Accertamento sintetico: va provato l’utilizzo dell’eredità

secondo la Corte di Cassazione, qualora il contribuente accertato abbia ricevuto un’eredità, non è sufficiente la dimostrazione dell’entità e della durata del possesso di disponibilità finanziarie ma è necessario provare che la provvista è stata utilizzata per sostenere le spese effettuate

delittocastigo2Con l’ordinanza n. 19257 del 28 settembre 2016, la Corte di Cassazione ha confermato l’accertamento sintetico effettuato, atteso che la contribuente non ha fornito la prova (così come riconosciuto dal giudice di appello) che quanto ricevuto in eredità fosse stato utilizzato per fare fronte alle normali spese di gestione familiare o che fosse rimasto nella disponibilità essendo, di contro, risultato che quel denaro era stato, invece, utilizzato per altri scopi.

Il principio espresso

In materia, questa Corte (cfr.Cass.n.8995/2014) ha avuto modo di chiarire che la norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della ‘durata’ del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati. È, peraltro, appena il caso di aggiungere che la prova documentale richiesta dalla norma in esame non risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del possesso dei redditi in esame (quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente)“.

Nel caso di specie, “la sentenza impugnata si è mossa lungo tale solco interpretativo laddove, peraltro, con accertamento in fatto rimasto incontrastato, il Giudice di appello ha affermato che, per contro, come risultato, il denaro ricevuto in eredità era stato utilizzato per altri scopi, quali donazioni ai figli ed accrediti su altri conti correnti, come emerso dalle registrazioni delle movimentazioni bancarie”.

Le nostre considerazioni

Non è sufficiente la dimostrazione dell’entità e della durata del possesso di disponibilità finanziarie ma è necessario provare che la provvista è stata utilizzata per sostenere le spese effettuate.

Sono queste, sinteticamente, le conclusioni che si possono trarre dalla lettura della giurisprudenza che si è formata sull’accertamento sintetico e dall’esame delle indicazioni di prassi, fatte proprie dalla Corte di Cassazione.

Il vecchio redditometro da luogo ad una presunzione “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., poichè è lo stesso dettato normativo che impone di ritenere come diretta conseguenza di determinati fatti noti (la disponibilità di beni o servizi) il fatto ignoto (capacità contributiva).

Il giudice tributario, quindi, una volta constatata la sussistenza degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” accertati dall’ufficio, non ha il potere di negare a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, dovendo solo limitarsi a valutare la prova che il contribuente offre in ordine alla provenienza non reddituale1.

Il cd. vecchio sintetico trae fondamento nell’art. 38, c. 4, del D.P.R. n. 600/1973, che consente all’ufficio finanziario, in base ad elementi e circostanze di fatto certi ed indipendentemente da una previa rettifica analitica, di determinare il reddito complessivo netto delle persone fisiche, tutte le volte che tale reddito accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato e tale situazione permane per due o più periodi d’imposta2.

La presunzione genera, peraltro, l’inversione dell’onere della prova, trasferendo sul contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà, ovvero a darne una diversa valutazione.

Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta: ovviamente l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione.

Il thema decidendum rimane circoscritto alla questione della sufficienza della prova, che il contribuente deve offrire, sul fatto che l’elemento posto dagli organi di controllo, a base della presunzione di reddito, non è invece indice di capacità contributiva (per esempio, che il denaro utilizzato per l’acquisto sia di un terzo soggetto; ma occorre, in questo caso, che il contribuente dia contezza della tracciabilità del denaro, non bastando la sola affermazione che l’incremento patrimoniale è frutto di un prestito o di un regalo).

