Un particolare caso di revocazione della sentenza di appello

analisi di un particolare caso di possible revocazione della sentenza: contro l’appello dichiarato inammissibile (per tardività) per errore del giudice nell’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di impugnazione è esperibile il ricorso per revocazione ordinaria o il ricorso per cassazione?

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La parte, la quale lamenti che il giudice d’appello abbia dichiarato inammissibile il gravame, sull’erroneo presupposto che il deposito della sentenza di primo grado fosse avvenuto in una determinata data, ha l’onere di impugnare la sentenza con la revocazione ordinaria e non col ricorso per cassazione, trattandosi, appunto, di una falsa percezione della realtà ovvero una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo, che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività. Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 17393 del 26 agosto 2016.

 

Vicenda

I giudici d’appello hanno dichiarato inammissibile il gravame del contribuente, in quanto proposto, in data “10.03.2014“, oltre il termine semestrale, fissato dall’art. 327 c.p.c., come riformulato post novella 169/2009 (trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 4/07/2009), che scadeva “il 16/06/2013” in quanto la data di deposito della decisione di primo grado, non effettivamente indicata nella sentenza, risultava comunque dalla comunicazione, ad opera della segreteria della C.T.P., al contribuente, nella quale veniva riportato “oltre alla data di deposito della stessa (19 dicembre 2012) anche il dispositivo della sentenza stessa“.

Il contribuente, con il ricorso in cassazione, ha lamentato, con unico motivo, la violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex art. 360 n. 3 c.p.c., avendo la C.T.R. ingiustamente dichiarato inammissibile l’appello, per decorso del termine semestrale di legge, errando nel fare riferimento, ai fini dell’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine, quale data di deposito della sentenza di primo grado, al giorno “19 dicembre 2012“, che rappresentava la data dell’udienza nella quale la causa era stata trattenuta in decisione, mentre la data di deposito, non indicata nella sentenza ma riportata nella comunicazione da parte della Segreteria della C.T.P., era quella del “26/11/2013“.

 

Pronuncia

Gli Ermellini, con la pronuncia citata, hanno dichiarato inammissibile il ricorso in cassazione del contribuente sulla base delle seguenti articolate argomentazioni.

La C.T.R. non è incorsa in alcuna violazione di norma di diritto.

Nella specie, a fronte della mancata indicazione della data sulla sentenza di primo grado, la C.T.R. ha preso in esame il biglietto di segreteria, contenente l’avviso di deposito, dalla quale risultava chiaramente come data di emissione della decisione il “19/12/2012” e come data di deposito della stessa “il 26/11/2013“.

La C.T.R. ha invece affermato che, in detta comunicazione di cancelleria, era indicata quale “data di deposito” della sentenza, quella del “19 dicembre 2012“.

Il vizio denunciato involge dunque un errore di fatto, rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., quello sulla data di deposito della sentenza impugnata di primo grado, individuata in un giorno diverso da quello risultante dalla comunicazione della Segreteria della C.T.P., allegata agli atti di causa, così da determinare l’inammissibilità dell’impugnazione per tardività.

Trattasi invero di un errore percettivo circa la esistenza di un fatto (la data del 19/12/2012, quale data di deposito della sentenza di primo grado e di decorrenza del termine di impugnazione, in luogo del giorno 26/11/2013), che, ove esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale.

E’ esperibile il ricorso per revocazione avverso la pronuncia che sia incorsa in errore percettivo e decisivo in relazione al documento esistente in atti ed attestante la presunta tardività dell’impugnazione in rapporto alla pubblicazione della sentenza impugnata.

L’appello dichiarato inammissibile per tardività per errore del giudice nell’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di impugnazione comporta come rimedio il ricorso per revocazione ordinaria e l’inammissibilità del ricorso per cassazione.

 

Conclusioni

Qualora la declaratoria di inammissibilità dell’appello scaturisca dalla falsa percezione della realtà , intesa come svista materiale immediatamente rilevabile la sentenza è l’effetto di un errore di fatto.

Trattasi di un errore decisivo e non di una valutazione sbagliata del giudice e non cadente su un punto controverso tra le parti, tale punto non è stato dibattuto tra le parti in quanto assolutamente pacifico.

La sentenza erroneamente resa in quanto poggia le sue basi sull’esistenza di un fatto del quale, dai documenti già versati in atti, è pacifica l’esclusione realizza l’ipotesi di revocazione ordinaria di cui all’art. 395 c.p.c. n. 4.

 

Revocazione

L’errore di fatto (art. 395, n. 4, c.p.c.) è la falsa percezione della realtà, intesa come svista materiale immediatamente rilevabile: la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti della causa; l’errore deve essere decisivo e non deve cadere su di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato.

Il rimedio della revocazione concerne l’errore di fatto non già una valutazione sbagliata del giudice.

Il rimedio revocatorio, ex art. 395, n. 4, c.p.c., è accordato per emendare sviste materiali di percezioni (Cass., Sez. V, sent. n. 11887 del 20 settembre 2001).

Non si è in presenza di un errore percettivo ma eventualmente di un errore di giudizio quando il fatto su cui l’errore è caduto ha costituito oggetto di decisione (Cass., Sez. III, sent. n. 605 del 17 gennaio 2003; Cass., Sez. V, sent. n. 15522, del 6 novembre 2002).

L’errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c., non è configurabile rispetto ad atti o documenti che non siano stati prodotti (Cass., sent. n. 8974 del 20 giugno 2002).

L’errore di fatto non si sostanzia in un’errata interpretazione di norme (CTR del Lazio, sent. n. 130 del 31 gennaio 2001).

Revocazione straordinaria: si fonda su vizi cosiddetti occulti numero 1, 2, 3, e 6 dell’articolo 395 del codice di procedura civile, non rilevabili immediatamente dalla sentenza; tali vizi possono, pertanto, essere fatti valere senza termine o in un termine che decorre soltanto dalla scoperta; la revocazione straordinaria potrà essere proposta anche dopo la formazione del giudicato.

Revocazione ordinaria: i vizi, di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 395 del codice di procedura civile, possono essere conosciuti e rilevati sulla base della sola sentenza.

La proposizione della revocazione ordinaria impedisce il passaggio in giudicato della sentenza.

La sentenza passa in giudicato solo se non è più soggetta a revocazione ordinaria.

La revocazione ordinaria non è più consentita una volta che il giudicato sia intervenuto.

Il termine per proporre ricorso per revocazione è di 60 giorni decorrenti dalla notificazione della sentenza in caso di revocazione ordinaria; in buona sostanza, la revocazione ordinaria, di cui all’art. 395, nn. 4 e 5, c.p.c., deve essere proposta entro il termine ordinario di 60 giorni dalla notificazione della sentenza o entro il termine lungo in assenza di notificazione.

Scaduti i tempi ordinari per impugnare, non è più possibile far valere i motivi di revocazione ordinaria (CTR della Lombardia, sent. n. 104 del 18 luglio 2002).

 

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8 novembre 2016

Isabella Buscema