Premessa
Nella scorsa puntata abbiamo per un attimo accantonato il tema delle verifiche tributarie, a favore di quello relativo alle esclusioni dall’Irap per i professionisti e le piccole imprese; questa settimana approfittiamo di tale parentesi per illustrare le numerose ed interessanti sentenze che sono state prodotte relativamente alla illegittimità degli atti di accertamento che portano con sè delle irregolarità interne. Si tratta, in altri termini, delle conseguenze in caso di mancanza di una delle caratteristiche essenziali che devono recare gli atti di accertamento, che in frequenti casi possono portare all’annullamento dello stesso, anche se la pretesa fiscale sia del tutto fondata.
In particolare, illustreremo le sentenze che annullano la pretesa del Fisco che compie irregolarità nella compilazione dell’atto di accertamento, così come nella notifica a ente residente all’estero ma che svolge attività in Italia, e infine per la illegittimità nella emissione dell’avviso “sostitutivo” o “integrativo” di un precedente avviso di accertamento.
Non indicare l’aliquota Irpef applicata fa parte dei vizi di motivazione
La mancata indicazione delle aliquote Irpef distinte per scaglione ex art. 42 del DPR n. 600/1973 costituisce vizio dell’avviso di accertamento.
L’avviso di accertamento è, pertanto, nullo nel suo complesso non solo in forza dell’espressa previsione normativa (in virtù del principio della riserva di legge ex art. 23 della Costituzione), ma anche perché il legislatore ha voluto assicurare un’adeguata tutela sanzionando con la nullità dell’atto la mancata indicazione delle aliquote distinte per scaglione, essendo questa parte essenziale della motivazione dell’accertamento.
(Cassazione, Sez. tributaria, Sentenza n. 2254/2003)
Sono obbligatorie anche le aliquote intermedie (rif: Irpef ed Ilor)
Un avviso di accertamento che ha ad oggetto il reddito imponibile, sul quale vanno commisurate allo stesso modo due imposte, è nullo se non sono state indicate, oltre all’aliquota minima e massima, anche tutte quelle intermedie.
Con questa sentenza n. 1471/2006, la Cassazione ribalta la decisione dei giudici di merito, disponendo che non basta indicare le sole aliquote marginali.
Chi riceve un avviso di accertamento dev’essere messo in grado di verificare immediatamente e senza dover ricorrere a un professionista “l’esattezza del conteggio effettuato per la determinazione del contributo richiestogli in pagamento”, e questo anche se riguarda due imposte.
(Cassazione, Sentenza n. 1471/2006)
Avvisi con aliquota anche se notificati al sostituto (rif: Irpef)
Gli avvisi di accertamento devono contenere, a pena di nullità, l’indicazione delle aliquote applicate.
Tale principio vale anche quando l’accertamento è notificato al sostituto d’imposta, che ha lo stesso diritto del sostituito a poter controllare facilmente l’operato dell’amministrazione.
Anche l’avviso di accertamento che non riporti l’aliquota applicata ma contenga solo l’indicazione delle aliquote minima e massima viola il principio di chiarezza e precisione delle indicazioni che è alla base del precetto dell’articolo 42.
(Cassazione, Sentenza n. 3111/2006)
L’avviso nullo per mancata indicazione della progressività Irpef travolge anche l’Ilor
L’avviso di accertamento deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione dell’imponibile accertato, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute d’acconto e dei crediti d’imposta.
Il principio di precisione e chiarezza delle “indicazioni” svolge una funzione di tutela del diritto del contribuente, il quale deve essere posto in grado di verificare, agevolmente e immediatamente, attraverso una semplice operazione contabile, l’esattezza del calcolo dell’imposta dovuta. In sostanza, senza ricorrere a complesse cognizioni tecnico-giuridiche, come nel caso di imposta ad aliquote progressive.
