13) R.Lupi, in " Rassegna Tributaria ", n.1/94, pag.81

(14) E.De Mita, in " il Sole 24 ore", 13 novembre 2001, pag.25;

(15) In tal senso sembra esprimersi pure la Corte di Cassazione nella citata sentenza n. 6599 del 9 maggio 2002, secondo cui " il costo è inerente se serve a produrre ricavi; una volta accertata questa qualità del costo, è abbastanza difficile potere dire ( senza scivolare in una zona grigia, tendenzialmente molto discrezionale) in quale misura esso è deducibile o meno, tranne che non vi sia una indicazione normativa specifica, che ponga un tetto alle spese".