Elementi che il Fisco può usare per un accertamento analitico – induttivo: rassegna di giurisprudenza

Torniamo sull’ argomento relativo agli elementi che il Fisco può porre a base di un accertamento analitico-induttivo.

Il Fisco può utilizzare anche i documenti rinvenuti presso terzi

Nel caso in cui vengano trovate presso la sede di una società terza, sottoposta a verifica della Guardia di Finanza, delle fatture emesse dalla S.a.s. contribuente, spetta a quest’ultima l’eventuale dimostrazione della loro falsità.

A tale proposito, in assenza di altri affidabili elementi probatori, non è sufficiente la mera presentazione da parte del contribuente di una querela di falso nei confronti del soggetto cui essa ha attribuito la redazione delle fatture.

Dunque, in mancanza della dimostrazione, da parte della S.a.s. contribuente, della sua estraneità, è legittimo l’avviso di accertamento con cui viene recuperata a tassazione l’Iva relativamente alle menzionate fatture – emesse per operazioni inesistenti e rinvenute in occasione di una verifica effettuata presso un soggetto terzo – e vengono comminate le sanzioni per la mancata istituzione e tenuta dei libri contabili e per l’omessa presentazione della dichiarazione annuale.

Ciò è, infatti, suffragato da quanto disposto dall’art. 54, DPR 26.10.1972, n. 633, che permette all’Ufficio di procedere alla rettifica in base a presunzioni gravi, precise e concordanti, tratte da atti e documenti in suo possesso, anche quando si tratti di verbali riguardanti ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, come asserisce anche la stessa Cassazione in varie pronunce.

Peraltro, l’irregolarità della contabilità e l’omissione della dichiarazione Iva configurano di per sé un quadro gravemente indiziario che avrebbe autorizzato in ogni caso l’Ufficio a procedere tramite presunzioni, con l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente inadempiente ai propri obblighi.

(Cassazione, Sentenza n. 7314/06)

 

Gli agenti di commercio spiati dal consumo di carburante

Il consumo del carburante è, per un agente di commercio, una spia del reddito prodotto e, soprattutto, è una presunzione su cui il fisco può fondare un avviso di accertamento.

È il caso di un agente di commercio che si era visto notificare un avviso di accertamento per maggior reddito dal locale ufficio delle imposte. L’amministrazione finanziaria si era avvalsa di coefficienti presuntivi e, in particolare, aveva analizzato i consumi di carburante dell’agente, tracciando ipoteticamente il percorso fatto, ed elevando gli incassi.

(Cassazione, Sentenza n. 15124/06)

 

L’accertamento induttivo deve essere fondato sul buon senso

L’accertamento induttivo non deve essere fondato su calcoli matematici, ma sul buon senso.

Per i giudici non servono operazioni matematiche particolari per quantificare il reddito accertato, se l’atto è basato sulle dichiarazioni rilasciate dai clienti con i quali il contribuente  ha intrattenuto rapporti. Peraltro, il giudice di legittimità deve operare un controllo che è limitato solo alla congruità e ragionevolezza della motivazione. Non è consentita, quindi, un’autonoma ricostruzione dei fatti.

Del resto, il Fisco può rettificare la dichiarazione del contribuente, tra l’altro, nei casi in cui l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulti in modo certo e diretto dai verbali, dai questionari, dagli atti, documenti e registri esibiti, nonché dalle dichiarazioni di altri soggetti. Anche la tenuta di una contabilità formalmente regolare non preclude la rettifica del reddito dichiarato, nel caso in cui si presuma che sia inferiore a quello effettivo.

Quando viene accertato un maggior reddito, su base presuntiva, non dovrebbero, però, essere ignorati, i costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività.

(Cassazione, Sentenza n. 15809/05)

 

Gli elementi ritrovati presso il datore hanno efficacia anche verso il dipendente

Il fisco può accertare il maggior reddito di un contribuente, lavoratore dipendente, fondandosi su una segnalazione della guardia di finanza che ha svolto indagini sull’azienda datrice, in debito verso l’Inps.

Il caso nasce da due avvisi di accertamento notificati a un contribuente di Torino, con i quali veniva rettificato il reddito di lavoro dipendente e quello di un fabbricato non dichiarato.

L’ufficio di Chivasso aveva fondato tale rettifica su un’indagine che le fiamme gialle avevano svolto presso l’Inps, non nei confronti del lavoratore, ma nei confronti dell’azienda di cui era dipendente. Così l’uomo si era rivolto alla commissione tributaria provinciale, lamentando, tra l’altro, “l’infondatezza degli accertamenti, anche per inesistenza di adeguati elementi probatori a sostegno, fondandosi essi su una mera segnalazione non su un processo verbale di constatazione della guardia di finanza fatta nell’ambito di una verifica riguardante la società datrice di lavoro, appartenente, persino, a un altro distretto territoriale”.

