Le operazioni successive all’assegnazione di beni ai soci

In pochi hanno analizzato cosa avviene dopo l’operazione di assegnazione beni ai soci: in questo articolo analizziamo le procedure fiscali da gestire, le istruzioni del Fisco, i rischi di abuso del diritto insiti nella procedura.

assegnazione beni ai soci contabilitàL’assegnazione e la cessione agevolata di beni ai soci e la trasformazione agevolata in società semplice delle società commerciali sono possibilità introdotte dalla L. 28.12.2015, n. 208.

L’agevolazione consiste nella possibilità di adempiere gli oneri fiscali assolvendo, in luogo della più onerosa tassazione ordinaria, un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP, con contestuale riduzione dell’imposta di registro.

Essedo già decorso il termine entro il quale occorreva assegnare o cedere i beni, ovvero effettuare la trasformazione agevolata in società semplice, è necessario considerare le possibili conseguenze di tali comportamenti agli effetti tributari, anche in una prospettiva “antiabuso” ai fini della difesa di fronte ai possibili accertamenti.

Su tali questioni è utile prendere in considerazione quanto ha precisato (in termini decisamente favorevoli ai contribuenti) l’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 93/E del 17.10.2016.

Procedura agevolata

La procedura di assegnazione – cessione – trasformazione agevolata poteva essere adottata dalle società commerciali (s.n.c., s.a.s., s.r.l., s.p.a., s.a.p.a.), con data di assegnazione, cessione o trasformazione entro il 30.09.2016.

L’imposta sostitutiva di imposte sui redditi e IRAP veniva applicata sulla differenza tra il valore normale dei beni assegnati o ceduti ovvero, in caso di trasformazione, quello dei beni posseduti all’atto della trasformazione, e il loro costo fiscalmente riconosciuto, con le seguenti aliquote:

  • società in generale: 8%;

  • società considerate non operative in almeno due dei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al momento dell’assegnazione, cessione o trasformazione: 10,5%.

Le riserve in sospensione di imposta annullate per effetto dell’assegnazione dei beni ai soci e quelle delle società che si trasformavano erano assoggettate a imposta sostitutiva nella misura del 13%.

 

Limiti dell’abuso del diritto

gestione fiscale assegnazione beni ai sociCome si è detto, la procedura agevolata può suscitare inquietudini circa l’applicazione della disciplina in materia di abuso del diritto, in considerazione di comportamenti posti in essere successivamente all’assegnazione – cessione – trasformazione (presumibilmente, volti a ripristinare la situazione preesistente attraverso uno “schema circolare”, ovvero a una finalità comunque contrastante con quella della norma).

Al riguardo è opportuno evidenziare che l’art. 10-bis della L. N. 212/2000 (non a caso inserito nel contesto “garantistico” di una disposizione superprimaria fortemente orientata alla tutela del contribuente, e non, come il vecchio art. 37-bis, nel testo normativo che regola l’accertamento) copre un ambito in realtà circoscritto e residuale, potendo essere azionato dall’amministrazione solo in ipotesi precise, in mancanza di norme specifiche e a fronte di alcune garanzie procedurali.

In base alla disposizione normativa citata,

“configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”.

Il significato della nozione di “sostanza economica” viene chiarito nell’art. 10-bis, comma 2, lett. a), ove è affermato che sono “operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”. Il requisito della mancanza di sostanza economica è stato quindi identificato dal legislatore nell’assenza di effetti extrafiscali apprezzabili degli atti o della sequenza negoziale.

Va da sé (come del resto non veniva discusso neppure nella vigenza della vecchia normativa) che la conseguenza “tipica”, ordinaria, di un regime fiscale introdotto dal legislatore, non può costituire di per sé un’ipotesi di abuso.

Si osserva anche che nella nuova normativa è previsto il diritto alla libera scelta tra regimi diversi e alternativi per perseguire risultati economici equivalenti, anche quando la scelta compiuta dal contribuente conduca ad un minor gravame impositivo. È quindi impossibile contestare a chicchessia il comportamento che è semplicemente fiscalmente meno oneroso rispetto a un comportamento alternativo, ma difetta dei caratteri costitutivi dell’abuso (cfr. circolare Assonime 21/2016).

Precedenti

La questione tuttavia non è peregrina, dato che in passato si sono registrati orientamenti ufficiali secondo i quali persino dotarsi di una determinata forma giuridica per accedere a un più favorevole regime tributario è stato ritenuto un comportamento elusivo: si vedano al riguardo:

  • la risoluzione n. 177/E del 28.4.2008 (secondo la quale una società per azioni con oggetto agricolo non poteva lecitamente trasformarsi in S.r.l. agricola accedendo al regime di determinazione catastale del reddito);

  • la risoluzione n. 84/E del 27.11.2013 (secondo la quale, a seguito di attività di accertamento, era apparsa elusiva la trasformazione di una s.r.l. in società semplice).

