LE VERIFICHE FISCALI – VII PARTE

di Rassegna di Giurisprudenza

Pubblicato il 17 novembre 2005

Premessa

            Continua il viaggio del Commercialista Telematico tra le sentenze relative alla verifica fiscale.

            Approfondiamo questo mese il tema degli elementi (siano essi contabili o extracontabili) che il Fisco può prendere a riprova dell’accertamento.

 

Accertamento per presunzioni: dai consumi ai ricavi

La giurisprudenza di legittimità riconosce la validità della ricostruzione dei ricavi sulla base dei quantitativi di merce (carne e pesce) utilizzati nel corso dell’anno con determinazione presuntiva del numero dei pasti serviti, osservando che, una volta calcolata la quantità “normale” di materie prime che si utilizza per ciascun pasto, è “ragionevole”desumere che il numero dei pasti sia uguale alle materie prime acquistate, diviso per la quantità “normale” per ciascun pasto.

(Cassazione, Sezione Tributaria, Sentenza n. 16736/2003)

 

Divario tra la documentazione contabile e gli importi risultanti da pagamenti tramite carte di credito

Il contribuente ha l’obbligo, ai sensi dell’art. 24 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, e degli artt. 1 e 12 del DM 23 marzo 1983, di indicare, in apposito registro, l’ammontare complessivo dei corrispettivi giornalieri, ivi compresi quelli relativi a pagamenti parziali, e nel giornale di fondo tutti i corrispettivi, anche se non riscossi. Pertanto l’ufficio può legittimamente presumere, ex art. 54, comma 2, del citato DPR n. 633 del 1972, l’occultamento di maggiori ricavi ove dalla documentazione contabile risulti un divario tra la somma degli importi coperti dagli scontrini fiscali e la somma - superiore - degli importi incassati tramite carte di credito.

(Cassazione, Sezione Tributaria, Sentenza n. 4721/2003)

 

La prova presuntiva non può basarsi unicamente sulle medie di settore

In sede di accertamento analitico ex art. 39, comma 1, lettera d), del DPR n. 600/1973, l’ufficio non può fornire la prova dell’omessa contabilizzazione di specifici elementi di reddito e quindi dell’esistenza di attività non dichiarate in base alla difformità della percentuale di resa applicata dal contribuente rispetto a quella media riscontrata nel settore. Le medie di settore sono, infatti, il risultato di un’estrapolazione statistica ottenuta mediante l’esame di una pluralità di casi disomogenei e non costituiscono un fatto noto sufficiente a dare fondamento alla prova presuntiva.

(Commissione Tributaria Provinciale di Bari, Sezione IX, Sentenza n. 146/2002)

 

Il “tovagliometro” e le cc.dd. presunzioni “a catena”

Nella prova per presunzioni, la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto alla stregua di canoni di ragionevole probabilità. Pertanto, in tema di accertamento presuntivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lettera d), del DPR 29 settembre 1973, n. 600, è legittimo l’accertamento che ricostruisca i ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati, costituendo dato assolutamente normale quello secondo cui, per ciascun pasto, ogni cliente adoperi un solo tovagliolo e rappresentando, quindi, il numero di questi un fatto noto capace, anche di per sé solo, di lasciare ragionevolmente e verosimilmente presumere il  numero dei pasti effettivamente consumati (pur dovendosi, del pari, ragionevolmente sottrarre dal totale i tovaglioli normalmente utilizzati per altri scopi, quali i pasti dei soci e dei dipendenti, l’uso da parte dei camerieri e simili).

(Cassazione, Sezione Tributaria, Sentenza n. 9884/2002)

 

L’accertamento supportato dalle stime dell’U.T.E.

La Suprema Corte conferma nel merito la sentenza resa in grado di appello, la quale, contrapponendosi all’indirizzo giurisprudenziale consolidato, sostiene che le stime dell’UTE costituirebbero “quanto meno presunzioni gravi, precise e concordanti”, idonee a fondare la rettifica analitico-induttiva della dichiarazione dei redditi, accertando maggiori ricavi a fronte di vendite immobiliari.

