Associazione sportiva dilettantistica cessata e dichiarazioni dell'amministratore di fatto

cosa succede quando un’associazione sportiva dilettantistica si estingue? Su chi ricade la responsabilità tributaria? Quale valore hanno le dichiarazioni del presunto amministratore di fatto trasfuse nel PVC?

ct-facebookLa CTR della Toscana, con la sentenza n. 979/16/16 del 24.05.2016, ha deciso un contenzioso in tema di associazioni sportive dilettantistiche, affrontando molti temi che meritano un approfondimento.

Nel caso di specie, l’associazione sportiva dilettantistica, in persona del suo ex rappresentante legale, appellava la sentenza con la quale la CTP di Firenze aveva respinto i ricorsi riuniti avverso avvisi di d’accertamento emessi per gli anni d’imposta 2006 e 2007.

La contribuente censurava la predetta decisione per i seguenti motivi:

1) errata individuazione della responsabilità solidale e personale del legale rappresentante, considerato che era emerso, in sede di verifica, che l’amministratore di fatto doveva essere individuato in un’altra persona, quale rappresentante di fatto che aveva agito in nome e per conto dell’associazione;

2) mancata dichiarazione di nullità dell’atto emesso nel confronti di soggetto inesistente, dato che gli avvisi d’accertamento erano stati emessi nei confronti di un ente sciolto nell’anno 2007;

3) inesistenza e nullità degli avvisi per notifica a soggetto non legittimato, risultando l’associazione già estinta in epoca precedente, e non rivestendo più il già rappresentante legale alcuna carica al momento della notifica; né risultando applicabile l’art. 156 c.p.c., considerato che il medesimo rappresentante legale si era costituito al solo fine di evitare la definitività dell’accertamento nei confronti di un ente estinto;

4) carenza dl sottoscrizione degli atti in quanto sottoscritti da funzionari senza che fossero menzionati i presupposti richiesti dall’art. 17 c 1 bis dei D.Lgs 165/2001 e senza produzione di adeguata delega;

5) difetto dl motivazione degli avvisi in quanto non congruamente motivati e per mancata allegazione dei pvc della G.d.F.

6) violazione dell’art. 109 del Tuir, in quanto i ricavi ed i costi erano stati correlati per anno di competenza a prescindere da quando gli stessi erano stati pagati;

7) mancata pronuncia sulla violazione dell’art. 19 DPR 633/72, in quanto non era stata riconosciuta la detrazione iva considerata l’inerenza dei costi, diritto peraltro riconosciuto dagli stessi accertatori nel p.v.c.;

8) illegittimità delle sanzioni alla luce delle considerazioni espresse che denotavano quanto meno incertezza nell’applicazione della normativa ed in ogni caso richiesta di applicazione dei principio di continuazione.

Il Collegio, respingendo l’appello del contribuente, osservava che l’art. 38 c.c. stabilisce che per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione, i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune e che inoltre delle stesse obbligazioni rispondono comunque, anche personalmente e solidalmente, le persone che hanno agito in nome e per conto della stessa.

La Commissione Tributaria Regionale precisava del resto che, solitamente, le persone che possono agire in nome e per conto dell’associazione sono il presidente o il consiglio direttivo.

Ed era indubbio nel nostro caso che il contratto di sublocazione dell’immobile in cui si svolgeva l’attività fosse stato sottoscritto dal rappresentante legale, nella sua qualità, appunto, di presidente dell’Associazione.

Lo stesso contribuente, del resto, in sede di verifica, provvedeva ad esibire la documentazione relativa alle fatture per gli acquisti anni 2005-2006-2007 ed ulteriore documentazione relativa all’associazione, e dichiarava ai verbalizzanti che il rendiconto finanziario non era mai stato fatto, che non esistevano verbali d’assemblea, che non esisteva alcun libro di cassa e che l’associazione non aveva mai presentato la dichiarazione dei redditi.

La censura della parte non poteva quindi essere accolta, in quanto si basava sull’esclusiva indicazione, quale amministratore di fatto, di una terza persona, senza però offrire prova alcuna che lo stesso avesse effettivamente agito in nome e per conto dell’associazione, qualità che non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto secondo il costante insegnamento della Corte (ex pluris C. Cass. 16344/08, 19486/09).

Non potevano inoltre essere accolti i motivi sub 2) e 3), in quanto gli stessi postulavano che l’atto fosse stato notificato ad una società estinta, mentre, nel caso in esame, in assenza di un fondo comune su cui far valere i propri diritti ed in conformità al disposto dell’art. 38 c.c., delle obbligazioni rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, pertanto, qualora un’associazione non riconosciuta si sia estinta, sono legittimi la verifica eseguita nei confronti della associazione in presenza del suo legale rappresentante, nonchè gli atti impositivi successivamente emessi sulla base di tale verifica nei confronti della medesima associazione, in persona dei predetto rappresentante, ed a quest’ultimo notificati.

