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E’ noto che, in materia di imposta di registro, il Fisco spesso provvede a rettificare i prezzi di vendita dichiarati negli atti, sulla base di risultanze scaturenti da apposite stime elaborate dall’Ute (ex Ufficio Tecnico Erariale, oggi Agenzia del Territorio).
Ciò che invece è meno noto, e che questa recente sentenza della Corte di Cassazione ci dà lo spunto per commentare, è che tali stime non hanno alcun valore vincolante per il Giudice tributario; esse non sono assimilabili, per intendersi, alle consulenze tecniche d’ufficio.
Ciò in base al principio della parità delle parti, sancito dall’articolo 111 della Costituzione, che fa sì che nel processo tributario l’amministrazione si trovi nella medesima figura di parte del processo, in posizione assolutamente equivalente a quella occupata dal contribuente.
La sentenza inoltre afferma che se è vero, inoltre, che la stima Ute ha valore di atto pubblico, è altrettanto vero che tale valore attiene la provenienza della stessa, e non già il contenuto.
E’ ovvio e giusto che il Giudice possa dunque fondare il proprio convincimento sulla perizia, ma egli è comunque obbligato ad accompagnare la decisione con altre considerazioni ed elementi.
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Sent. n. 8890 del 9 marzo 2007 (dep. il 13 aprile 2007) della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Prestipino, Rel. Tirelli
Processo tributario - Stime UTE - Valore - Perizie di parte Processo tributario - Prove atipiche - Ammissibilità - Perizie di parte - Valore probatorio
Massime - Nel processo tributario, le stime UTE prodotte dall'Amministrazione, trovandosi quest'ultima sullo stesso piano della parte privata, hanno il valore di semplici perizie di parte, assistite da valore di atto pubblico solo per quanto attiene alla provenienza e non per quel che riguarda il contenuto.
Nel processo tributario hanno ampio spazio le prove atipiche come le perizie di parte (nel caso di specie stime UTE prodotte dall'Amministrazione), che il giudice può elevare a fondamento della decisione, a condizione però che spieghi le ragioni per cui le ritenga corrette e convincenti.
Svolgimento del processo - La Corte osserva quanto segue.
Con atto notificato il 9-10 dicembre 2001, C.S. e la S.n.c. S.M.S. di S.M. & C. proponevano ricorso contro la sentenza in epigrafe indicata, chiedendone la cassazione con ogni consequenziale statuizione.
Il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia delle Entrate resistevano con controricorso e la controversia veniva decisa all'esito della pubblica udienza del 9 marzo 2007.
Motivi della decisione - Dichiarata innanzi tutto l'inammissibilità del controricorso con il quale il Ministero e l'Agenzia delle Entrate si sono limitati a concludere per l'irricevibilità, l'inammissibilità e, comunque, l'infondatezza del ricorso senza indicare, nemmeno in via generica, le ragioni della loro richiesta (Cass. n. 11160/2004), emerge in fatto dalla sentenza impugnata che con unico atto in data 25 luglio 1996 la S.n.c. S.M.S. di S.M. & C. (d'ora in avanti S.M.S.), comprava da S.C. e B.W. due lotti edificabili per il prezzo dichiarato di lire 33.000.000 ciascuno.
Con avvisi di accertamento notificati sia ai venditori che all'acquirente, l'Ufficio del registro di Senigallia rettificava, però, tali valori, elevandoli a lire 67.000.000, pari a lire 60.000 al metro quadro per ognuno dei due appezzamenti.
I contribuenti si rivolgevano alla Commissione tributaria provinciale di Ancona, che respingeva tuttavia i ricorsi con separate sentenze in data 11 ottobre 1999.
I soccombenti si gravavano allora alla Commissione regionale che, riuniti gli appelli, rigettava preliminarmente le richieste di nomina di un consulente tecnico d'ufficio ed acquisizione di "contratti, planimetrie e valutazioni", perché nel processo tributario l'onere di fornire la prova dei rispettivi assunti incombeva sulle parti che, pertanto, non potevano pretendere di far effettuare dal giudice quell'attività istruttoria che sarebbe stato loro compito svolgere.
Ciò posto e passando al merito della causa, la Commissione ricordava che l'avviso di accertamento si fondava su di una stima dell'UTE che analizzava compiutamente le caratteristiche dei lotti e della loro zona di ubicazione, richiamando in modo particolareggiato altre quattro perizie che per analoghi beni avevano proposto valori oscillanti dalle lire 55.000 alle lire 80.000 al metro quadro.