È pertanto nullo l’avviso di accertamento relativo alle imposte dei redditi in cui non siano indicate le aliquote applicate ai fini Irpef e questa nullità coinvolge anche il contestuale accertamento Ilor, che non avrebbe richiesto l’indicazione dell’aliquota essendo questa, al contrario, in misura fissa.
(Cassazione, Sentenza n. 13810/2005)
Nullo l’avviso di accertamento privo dell’indicazione delle aliquote applicate (rif: successioni e donazioni)
Poiché l’obbligo della motivazione dell’avviso di accertamento di maggior valore mira a delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, ed altresì a consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa, è nullo, anche in difetto di un’espressa previsione della legge, l’avviso di accertamento in rettifica dei valori dichiarati dal contribuente ai fini dell’imposta di successione che non contenga l’indicazione delle aliquote applicate per il calcolo della maggiore imposta.
(Cassazione, Sez. tributaria, Sentenza n. 2537/2003)
A chi va notificato l’avviso di accertamento per la persona giuridica estera che lavora in Italia ?
Ai sensi dell’art. 58, comma 3, del DPR n. 600/1973, ove il soggetto diverso dalla persona fisica non abbia in Italia né la sede legale né alcuna delle altre sedi ivi previste in via alternativa, né abbia una stabile organizzazione in Italia, il domicilio fiscale viene individuato nel luogo di svolgimento della prevalente attività, senza che venga in considerazione il domicilio fiscale del legale rappresentante dell’ente in Italia; di conseguenza, in simili ipotesi, ai sensi dell’art. 31, comma 2, del DPR n. 600 del 1973, l’ emanazione di eventuali avvisi di accertamento è competenza dell’ufficio del luogo di svolgimento della prevalente attività.
La Corte dunque cassa con rinvio la sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva dichiarato illegittimi, per incompetenza territoriale, gli avvisi di accertamento, emessi dall’ufficio delle imposte dirette del luogo di svolgimento della prevalente attività asserendo che doveva ritenersi competente l’ufficio del luogo del domicilio fiscale del legale rappresentante in Italia dell’ente.
(Cassazione, Sez. tributaria, Sentenza n. 8962/2003)
Quando il Fisco può correggere i propri errori
Nell’ambito del potere accertativo assegnato all’ufficio dall’art. 42 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, ed in applicazione del potere di autotutela, l’Amministrazione finanziaria può correggere gli errori dei propri provvedimenti nel termine previsto dall’art. 43 dello stesso decreto, semprechè l’atto impugnato non costituisca elusione o violazione dell’eventuale giudicato formatosi in ordine al precedente atto nullo.
Tale facoltà è diversa dall’ipotesi dell’accertamento “integrativo” di cui all’art. 43, comma 3, del citato DPR 600/1973, che attiene all’integrazione o alla modificazione di un precedente avviso legittimo in base alla sopravvenuta conoscenza, da parte dell’ufficio, di nuovi elementi. Il requisito della novità deve assumere valenza oggettiva e non soggettiva, essendo rilevante anche la mera conoscibilità.
(Commissione tributaria provinciale di Bologna, sez. I, Sentenza n. 112/2004)
L’avviso di accertamento invalido è rinnovabile, ma ....
L’art. 43 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui consente modificazioni dell’avviso di accertamento soltanto in caso di sopravvenienza di nuovi elementi di conoscenza da parte dell’Ufficio, non opera con riguardo ad avviso nullo (nella specie, per omessa indicazione dell’aliquota applicata), alla cui rinnovazione ex nunc l’Amministrazione è legittimata in virtù del potere, che le compete, di correggere gli errori dei propri provvedimenti nei termini di legge, salvo che l’atto rinnovato non costituisca elusione o violazione dell’eventuale giudicato formatosi sull’atto nullo.
L’emissione del nuovo atto impositivo, avente il medesimo contenuto e riferito agli stessi anni d’imposta, dovrà essere preceduta dall’annullamento del precedente atto impositivo, ai fini della tutela delle ragioni di difesa del contribuente e del divieto della plurima imposizione in dipendenza dello stesso presupposto ex art. 67 del DPR n. 600/1973.
