Le dichiarazioni di terzi da procedimento penale

le dichiarazioni dei terzi, raccolte dai verificatori nell’ambito del procedimento penale, e inserite nel p.v.c fiscale, sono elementi di prova pienamente utilizzabili nel processo tributario?

william_talman_raymond_burrCon l’ordinanza n. 19259 del 28 settembre 2016 la Corte di Cassazione, ritornata ad affrontare la questione relativa al valore da attribuire alle dichiarazioni di terzi, ha confermato che “le dichiarazioni dei terzi raccolte dai verificatori, quand’anche nell’ambito di un procedimento penale, e inserite nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di prova (cfr. Cass. n. 20032/2011 – id n. 6946/2015)”.

La questione

Nel processo tributario, le dichiarazioni di terzi (acquisite dalla polizia tributaria o da funzionari accertatori dell’Ufficio nel corso di un’ispezione e trasfuse nel processo verbale di constatazione, che a sua volta viene recepito nell’avviso di accertamento) hanno, in via di principio, un valore meramente indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice, qualora confortate e/o supportate da altri elementi di prova. Resta fermo che tali dichiarazioni, quando abbiano valore confessorio, possono integrare una prova presuntiva, ai sensi dell’art. 2729 c.c., idonea da sola ad essere posta a fondamento e motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica, da parte dell’amministrazione finanziaria, senza incorrere nel divieto di prova testimoniale, sancito dall’art. 7, del D.Lgs. n. 546 del 1992, in quanto norma limitativa dei poteri delle commissioni tributarie e non pure dei poteri degli organi di verifica.

Di conseguenza, le dichiarazioni rese dai terzi ai verificatori, e inserite nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali meri indizi, o anche quali elementi di prova piena, in presenza di determinate circostanze.

Possiamo, quindi, sostenere che le dichiarazione dei terzi1 (rese al di fuori e prima del processo – in corso di verifica, per esempio) costituiscono strumenti di prova indiziaria o piena, a secondo dei casi. I verificatori civili e miliari possono, pertanto, raccogliere “sommarie informazioni” dai soggetti sottoposti a indagine, o da altri soggetti2.

Senza qui andare a recuperare il precedente pensiero della Corte di Cassazione3 (peraltro conforme, di recente la Corte di Cassazione, sentenza n. 13161 dell’11 giugno 2014, ud. 5 maggio 2014) ha confermato che le dichiarazioni dei terzi hanno il valore indiziario di informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, utilizzabili dal giudice quale elemento di convincimento. Infatti, secondo la Suprema Corte, “in materia, costituisce principio condiviso quello per cui, nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, si riferisce alla prova testimoniale quale prova da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice (cfr. Cass. n. 9402/07; n.703/2007, e da recente n. 8369/2013)”.

Nel medesimo senso si sono espressi i giudici del Palazzaccio (sentenza n. 658 del 15 gennaio 2014, ud. 25 novembre 2013), confermando che le dichiarazioni dei fornitori “proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali semplici elementi ‘indiziari’, il cui valore può essere sempre contestato dal contribuente nell’esercizio del suo diritto di difesa (Corte Cost. 21 gennaio 2000 n. 18; Cass. n. 14774/2000; Cass. n. 11994/2003; Cass. n. 20032/12 e 21812/2012“.

E con la sentenza n. 15331 del 4 luglio 2014 (ud. 8 aprile 2014) la Corte di Cassazione ha affermato che l’inesistenza di una operazione commerciale “può essere fornita anche attraverso elementi presuntivi, tra i quali vanno annoverate le dichiarazioni dei terzi, purchè inserite o trascritte nel processo verbale di constatazione, ovvero allegate all’avviso di rettifica notificato. Una volta che tale prova sia stata adeguatamente fornita, spetta al contribuente fornire la prova contraria della esistenza dell’operazione contestata, la quale non può consistere esclusivamente nella regolarità formale delle scritture o nelle evidenze meramente contabili dei pagamenti“.

La stessa Cassazione (sentenza n. 16223 del 16 luglio 2014) attestandosi sulle posizioni già espresse in precedenza, ha confermato che nel processo tributario, le dichiarazioni del terzo, acquisite dalla G.d.F. e trasfuse nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito dall’avviso di accertamento, hanno valore indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice unitamente ad altri elementi”, fermo restando che la limitazione posta dall’art. 7, c. 4, Dlgs 546/1992 “vale soltanto per la diretta assunzione, da parte del giudice stesso, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia per quella narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio. Le dichiarazioni, invece, dei terzi, raccolte da verificatori o finanzieri e inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di convincimento”.