A fronte di una valutazione "così bene dettagliata e motivata" e di un comportamento assai prudente dell'ufficio, che per i terreni di cui si discuteva aveva fissato un prezzo al metro quadro molto "più prossimo al minimo che non al massimo" di quelli su indicati, i contribuenti non avevano dal canto loro documentato "l'erroneità delle stime di riferimento", né avevano provato che "i relativi valori erano divenuti definitivi su entità diverse" o di "più bassi contenuti economici".
Tenuto conto di quanto sopra e rilevato che la pendenza della zona non rappresentava una circostanza particolarmente significativa perché se, da un lato, comportava indubbiamente dei maggiori costi, dall'altro, procurava pure dei vantaggi capaci di compensarli con un "aumento di valore" dei beni, la Commissione regionale confermava le impugnate rettifiche, compensando
integralmente le spese di lite fra le parti.
La S.M.S. e C.S. hanno censurato l'anzidetta statuizione, deducendo con il primo motivo l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia in quanto la Commissione regionale non si era preoccupata di esaminare la documentazione da essi prodotta a riprova dell'infondatezza delle rettifiche ed aveva respinto la richiesta di consulenza tecnica d'ufficio senza spiegarne adeguatamente le ragioni e, anzi, abbandonandosi essa ad un giudizio tecnico che, anziché confortare la decisione, costituiva ulteriore riprova della effettiva necessità di una consulenza.
Con il secondo motivo, i ricorrenti hanno invece dedotto la nullità della sentenza per omessa pronuncia, perché la Commissione non aveva risposto alle obiezioni da essi formulate in ordine alla valenza probatoria della stima dell'UTE, che secondo la giurisprudenza di legittimità non poteva bastare ad avvalorare la pretesa erariale in quanto proveniente dalla stessa Amministrazione parte in causa.
Così riassunte le doglianze dei ricorrenti, da trattare congiuntamente per via della loro intima connessione, osserva il Collegio che dinanzi alle Commissioni tributarie, l'Amministrazione finanziaria si trova sullo stesso piano del contribuente, con la conseguenza che le stime dell'UTE da essa prodotte costituiscono delle semplici perizie di parte cui può riconoscersi valore di atto pubblico soltanto per quel che concerne la provenienza, ma non per quel che riguarda il contenuto.
Ciò non toglie, però, che soprattutto nel processo tributario, in cui c'è molto più spazio per le prove cosiddette atipiche, anche la perizia di parte possa costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della decisione a condizione, però, che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente (Cass. n. 7935/2002).
E proprio questo è quello che è avvenuto nel caso di specie in cui la Commissione regionale non si è limitata a richiamare la stima dell'UTE, ma l'ha ponderatamente valutata, giudicandola attendibile all'esito di un coerente ragionamento condotto anche alla luce di ulteriori considerazioni sulle caratteristiche dei beni nonché sul comportamento ante causam dell'ufficio e su quello processuale dei contribuenti.
I ricorrenti hanno, per la verità, sostenuto che contrariamente a quanto affermato dai giudici a quibus, avevano prodotto ampia documentazione che la Commissione aveva tuttavia ignorato malgrado la sua manifesta idoneità a dimostrare l'infondatezza delle rettifiche.
Così come formulata, la doglianza è tuttavia inammissibile perché in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, i ricorrenti non avrebbero potuto ridursi a lamentare il mancato esame dei predetti atti, ma avrebbero dovuto riportarne il contenuto in modo da
consentire a questa Suprema Corte di delibare la serietà della censura prima di passare all'esame diretto degli atti.
C.S. e la S.M.S. hanno peraltro sostenuto che la Commissione avrebbe dovuto accogliere la loro richiesta di consulenza tecnica d'ufficio o, quanto meno, indicare con precisione i motivi tecnici che consentivano di farne a meno. Ma neppure tale doglianza può essere condivisa, perché dopo aver rammentato che la consulenza non poteva costituire un rimedio all'inerzia delle parti, in quanto rappresentava uno strumento preordinato a fornire ulteriori lumi al giudice, la Commissione regionale ha infine adeguatamente spiegato le ragioni per cui nel caso di specie non ve ne era bisogno.
Trattandosi di valutazione di merito che non può essere sindacata in questa sede perché immune da vizi logici e giuridici, il ricorso dei contribuenti va pertanto rigettato.
Nulla per le spese, stante l'inammissibilità del controricorso del Ministero e dell'Agenzia e la loro mancata partecipazione alla discussione orale.