In altro ambito normativo, tuttavia, l’amministrazione finanziaria ha dimostrato sensibilità per elementi oggettivi che escludono la natura elusiva/abusiva di un’operazione. Ciò è avvenuto ad esempio in relazione alla disapplicabilità automatica dei vincoli ex art. 172, c. 7, del TUIR, nel caso di fusioni di società che hanno optato per il consolidato fiscale, con riguardo alle perdite generatisi entro il consolidato (circolare 09.03.2010, n. 9/E).

Alla luce di queste e altre pronunce di prassi, risulta chiaro che:

  • se il comportamento è naturalmente conseguente o correlato al regime fiscale considerato, esso non dovrebbe risultare abusivo;

  • se invece esso consiste nella strumentalizzazione del regime stesso, in una visione complessiva e in presenza dei requisiti di cui all’art. 10-bis citato, esso potrebbe essere contestato come abusivo dal fisco (ma con tutte le garanzie normativamente previste).

La nuova risoluzione

Per quanto riguarda la fase successiva all’assegnazione – cessione – trasformazione agevolata, il legislatore non ha previsto alcuna conseguenza collegata a ipotesi elusive. In particolare, l’eventuale cessione degli immobili, effettuata dai soci in un momento successivo all’avvenuta assegnazione, genera un legittimo risparmio di imposta, non sindacabile ai sensi dell’art. 10-bis della L. n. 212/2000.

Questo in estrema sintesi il contenuto della citata risoluzione n. 93/E del 2016, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha applicato la nuova nozione, ristretta e residuale, di abuso del diritto.

La vicenda riguardava la società “Alfa”, esercente attività di commercio e rimessaggio di roulotte e camper, che a tale scopo utilizzava un terreno di proprietà sul quale sorgevano un ufficio e un capannone.

La società aveva ricevuto una proposta di acquisto per gli immobili di proprietà proprio nel momento in cui i soci erano intenzionati a cessare l’attività e, di conseguenza, a procedere alla vendita di tali beni: vendita che avrebbe generato una rilevante plusvalenza. Trattandosi di società personale, con tassazione trasparente per imputazione ai soci, l’onere tributario in capo a questi ultimi sarebbe stato assai elevato.

La “Alfa” aveva quindi considerato la possibilità di procedere ad assegnazione agevolata dei beni, valutati secondo il valore di mercato, con assolvimento della relativa imposta sostitutiva (più vantaggiosa rispetto alla tassazione ordinaria).

In un secondo momento, i soci della Alfa intendevano cedere gli immobili all’acquirente che si era offerto di acquistarli direttamente dalla società, realizzando quindi una plusvalenza imponibile ex art. 67 del TUIR solamente sull’eventuale parte di corrispettivo eccedente il valore di assegnazione.

Veniva chiesto al riguardo all’Agenzia se l’operazione, “data la correlazione e consequenzialità tra assegnazione e vendita”, potesse configurare una ipotesi di abuso del diritto ai sensi dell’art. 10-bis della L. n. 212/2000.

Secondo l’istante, tale possibilità doveva ritenersi esclusa in quanto l’operazione non realizzava vantaggi fiscali indebiti (conseguendo solamente il risultato “tipico” previsto dal legislatore e garantito a tutti i soggetti che accedevano all’assegnazione – cessione – trasformazione agevolata).

D’altra parte, ad avviso della società, d’altronde, se le finalità perseguite dai soggetti che si avvalgono del regime di favore avessero carattere imprenditoriale e strategico (ossia una “sostanza” economica e non solo fiscale), non si sarebbe introdotta una norma di favore, perché verrebbero agevolati soggetti che non ne avrebbero bisogno ed effettuerebbero comunque l’assegnazione.

Quando ricorre l’abuso?

Nel rispondere, l’Agenzia delle Entrate rammenta che, secondo la normativa citata, un’operazione può essere considerata “abusiva” solo in presenza di tre requisiti, che devono ricorrere contestualmente:

  1. la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito, costituito da “benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”;

  2. l’assenza di “sostanza economica” dell’operazione o delle operazioni poste in essere consistenti in “fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”;

  3. l’essenzialità del conseguimento di un “vantaggio fiscale”.

L’assenza di uno dei tre presupposti costitutivi dell’abuso determina un giudizio di assenza di abusività.