(Cassazione, Sentenza n. 17222/06)

 

Casa e auto a base dell’accertamento induttivo

La prima casa e l’auto di proprietà possono essere usate come indicatori della ricchezza posti a base dell’accertamento induttivo.

A nulla rileva che siano destinati a soddisfare i bisogni primari. I giudici della sezione tributaria hanno così rovesciato la decisione della commissione tributaria regionale della Sicilia secondo cui “si devono prioritariamente espletare le indagini necessarie e, in caso di persistente contrasto fra il reddito complessivo determinato analiticamente e gli elementi indicativi di capacità contributiva, considerata l’inevitabile imprecisione dello strumento presuntivo, l’accertamento sintetico va fatto solo dopo un attento e ponderato esame, tenuto conto di eventuali redditi esenti e redditi del nucleo familiare e di quegli indici che costituiscono soddisfacimento di bisogni primari o che sono caratterizzati da elevata rigidità, quali spese per l’abitazione”.

Questa motivazione è stata censurata in sede di legittimità perché sarebbe stato onere del contribuente provare in qualunque modo che la casa di abitazione e l’automobile non possono aumentare la ricchezza ma sono semplicemente beni primari.

(Cassazione, Sentenza n. 17987/06)

 

Legittima la rettifica del volume d’affari senza contraddittorio

L’ufficio Iva può rettificare il volume d’affari di una società sulla base della sola segnalazione ricevuta dall’ufficio imposte dirette, senza dover necessariamente svolgere attività istruttoria o chiedere chiarimenti al contribuente. Lo ha stabilito la Cassazione che ha accolto il ricorso del ministero delle finanze e dell’ufficio, rovesciando la decisione delle commissioni tributarie. Funge da spartiacque, fra la necessità di specifiche indagini sull’attività d’impresa e non, l’articolo 54 del dpr 633/72 secondo cui “ove dalle segnalazioni provenienti da altri soggetti pubblici emergano elementi che consentano di stabilire l’esistenza di corrispettivi in tutto o in parte non dichiarati o di detrazioni in tutto o in parte non spettanti, l’ufficio Iva può limitarsi ad accertare, sulla base degli elementi ricevuti, l’imposta o la maggiore imposta dovuta”. Uno dei punti caldi della sentenza sta nel fatto che gli altri soggetti pubblici, cui fa riferimento la norma, possono tranquillamente essere gli altri uffici finanziari. Al caso, dunque, contrariamente a quanto sostenuto dalle commissioni tributarie, non può essere applicato l’art. 12 del dl 69/89 che prevede una specifica procedura d’indagine, quali i chiarimenti al contribuente o le indagini bancarie. In sostanza non è necessario il cosiddetto accertamento induttivo.

(Cassazione, Sentenza n. 4222/06)

 

Non bastano i consumi medi di energia elettrica a giustificare l’accertamento induttivo

La dichiarazione dei redditi non potrà essere rettificata dall’Amministrazione finanziaria sul solo presupposto che la società abbia consumato un quantitativo di energia elettrica superiore rispetto a quello effettivamente necessario per svolgere le attività dichiarate.

(Cassazione, Sentenza n. 13094/05)

 

L’acquisto di materie prime è indice di reddito

L’acquisto, da parte di un’azienda orafa, di una consistente partita d’oro è un fatto da cui è legittimo dedurre per presunzione l’importo del reddito, ancorché tale elemento costituisca l’unico indizio di cui l’Amministrazione disponga.

(Cassazione, Sentenza n. 28342/05)

 

Le dichiarazioni di terzi non sono idonee a fondare la responsabilità dell’impresa

Le risposte ai questionari inviati dalla Guardia di finanza ai clienti dell’azienda (nel caso di specie, si trattava di un albergo) costituiscono mere informazioni, inidonee, di per sé, a fondare un’affermazione di responsabilità del contribuente, potendo solo costituire un ulteriore riscontro a quanto già accertato aliunde. Esse, pertanto, sono insufficienti a determinare l’inattendibilità della contabilità aziendale, che deve essere specificamente valutata e riscontrata (nel caso di specie la Cassazione ha censurato il fatto che l’Amministrazione ed il giudice di merito non avevano riscontrato, attraverso i dati facilmente rilevabili da vaglia postali, se fosse corretta la contabilità degli anticipi inviati dai clienti).

(Cassazione, Sentenza n. 19114/05)

 

Le dimensioni aziendali come elementi di accertamento

La Corte di Cassazione ha precisato che elementi quali la consistenza dei locali aziendali, i beni strumentali utilizzati per l’attività d’impresa ed il numero dei dipendenti possono essere assunti in rilievo ai fini dei controlli fiscali e dell’eventuale individuazione di una falsa dichiarazione dei redditi.

(Cassazione, Sentenza n. 20838/05)

 

Limiti alle prove per l’accertamento induttivo

La Corte di Cassazione ha affermato che il processo verbale di constatazione redatto a carico di un soggetto estraneo all’accertamento può avere solo valore indiziario.

(Cassazione, Sentenza n. 19952/05)