Sul versante giurisprudenziale, merita di essere evidenziata la sentenza della Cassazione n. 1638 del 28 gennaio 2016, che ripercorre di fatto il pregresso percorso giurisprudenziale. Rileva la Corte che (superando un precedente orientamento alla cui stregua la prova documentale contraria che il contribuente deve offrire per vincere l’accertamento sintetico del proprio reddito D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis) non riguarderebbe la sola disponibilità di redditi esenti o tassati alla fonte, ma anche l’essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con detti redditi (Cass. 6813/09, 4138/13, 2010/14, 3111/14, 25104/14)) con la sentenza n. 6396/14 ha affermato, che qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alle spese per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa, a carico del contribuente, “riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte e non anche la dimostrazione del loro impiego negli acquisti effettuati, in quanto la prima circostanza è idonea, da sola, a superare la presunzione dell’insufficienza del reddito dichiarato in relazione alle spese sostenute.” Questa evoluzione giurisprudenziale si è successivamente affinata con la sentenza n. 8995/14 e confermata nella sentenza n. 17664/14.

Sempre di recente, per la Corte di Cassazione (ord. n. 3456/2016)la norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della ‘durata’ del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacita contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate al fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati“. Nella specifica ipotesi di liberalità “nell’ambito dell’accertamento sintetico la prova delle liberalità che hanno consentito l’incremento patrimoniale deve essere documentale e la motivazione della pronuncia giurisdizionale deve fare preciso riferimento ai documenti che la sorreggono ed al relativo contenuto” (cfr. Cass. nn. 24597/ 2010 e 6397/2014). Pertanto, appare necessario che il contribuente dimostri la specifica utilizzazione della provvista per l’investimento effettuato ovvero il disinvestimento di somme/titoli, azioni/libretti, pari alle somme corrispondenti alle spese sostenute.

Ed ancora con la sentenza n. 10234 del 18 maggio 2016, la Corte di Cassazione ha ritenuto che, ai fini dell’accertamento sintetico, le spese per l’acquisto di terreni e fabbricati non giustificabili dai redditi dichiarati, non possono trovare copertura da dichiarazione di familiari per regalie elargite nel corso degli anni. Come la Corte ha avuto modo di chiarire (Cass. Civ., Sez. 5, 18 aprile 2014, n. 8995, richiamata dalle successive Cass. 26 novembre 2014, n. 25104, 16 luglio 2015, n. 14885), “pur non prevedendosi esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della «entità» di tali eventuali ulteriori redditi e della «durata» del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico. Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la «durata» del possesso dei redditi in esame, quindi non il loro semplice «transito» nella disponibilità del contribuente”.

E con l’ordinanza n.17504 dell’1 settembre 2016 la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della CTR che aveva affermato che l’accertamento sintetico effettuato dall’Ufficio non aveva pienamente valutato la particolare situazione, nell’anno di riferimento, del contribuente, il quale aveva provveduto ad accudire l’anziana nonna (risultava pertanto del tutto verosimile che egli avesse ricevuto, non soltanto dalla nonna, ma anche dal padre, contributi economici di una certa consistenza, dovendo in particolare ritenersi carente di prova l’assunto dell’ufficio, secondo cui le somme che questi aveva ricevuto dal padre, costituissero compenso “in nero” per prestazioni lavorative nell’impresa di costruzioni di quest’ultimo). Per la Corte, l’idonea documentazione necessaria a dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte, a titolo di imposta, è qualcosa “in più della prova della mera disponibilità di ulteriori redditi richiedendo espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (Cass. 25104/2014 e Cass, 14855/2015)”. In tal senso, osserva la Corte, “va inteso lo specifico riferimento alla prova – risultante da idonea documentazione – dell’entità di tali ulteriori redditi e della durata del loro possesso, prova che ha la finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi, per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi (Cass. 25104/2014 e Cass. 14855/2015)”. In particolare, precisano i massimi giudici, “qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi (della nonna e degli altri familiari) ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente (nella specie, il figlio) interessato dall’accertamento. Orbene, nel caso di specie la CTR non ha fatto buon governo dei principi su richiamati, in quanto ha ritenuto assolto l’onere probatorio gravante sul contribuente sulla base di una mera valutazione di verosimiglianza, omettendo di verificare, dandone conto in motivazione, se detta prova fosse fondata su prova documentale ed ancorata a fatti oggettivi”.