E con l’ordinanza n. 19965 del 22 settembre 2014 (ud. 19 giugno 2014), la Corte di Cassazione, richiamando un proprio pronunciamento (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20032 del 30/09/2011) ha ribadito che :”In tema di contenzioso tributario, la disposizione contenuta nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4, – secondo cui nel processo tributario ‘non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale’ – in quanto limitativa dei poteri delle commissioni tributarie e non pure dei poteri degli organi amministrativi di verifica, disciplinati da altre disposizioni, vale soltanto per la diretta assunzione, da parte del giudice tributario, nel contraddittorio delle parti, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia per quella narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio. Le dichiarazioni, invece, dei terzi raccolte dai verificatori, quand’anche nell’ambito di un procedimento penale, e inserite nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di prova“.

Così come con l’ordinanza n. 22616 del 24 ottobre 2014 (ud 24 settembre 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che le dichiarazioni rese dall’amministratore legale rappresentante della società nel corso della verifica sono qualificabili come confessione stragiudiziale, in virtù del nesso d’immedesimazione organica tra il primo e la seconda, che non è reciso neanche quando l’atto sia stato compiuto dall’amministratore con dolo o abuso di potere e non rientri nella sua competenza (Cass. 12 dicembre 2013, n. 27833; 5 dicembre 2011, n. 25946; 26 maggio 2008, n. 13482; Cass. 21 dicembre 2005, n. 28316)”; e con la sentenza n. 8196 del 22 aprile 2015 (ud. 28 gennaio 2015) la Cassazione ha confermato il principio secondo cui le dichiarazioni di terzi, raccolte nel corso di controlli effettuati dalla Guardia di Finanza, hanno valore indiziario. Nel caso in questione era in discussione l’effettiva sede della società sottoposta a controllo, e la CTR ha fondato la propria statuizione su “una pluralità di elementi sia di carattere documentale, quali, a titolo esemplificativo, l’esame della contabilità, dei documenti afferenti ai rapporti con fornitori e terzi, la documentazione bancaria, i verbali del CdA, rinvenuti in occasione dell’accesso effettuato dalla Guardia di Finanza e trasfusi nel pvc, sia delle dichiarazioni rese da terzi ai militari della Guardia di Finanza”. Osserva la Corte che tali dichiarazioni “sono senz’altro ammissibili nel processo tributario e vi trovano ingresso come elementi indiziari che concorrono a formare il convincimento del giudice nel complesso delle altre risultanze probatorie (Cass. 23397/2011). Ed invero nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, si riferisce alla prova testimoniale quale prova da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice (Cass. 8369/2013)”.

Ed ancora con la sentenza n. 20961 del 16 ottobre 2015 (ud. 4 maggio 2015), la Suprema Corte, dopo aver affermato che non corrisponde al vero che i giudici di secondo grado si siano limitati ad accogliere l’appello della contribuente “sulla scorta delle risultanze testimoniali emerse in sede di dibattimento penale“, avendo essi non solo indicato gli ulteriori elementi di fatto sui quali si è basata la decisione (rispetto ai quali il giudicato penale ha rappresentato una sorta di “riprova“), ma anche fatto espresso riferimento al potere del giudice tributario di valutare autonomamente i fatti storicamente accertati in sede penale, ha ribadito che “nel giudizio tributario non opera automaticamente l’efficacia vincolante del giudicato penale ai sensi dell’art. 654 c.p.c., poichè in esso, per un verso, vigono specifiche limitazioni probatorie e, per altro verso, trovano accesso anche le presunzioni, inidonee invece a supportare una pronuncia penale di condanna. Di conseguenza, la decisione penale può costituire in quella sede un semplice indizio, o elemento di prova critica, in ordine ai fatti ivi accertati, sulla base delle prove raccolte nel relativo giudizio (Cass. n. 4924 del 2013)”. Resta fermo che la disposizione dell’art. 7, del D.Lgs. n. 546 del 1992, (per cui nel processo tributario “non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale)è diretta a circoscrivere i poteri delle commissioni tributarie, piuttosto che degli organi amministrativi di verifica (altrove disciplinati) e vale quindi ad escludere solo la possibilità di una diretta assunzione della testimonianza di terzi nel corso del giudizio tributario – con quella valenza probatoria tipica, connessa al rispetto di determinate formalità processuali – non anche l’eventualità che dichiarazioni di terzi siano raccolte dai verificatori o, a maggior ragione, assunte nell’ambito del processo penale (Cass. n. 6953 del 2015); fermo restando che, in tal caso, dette dichiarazioni non assurgono a valore di prova piena ed autonoma, ma restano pienamente utilizzabili quali semplici elementi di prova (Cass. n. 20032 del 2011, n. 21812 del 2012)”. In particolare, osserva la Corte, “ove si tratti – come nel caso di specie – di atti ritualmente assunti in sede penale ed acquisiti dall’amministrazione finanziaria, essi possono entrare a far parte, a pieno titolo, del materiale probatorio sottoposto alla valutazione di merito del giudice tributario, così come previsto, tra l’altro, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63 (Cass. n. 2916 del 2013). Del resto, in base al principio del giusto processo e della parità di armi processuali tra le parti, a tale possibilità corrisponde, specularmente, la facoltà del contribuente di avvalersi di analoghi mezzi conoscitivi da riversare nel processo (Corte cost. n. 109 del 2007). Senza poi considerare che, come tutti gli elementi indiziari, le dichiarazioni rese in sede penale, se ritenute attendibili, possono anche assumere efficacia decisiva nel processo tributario, a prescindere dall’esistenza di specifici riscontri documentali, restando affidata al giudice tributario la valutazione complessiva dei vari elementi di prova disponibili (Cass. n. 8772 del 2008)”.

