Dichiarazione congiunta: è ammissibile il ricorso della moglie per l’accertamento del marito?

in caso di dichiarazione congiunta, se viene notificata un avviso di accertamento ad uno dei codichiaranti, l’altro dichiarante può ricorrere dato che è responsabile di imposte sanzioni e interessi?

sul-filo-immagineCon la sentenza n. 20131 del 7 ottobre 2016 la Corte di Cassazione torna ad affrontare le problematiche legate alla dichiarazione congiunta.

La Corte prende le mosse dall’art. 17, della L. n. 114 del 1977, secondo cui E’ in facoltà dei coniugi non legalmente ed effettivamente separati, presentare su unico modello la dichiarazione unica dei redditi di ciascuno di essi… Gli accertamenti in rettifica sono effettuati a nome di entrambi i coniugi e notificati a norma del comma precedente. I coniugi sono responsabili in solido per il pagamento dell’imposta, soprattasse, pene pecuniarie e interessi iscritti a ruolo a nome del marito“.

Per la Corte la norma “non preclude alla moglie, coniuge codichiarante, la proposizione di un’autonoma impugnazione per contestare gli accertamenti a carico del marito, cui non è attribuita la legittimazione ad agire anche per la coniuge, venendo altrimenti vulnerato il diritto di difesa della moglie, che rimane corresponsabile delle maggiori imposte e degli accessori relativi a quell’accertamento, e non ostando a ciò la circostanza che l’avviso di accertamento debba essere notificato al marito. Neppure la mancata impugnazione da parte del dichiarante dell’avviso di accertamento notificatogli preclude alla moglie codichiarante di impugnare autonomamente, anche mediante l’impugnazione dell’avviso di mora ovvero della cartella di pagamento a lei diretti, l’accertamento notificato al marito e di far valere in tale sede tutte le ragioni di contrasto con la pretesa tributaria (Cass. n. 23553 del 2015 e le sentenze ivi citate Cass. n. 19896 del 2006, n. 2021 del 2003, n. 12371 e n. 5169 del 2002, n. 2168 del 2001)”.

Del pari, osserva la Corte, “ove un avviso di accertamento che inerisca alla posizione reddituale della moglie sia stato notificato, come nel caso in esame, solo alla codichiarante, tale accertamento non potrà essere opposto al coniuge dichiarante, solidalmente responsabile. In sintesi se ne deduce che l’avviso di accertamento è opponibile al contribuente solo e soltanto se sia stato portato a sua diretta conoscenza”.

Pertanto, “la circostanza che l’avviso di accertamento sia stato indirizzato e notificato al solo coniuge i cui redditi sono stati rettificati rende inopponibile all’altro coniuge le rettifiche apportate ma non vizia l’atto dell’amministrazione. La notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento costitutivo dell’atto amministrativo di imposizione tributaria, cosicchè il vizio di nullità ovvero di inesistenza della stessa è irrilevante ove, come nella specie, abbia raggiunto lo scopo (cfr. Cass. n. 8374 del 2015, n. 654 del 2014 e n. 7284 del 2001)”.

Resta fermo che “la modalità di presentazione delle dichiarazioni in forma congiunta non comporta la unificazione con riferimento ai redditi dei coniugi, che rimangono divisi e su ciascuno viene calcolata la imposta lorda applicabile. Ove pure l’avviso con cui siano rettificati i redditi sia formalmente unico la rettifica verte comunque sul reddito di ognuno in relazione a fatti economici pertinenti all’uno o all’altro separatamente ed i due rapporti dedotti in giudizio rimangono autonomi sul piano sostanziale e sono definibili in modo distinto (cfr. Cass. n. 25531 del 2011 in tema di applicabilità del condono fiscale previsto dal D.L. 28 marzo 1997, n. 79, art. 9 bis, convertito, con modificazioni, nella L. 28 maggio 1997, n. 140). Al contrario ben è possibile un accertamento che investa solo uno dei due redditi dichiarati e la mancata indicazione della persona dell’altro coniuge, e notifica dell’avviso, incide solo in termini di opponibilità dello stesso”.

Breve nota

La Suprema Corte, in caso di dichiarazione congiunta, non preclude alla moglie, coniuge co-dichiarante, la proposizione di un’autonoma impugnazione per contestare gli accertamenti a carico del marito, cui non è attribuita la legittimazione ad agire anche per la coniuge, venendo altrimenti vulnerato il diritto di difesa della moglie, che rimane corresponsabile delle maggiori imposte relative a quell’accertamento.

In ogni caso, la dichiarazione congiunta non comporta l’unificazione dei redditi dei coniugi, che rimangono divisi e su ciascuno viene calcolata l’imposta lorda applicabile.

Sono queste le indicazioni fornite dalla Corte di Cassazione con la sentenza che si annota.

Il tema della dichiarazione congiunta e delle conseguenze che ne derivano non è certo nuovo.