Sul versante della prassi, di recente, la circolare n. 6/2015 (punto 12.1)3, in ordine alla rilevanza della provvista costituita in annualità precedenti, richiamando la circolare n. 24/2013, ha confermato che, in sede di contraddittorio, “il contribuente può sempre fornire la prova, in relazione alle spese per investimenti sostenute nell’anno, della formazione della provvista in anni precedenti ovvero della sua effettiva disponibilità ed utilizzo per l’effettuazione dello specifico investimento individuato. Se si è costituita nelle annualità precedenti la provvista non rileva ai fini della determinazione sintetica nell’anno d’imposta oggetto del controllo. Ovviamente, questo non esclude la possibilità per l’Agenzia delle Entrate di attivare, per le annualità precedenti in cui si è formata la provvista, autonomi controlli avvalendosi dello strumento accertativo più idoneo, di tipo analitico, induttivo o sintetico”.

Pertanto, appare necessario che il contribuenti dimostri la specifica utilizzazione della provvista per l’investimento effettuato ovvero la dimostrazione del disinvestimento di somme/titoli, azioni/libretti, pari alle somme corrispondenti alle spese sostenute, non essendo sufficiente la potenzialità reddituale (cfr. Cass. Sent. n. 21362/2015) ovvero la convivenza con la madre benestante (cfr. Cass. Sent. n. 1332/2016).

20 gennaio 2017

Gianfranco Antico

1 Cfr. sentenza Cass. n. 22936 del 17 ottobre 2007 (dep. il 30 ottobre 2007), con cui la Corte, richiamando un indirizzo consolidato, ha affermato che la disponibilità di beni previsti dalla norma, costituisce una presunzione di “capacità contributiva” da qualificare “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una “capacità contributiva“. Quindi, prosegue la Corte, il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’ufficio, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, “ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma”. Evidenziamo ancora che la Corte di Cassazione (sentenza 25386 del 26 ottobre 2007, dep. il 5 dicembre 2007) ha affermato che gli accertamenti effettuati mediante redditometro si sottraggono all’obbligo di motivazione ex art. 3, c. 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria è esonerata da qualunque prova ulteriore rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva individuati dal redditometro e posti a base della pretesa fiscale, gravando sul contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presupposto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore. Per la Corte, “in presenza di dati certi ed incontestati, non è consentito pretendere una motivazione specifica dei criteri in concreto adottati per pervenire alle poste di reddito fissate in via sintetica nel cosiddetto redditometro, in quanto esse, proprio per fondarsi su parametri fissati in via generale, si sottraggono all’obbligo di motivazione, secondo il principio stabilito dall’art. 3, secondo comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Cass. 327/06), e l’Amministrazione Finanziaria resta dispensata da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria (nella specie, il possesso di automobili}, gravando sul contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 10350/03)”.

2 Sul punto ricordiamo che con sentenza n. 237 del 21 ottobre 2008 (dep. il 9 gennaio 2009), la Corte di Cassazione aveva già affermato che “dalla interpretazione letterale della norma non si ricava che i due o più periodi di imposta devono essere consecutivi, nè che essi devono essere necessariamente anteriori a quello per il quale si effettua l’accertamento, essendo sufficiente, secondo la disposizione in esame, che il reddito dichiarato non risulti congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta”.

3 Il quesito posto era il seguente: “ Sempre in relazione all’accertamento da redditometro, il contribuente può aver proceduto all’acquisto dell’incremento patrimoniale con i risparmi accumulati negli anni precedenti senza aver fatto ricorso né a istituti di credito né a prestiti dei familiari. In questa situazione, la prova può essere rappresentata dalla documentazione che conferma che, negli anni antecedenti l’acquisto, sono state accantonate le somme utili per la spesa ?