2 novembre 2016

Gianfranco Antico

1 Sul tema cfr. ANTICO, Il valore delle dichiarazioni di terzi: la posizione della giurisprudenza, in “il fisco”, n. 37/2007, pag. 1-4077.

2 Ai sensi degli artt. 203 e 267 del c.p.p., come riformulati dagli artt. 7 e 10 della Legge 1.3.2001 n. 63.

3 Fra le altre, Cass. sent. n. 28004 del 30 dicembre 2009 (ud. del 10 novembre 2009), secondo cui la prova testimoniale vietata nel giudizio tributario, sancita dall’art. 7, c. 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si riferisce “alla prova testimoniale quale prova da assumere nel processo con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’Amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento anche sul conto di un determinato contribuente (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1; D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51)”. Tuttavia, “tali dichiarazioni, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali semplici elementi indiziari, il cui valore può essere sempre contestato dal contribuente nell’esercizio del suo diritto di difesa; conseguentemente, le dichiarazioni di terzi raccolte dalla Polizia tributaria ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di testimonianza (quand’anche siano state, come nella specie, già rese in seno a procedimento penale), bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, sfornite, pertanto, ex se, di efficacia probatoria, con la conseguenza che esse risultano del tutto inidonee, di per sé, a fondare un’affermazione di responsabilità del contribuente in termine di imposta, potendo soltanto fornire un eventuale ulteriore riscontro a quanto già accertato e provato aliunde in sede di procedimento tributario (cfr. Cass. n. 3526/2002) od avere un valore probatorio proprio degli elementi indiziari, i quali possono concorrere a formare il convincimento del giudice, ma non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione (Corte Cost. sent. n. 18 del 2000, cfr. anche Cass. nn. 903/2000, 4269/2000)”; Cass. sent. n. 12763 del 10 giugno 2011 (ud. del 2 febbraio 2011), con cui la Corte di Cassazione ha ritenuto che il divieto di assunzione di talune fonti di prova (giuramento e prova testimoniale) non implica l’inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione (ovvero rese in favore del contribuente) nella fase procedimentale e rese da soggetti terzi rispetto al rapporto giuridico d’imposta, dovendosi attribuire alle medesime valenza di elementi indiziari che, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, possono assumere natura di presunzione anche ove desumibili dall’utilizzo come fonte di atti di un giudizio civile o penale. Prosegue la sentenza, affermando che è pacifico nella giurisprudenza della Corte (cfr., da ultimo, Cass., trib., 10 marzo 2010 n. 5746, la quale richiama “Cass. n. 903 del 2002 e n. 9402 del 2007“, ex multis) che detto “divieto” si riferisce soltanto “alla prova testimoniale da assumere nel processo” (“che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio“) ma “non implica … l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall‘Amministrazione nella fase procedimentale e rese da terzi e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente-parte e l’Erario“: “tali dichiarazioni“, infatti, hanno comunque “il valore probatorio proprio degli elementi indiziari” per cui “danno luogo a presunzioni” (costituenti prove dei fatti ex art. 2727 c.c. e ss.) “qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c.”. La “natura e la valenza di elementi indiziari, nel processo tributario, del contenuto delle dichiarazioni” dette, inoltre, “non muta” sia che la acquisizione delle dichiarazioni di terzi sia realizzata in via diretta in fase di verifica” sia nel caso in cui si utilizzino “come fonte gli atti di un giudizio civile o penale“. Il giudice tributario, infatti (Cass. trib., 14 maggio 2010 n. 11785), “nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione … del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.)“, deve (“in ogni caso“) verificare la “rilevanza” di quel “materiale” (anche di quello penale) nello ambito specifico” (tributario) “in cui esso è destinato ad operare“.