Nel caso di specie, l’avviso di accertamento del 2 luglio 1996 non conteneva la specificazione dell’aliquota d’imposta applicata prevista dall’art. 42 del DPR n. 600/1973 a pena di nullità e, quindi, l’Amministrazione ben poteva ritenersi legittimata a correggere gli errori dei propri provvedimenti in presenza di atto nullo.
(Cassazione, Sez. tributaria, Sentenza n. 11114/2003)
Le condizioni per la sostituzione dell’avviso di accertamento
L’Amministrazione finanziaria può emettere un solo avviso di accertamento per ogni rapporto. Di conseguenza se emette un secondo atto impositivo in sostituzione di un altro emesso in precedenza, dovrà annullare l’atto sostituito poiché il processo tributario deve riguardare un solo atto: o quello originario o quello successivo.
Pertanto sono nulli atti che si affianchino all’atto originario o modificandolo nei casi non consentiti o riproducendolo con qualche correzione senza preventiva revoca.
(Cassazione, Sez. I civile, Sentenza n. 10650/1997)
Le conseguenze in caso di irregolarità di un avviso riformulato
L’Amministrazione, previo annullamento del primo atto nell’esercizio dell’autotutela, può emettere un nuovo avviso di accertamento in sostituzione di un altro affetto da vizi.
Tuttavia è da escludere che questa possa reiterare lo stesso accertamento senza annullare il precedente, poiché questo comporterebbe la presenza contemporanea di più atti d’imposizione aventi come contenuto il medesimo credito tributario: questa situazione sarebbe lesiva delle ragioni di difesa del contribuente e violerebbe il divieto di plurima imposizione in dipendenza dello stesso presupposto ex art. 67 del DPR n. 600/1973.
(Cassazione, Sez. I civile, Sentenza n. 3951/2002)
L’integrazione dell’avviso iva deve rispondere a precise condizioni
L’art. 57, comma 3, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, prevede, a garanzia del contribuente, che, in caso di integrazione o modifica di un accertamento Iva già notificato dall’Amministrazione finanziaria al contribuente, nel secondo avviso notificato (con integrazioni o modificazioni) siano indicati non solo i “nuovi elementi”, di cui è venuta a conoscenza l’Amministrazione, ma anche gli atti e i fatti attraverso i quali questi siano stati acquisiti.
Ciò allo scopo di consentire un controllo sulla effettiva posteriorità dei “fatti” che hanno permesso all’Amministrazione di acquisire i “nuovi elementi”, idonei a giustificare la diversa pretesa fiscale.
(Cassazione, Sez. tributaria, Sentenza n. 16391/2002)
Decadenza dell’atto sostituito o corretto
In tema di imposte sui redditi, l’integrazione o la modificazione in aumento del primitivo accertamento, che, ai sensi dell’articolo 43 del Dpr 29 settembre 1973, n. 600, richiede l’adozione di un nuovo avviso di accertamento, il quale, integrando una pretesa tributaria “nuova” rispetto a quella originaria, si aggiunge a, ovvero (come, espressamente, nella specie) sostituisce quello precedente.
Ne deriva, nell’ipotesi di sostituzione, non soltanto l’emanazione di un atto “nuovo” a seguito di riesame dei fatti posti a fondamento del primo, ma altresì la caducazione d’ufficio del precedente avviso, con conseguente cessazione della materia del contendere nel giudizio avente a oggetto il relativo rapporto sostanziale, venendo meno l’interesse a una decisione relativa a un atto - il primo avviso - sulla cui base non possono essere più avanzate pretese tributarie di alcun genere, dovendosi avere riguardo esclusivamente al nuovo accertamento che lo ha sostituito.
(Cassazione, Sez. tributaria, Sentenza n. 16792/2002)