(Cassazione, Sezione Tributaria, Sentenza n. 1034/2002)

 

La corrispondenza tra consumi e vendite è un elemento grave e preciso

La rettifica del reddito può essere giustificata anche facendo ricorso a un solo elemento indiziario; non è necessario insomma che a questo se ne affianchino altri; ne basta uno, purché sia grave e preciso e non risulti smentito da circostanze di segno contrario.

E’ quindi corretto rettificare una dichiarazione dei redditi se i prodotti acquistati per il confezionamento delle vivande non sono allineati al numero dei pasti serviti.

(Cassazione, Sezione Tributaria, Sentenza n. 11481/2001)

 

La valenza presuntiva dei comportamenti antieconomici dell’imprenditore

In tema di imposte sui redditi, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento ai sensi dell’art. 39, comma 1, lettera d), del DPR  n. 600/1973; a tale riguardo il giudice di merito, per potere annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie. E’ quindi da annullare, con rinvio, la sentenza della Commissione tributaria che aveva escluso la sussistenza di un’alterazione di bolle di accompagnamento e l’accertamento presuntivo sulla base dell’aspetto esteriore delle bolle medesime, non ritenendo sintomatica di falsificazione l’effettuazione di più trasporti a distanza di pochissimi giorni in ragione della breve distanza tra la sede dell’acquirente e quella della venditrice.

(Cassazione, Sezione Tributaria, Sentenza n. 1821/2001)

 

I consumi di carburante e la presunzione di maggiori ricavi

Il solo dato inerente al consumo di carburante è inidoneo a sorreggere la rettifica dei ricavi in quanto il collegamento tra la relativa circostanza e il verificarsi di operazioni non denunziate è soltanto di secondo grado.

(Commissione Tributaria Provinciale di Bari, Sezione IX, Sentenza n. 41/1999)

 

Appunti informali raccolti in un block-notes

Nei confronti di un contribuente, il quale abbia tenuto doppia contabilità omettendo di trascrivere nelle scritture ufficiali le annotazioni raccolte in un block-notes tenuto in modo informale e per propria memoria, è legittimo l’accertamento in rettifica eseguito dall’ufficio finanziario col sistema induttivo, ai sensi dell’art. 55 del DPR 26 ottobre 1972 n. 633, prescindendo, cioè, dalle risultanze delle scritture suddette, realizzandosi una irregolarità contabile sostanziale, in quanto la riscontrata omissione costituisce comportamento idoneo a togliere attendibilità alle scritture medesime.

(Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 5446/1993)

 

Annotazioni su scritti extracontabili

Ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di rinvenimento di annotazioni effettuate su un’agenda del contribuente, queste non sono idonee a prestarsi a interpretazioni inequivocabili, poiché non documentano fatti esterni e, quindi, non possono ritenersi esaustivamente probatorie quando non siano strettamente collegate a risultanze inequivocabilmente certe, così come lo stesso deve affermarsi per le risultanze derivanti dalle distinte bancarie, ove le stesse non risultino connesse a elementi che autorizzano a collegare i movimenti di capitale all’effettuazione di operazioni imponibili.

(Commissione Tributaria Provinciale di Avellino, Sezione I, Sentenza n. 113/1998)

 

Il “tovagliometro” al ristorante tra fatto noto ed ignoto

È legittimo l’accertamento extra-contabile nei confronti di un ristorante basato sulla presunzione dell’esistenza di un rapporto di causalità tra il numero dei tovaglioli lavati e il numero dei pasti serviti.

Non è necessario che il fatto ignoto sia desumibile da una pluralità di fatti noti, essendo sufficiente un unico fatto noto, quando tutti gli aspetti di esso, in assenza di circostanze di valenza contraria, siano chiaramente e univocamente concordanti sul verificarsi del fatto ignoto.

(Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 12482/1998)

 

Il legame tra fatto noto e ignoto può valere anche per anni diversi

Il numero di uova acquistate da una pasticceria può validamente essere utilizzato dal fisco per accertare un più elevato volume d’affari dell’azienda. La Cassazione è intervenuta per difendere gli accertamenti induttivi della Guardia di finanza in materia di Iva basate su presunzioni di secondo grado, ritenendo cioè ammissibile l’utilizzo delle cosiddette presunzioni semplici, gravi, precise e concordanti, nella determinazione dei volumi d’affari delle aziende.

Una volta stabilita con esattezza per un determinato esercizio la percentuale di incidenza di una determinata materia prima (uova) sul totale degli acquisti, tale percentuale può essere utilizzata anche per la determinazione del volume d’affari relativo ad anni d’imposta diversi, se la natura dell’attività imprenditoriale, nel corso degli anni, non è cambiata.

(Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 12774/1998)

 

Accertamento fondato su infrazioni riguardanti gli anni successivi

È illegittima la rettifica, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dei redditi dichiarati per due periodi d’imposta da una società in accomandita semplice, sulla base di alcune irregolarità riscontrate per l’anno successivo dalla Guardia di finanza, presumendo analoghi comportamenti illegittimi per quelli precedenti.

Nella fattispecie, le violazioni evidenziate nel verbale dei finanzieri consistevano nell’acquisto di piastrelle di ceramica senza fattura, in assegni bancari rilasciati dai clienti per acconti sui lavori non fatturati e in corrispettivi per vendite al minuto non registrati.

L’Ufficio imposte aveva proceduto all’accertamento secondo il metodo analitico-contabile, ritenendo che tali irregolarità legittimassero la presunzione che la società avesse posto in essere analoghi comportamenti per i due anni precedenti.

Al contrario, la Commissione tributaria centrale, dopo aver constatato che non erano state riscontrate irregolarità nella contabilità di tali anni, ha confermato la decisione dei giudici di secondo grado che avevano ritenuto sostanzialmente insussistenti (anziché gravi, precisi e concordanti) le presunzioni poste a fondamento dell’accertamento.

Alla tesi dell’Ufficio, che aveva dedotto la mancata fatturazione di piastrelle anche nelle annualità precedenti in base all’incidenza dei consumi sui ricavi dichiarati, fissandola al 40 per cento (in luogo delle percentuali del 60,84 e del 46,74 per cento indicate nella contabilità della società), non poteva, infatti, essere riconosciuta la gravità, la precisione e la concordanza previste dalla norma ma, tutt’al più, la natura di presunzione semplice richiesta ai fini dell’accertamento induttivo dei redditi.

Quanto agli assegni bancari dei clienti per acconti sui lavori non fatturati e ai corrispettivi per vendite al minuto non registrati, la Commissione ha escluso che potessero legittimare alcuna presunzione, posto che sia gli uni sia gli altri riguardavano la fine del periodo in cui  era avvenuto l’accesso della Guardia di finanza presso la società.

(Commissione Tributaria Centrale, Sezione VI, Decisione n. 3242/1997)

 

La dichiarazione dei redditi non è prova certa del reddito reale

La dichiarazione modello 740 ha un valore di prova limitato perché può non rispecchiare il reddito reale del contribuente. E’ quindi da rigettare il ricorso del contribuente che non aveva avuto riconosciuto il diritto di rimborso della retta scolastica, e che aveva prodotto come prova del proprio reddito, proprio una copia della propria dichiarazione dei redditi

(Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 3250/1997)

 

Il valore indiziario degli assegni

Dagli assegni emessi da un imprenditore a favore dei suoi fornitori abituali può fondatamente presumersi che essi si riferiscano ad acquisti della merce ordinariamente compravenduta, potendo una tal presunzione connaturarsi con l’astrattezza del titolo.

(Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 3719/1998)