In tal caso lo scioglimento di un’associazione non riconosciuta non ha infatti gli stessi effetti dell’estinzione di una società di capitali o persone, in quanto l’estraneità di tali enti al regime di pubblicità nel registro delle imprese, esclude la possibilità di dar corso agli adempimenti prescritti ai fini della salvaguardia delle ragioni dei terzi (Cass. 5746/2007).

Doveva essere infine rigettato il motivo riferito alla mancata sottoscrizione degli atti, ritenendo il Collegio di adeguarsi a quanto statuito dalla Cassazione con sentenza n 22810/2015, secondo la quale, gli avvisi d’accertamento d’ufficio, per previsione dell’art. 42 DPR 600/73, devono essere sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, senza alcuna previsione che tali soggetti debbano anche rivestire una qualifica dirigenziale.

Non poteva inoltre essere accolto il motivo sub 5), considerato che, per giurisprudenza costante della Corte di Cassazione (da ultimo sentenza n. 23532 del 5 novembre 2014), in tema di motivazione degli avvisi di accertamento è legittimo il comportamento dell’Agenzia delle Entrate che si limita a richiamare gli elementi risultanti dai verbali della Guardia di finanza precedentemente notificati al contribuente.

In tali casi è dunque da escludere il vizio di motivazione dovuto alla mancanza di un’autonoma valutazione delle risultanze del verbale in quanto è da ritenere che l’ufficio ne abbia semplicemente condiviso le conclusioni trattandosi di elementi già noti al contribuente.

Per quanto riferito poi al punti sub 6), anche in questo caso il motivo non poteva essere accolto in quanto connotato in maniera diversa da quanto espresso in primo grado, dove la contribuente si era limitata ad eccepire che “… la determinazione di detti ricavi non può che essere attribuita al metodo induttivo, chiedendosi pertanto il riconoscimento di una quota di costi proporzionale del reddito determinato induttivamente.

Invero la Guardia di Finanza aveva del resto correttamente seguito il criterio di competenza ed aveva valutato non induttivamente, ma in maniera analitica, i dati relativi ai contratti ed ai moduli di iscrizione stipulati dall’associazione con i vari clienti. Dati riportati nei vari allegati at p.v.c. come notificato alla parte e non oggetto di contestazione nella loro veridicità.

Infine, per quanto riferito al punto sub 7), non poteva che confermarsi che dalle ricevute si evinceva che l’associazione non aveva applicato l’Iva ai prezzi praticati e quindi non poteva avanzare un diritto di rivalsa, mentre per l’Iva sulle fatture d’acquisto la stessa non poteva essere riconosciuta per espressa previsione di cui all’art. 55 DPR 633/72, non avendo provveduto la contribuente alla sua liquidazione in dichiarazione.

Da ultimo, anche la domanda di non applicazione delle sanzioni doveva essere respinta.

Infine una considerazione di chiusura sulla questione dell’amministratore di fatto.

Determina la condizione di amministratore di fatto l’atteggiarsi come referente dell’ente, in particolare nei momenti decisivi e aspetti nodali della vita della compagine sociale, anche considerato che la prova per presunzioni può essere raggiunta anche grazie ad un solo elemento, se lo stesso sia ritenuto attendibile alla luce del complessivo compendio probatorio.

Così hanno stabilito per esempio i giudici di legittimità con la sentenza n. 21619 del 23.10.2015.

Nel caso di specie la CTR aveva rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, così confermando l’annullamento dell’atto col quale l’Amministrazione aveva contestato al contribuente la qualità di amministratore di fatto della società, nei confronti della quale era stata accertata evasione ai fini imposte dirette ed Iva.

Il giudice di merito aveva in particolare osservato che l’unico elemento a carico del contribuente, a conferma della contestazione, era costituito dalle dichiarazioni dell’amministratore legale della medesima società, ritenute però non del tutto attendibili.

Pertanto, anche se le dichiarazioni non erano “del tutto auto-accusatorie” (rilevando altrimenti con valore di confessione), esse erano comunque sufficienti ad invertire l’onere della prova, dato che ciò che in questi casi rileva è la circostanza che il titolare di fatto abbia svolto un’attività gestoria.

Perché dunque, anche nel caso di specie, potesse essere dimostrata la realtà dell’amministrazione di fatto da parte di un terzo soggetto, doveva comunque essere fornita qualche prova, anche presuntiva, in ordine allo svolgimento di attività gestoria/imprenditoriale.

5 dicembre 2016

Giovambattista Palumbo