Non possono comunque considerarsi abusive quelle operazioni che, pur presentando i tre elementi “tipici”, sono giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali (anche di ordine organizzativo o gestionale che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale).

In sostanza: la via dell’abuso è molto stretta e passa attraverso il vantaggio fiscale indebito ed essenziale (che sia cioè l’unica o prevalente motivazione del comportamento), in un contesto privo di sostanza economica e in assenza di valide ragioni extrafiscali non marginali.

Analisi della norma

Alla luce di queste premesse, l’Agenzia ha analizzato l’art. 1, cc. da 115 a 120, della L. n. 208/2015, per stabilire se in qualche modo le disposizioni normative sull’assegnazione agevolata potessero essere aggirate tramite un comportamento come quello sopra descritto (procedura agevolata seguita dalla cessione degli immobili da parte dei soci assegnatari).

Come osserva la risoluzione, l’agevolazione si traduce nella possibilità di assegnare o cedere i beni ai soci con assolvimento dell’imposta sostitutiva, come sopra già precisato.

Anche per le società che si trovano in una fase di liquidazione (in cui non è esercitata alcuna attività d’impresa, ma si è in presenza di una mera fase di chiusura dei rapporti di credito e debito verso terzi finalizzata alla cessazione dell’attività) gli immobili possono rientrare nell’assegnazione agevolata.

In tale evenienza si ritiene pienamente ritiene rispettata la finalità della disciplina agevolativa, che intende favorire la fuoriuscita dei beni non direttamente utilizzati nell’espletamento di attività tipicamente imprenditoriali (l’Agenzia richiama al riguardo la propria circolare n. 26/E dell’1 giugno 2016).

Si ritiene, pertanto, che nel momento in cui verrà aperta la fase liquidatoria della società ALFA, gli immobili di proprietà della stessa potranno rientrare nel regime agevolativo in questione.

Secondo l’Agenzia,

“l’eventuale cessione degli immobili, effettuata dai soci in un momento successivo all’avvenuta assegnazione, è una facoltà che il legislatore non ha inteso vietare, con la conseguenza che … il legittimo risparmio di imposta che deriva dall’operazione non è sindacabile ai sensi dell’articolo 10-bis della legge n. 212 del 27 luglio 2000”.

Questo convincimento si giustifica alla luce della ratio della norma,

“diretta ad offrire l’opportunità – tramite l’assegnazione ai soci o anche la trasformazione in società semplice – di estromettere dal regime di impresa, a condizioni fiscali meno onerose di quelle ordinariamente previste, quegli immobili per i quali allo stato attuale non si presentano condizioni di impiego mediamente profittevoli”.

Il regime agevolativo è proprio finalizzato alla fuoriuscita dalle società di immobili idonei a essere reimmessi nel mercato, favorendo così la circolazione dei beni “e portando nuova linfa ad un mercato che versa in una situazione piuttosto stagnante”.

Risulta quindi “di tutta evidenza” che l’assegnazione dei beni con successiva cessione effettuata direttamente dai soci a terzi “è del tutto in linea con le intenzioni che il legislatore vuole perseguire e quindi non è in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”.

Considerazioni di sintesi

Nella risoluzione in commento l’Agenzia delle Entrate chiarisce in modo inequivocabile che una disposizione normativa nata per un determinato scopo “tipico”, circoscritto anche dalla relazione introduttiva della legge di riferimento, non può considerarsi aggirata se i contribuenti se ne servono proprio per raggiungere quella finalità tipica, prevista dal legislatore stesso. In tale ipotesi, infatti, non si verifica il carattere “indebito” del vantaggio fiscale, che viene a configurarsi come lecito risparmio di imposta.

Occorre precisare che la pronuncia dell’Agenzia è resa come risposta a interpello, e che in sede di controllo – accertamento potrebbero sorgere contestazioni fondate su una visione “contestuale”, su un più ampio spettro di osservazione riferito a comportamenti concreti. Tuttavia, il criterio adottato nella risoluzione può supportare la posizione dei contribuenti nei casi corrispondenti a quello dei soci della società Alfa.

In ogni caso, alla luce sia dei principi comunitari in materia di abuso che di quelli costituzionali, si conferma (dopo la stagione giurisprudenziale dell’abuso a tutto campo) un ruolo molto limitato e particolare per questa nozione.

Il che è peraltro conforme al senso di una normativa anti–elusione fin dai tempi dell’introduzione del soppresso art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, come si evince dalla previsione di una procedura speciale in materia di accertamento e di un interpello specificamente dedicato.

9 novembre 2016

Fabio Carrirolo