L’art. 17, della Legge 13 aprile 1977, n. 114, ha concesso (comma 1) ai coniugi non legalmente ed effettivamente separati la facoltà di presentare su unico modello la dichiarazione unica dei redditi di ciascuno di essi, disponendo altresì al comma 3 che in tale ipotesi la notifica della cartella dei pagamenti dell’imposta sul reddito iscritta nei ruoli è eseguita nei confronti dei marito, e, al comma 4, che “gli accertamenti in rettifica sono effettuati a nome di entrambi i coniugi e notificati a norma dei comma precedente”; infine, al comma 5, che “i coniugi sono responsabili in solido per il pagamento dell’imposta, soprattasse, pene pecuniarie ed interessi iscritti a ruolo a nome del marito”.

Pertanto, la volontaria e libera scelta di presentare la dichiarazione congiunta comporta i rischi relativi a tale disciplina, e, in particolare, come osservato dalla Cassazione nella sentenza n.7612/2014, “quelli connessi sia alla previsione della notifica al solo marito degli ‘accertamenti in rettifica’ sia alle conseguenze (sostanziali e processuali) proprie delle obbligazioni solidali; di conseguenza, per effetto della scelta in questione, l’insorgenza della responsabilità solidale della moglie ‘codichiarante’ non richiede che sia notificato anche ad essa l’avviso di accertamento, essendo sufficiente la notifica effettuata al solo marito (Cass. 27005/2007); detta responsabilità solidale vale anche per gli accertamenti dipendenti da comportamenti non riconducibili alla sfera volitiva e cognitiva di entrambi, in quanto conseguenti ad atti di accertamento in rettifica condotti esclusivamente nei confronti di uno solo di essi (Cass. 9209/2011) ed opera anche nel caso in cui i redditi accertati nei confronti del marito siano costituiti da proventi derivanti da reato, atteso che il su citato articolo 17, comma 1, pone chiaramente sullo stesso piano i coniugi che abbiano presentato dichiarazione congiunta, dichiarandoli entrambi responsabili in solido per il pagamento delle imposte (Cass. 5202/2003)”.

Né la Corte Costituzionale ha ravvisato dubbi di costituzionalità (fra le altre sentenza n. 184/89), atteso che, per quanto riguarda l’ipotetica violazione degli artt. 3 e 24 Cost., deve essere sempre riconosciuta alla moglie, pur essendo le cartelle esattoriali e gli accertamenti in rettifica notificati solo al marito, la possibilità di impugnare autonomamente l’intimazione di pagamento e/o la successiva cartella, nel caso in cui venga per la prima volta, attraverso la notifica di tali atti, a legale conoscenza della pretesa avanzata dall’amministrazione finanziaria in via solidale; e ciò, eventualmente, anche per contestare nel merito l’obbligazione tributaria del coniuge. In particolare, la Corte Costituzionale, nella pronuncia n.184/89, nel sostenere siffatta interpretazione adeguatrice, ha evidenziato che “tutte le norme le quali prevedono responsabilità di soggetti dell’ordinamento, salvo che non escludano espressamente la possibilità di agire in giudizio (nel qual caso palese sarebbe la loro illegittimità costituzionale), devono essere interpretate nel senso che sia data la possibilità al soggetto onerato di avvalersi della tutela giurisdizionale prevista dall’articolo 24 della Costituzione come diritto inviolabile”.

La posizione della moglie, coobbligata in solido, è quindi garantita dal poter contestare anche nel merito l’obbligazione del coniuge entro i termini decorrenti dalla notifica dell’atto con il quale ella venga per la prima volta a conoscenza della pretesa tributaria nei suoi confronti (cfr. Cass. Sent. n.7612/2014).

Né siffatta tutela è vanificata dalla eventuale successiva separazione o dallo scioglimento del matrimonio (Cass. n. 2021/2003). Principio sostanzialmente confermato dalla sentenza n. 1947/2016, secondo cui la separazione dei coniugi, se sopraggiunta dopo la presentazione congiunta della dichiarazione, non fa venir meno la solidarietà tributaria, così che è legittima la notifica della cartella alla moglie, fondata sull’avviso di accertamento notificato al marito.

Per la Corte (che prende le mosse dal dettato normativo di riferimento) sono fondati entrambi i motivi di ricorso addotti dalle Entrate. Infatti, l’art. 17, della L. n. 114 del 1977 (nella versione applicabile ratione temporis), nel prevedere che i coniugi non separati hanno la facoltà di “presentare su unico modello la dichiarazione unica dei redditi di ciascuno di essi” dispone che le somme dovute vanno iscritte a ruolo a nome del marito e che la conseguente cartella va a questi notificata nonchè che gli accertamenti in rettifica sono effettuati a nome di entrambi i coniugi con notifica eseguita nei confronti dei marito e che “i coniugi sono responsabili in solido per il pagamento dell’imposta, soprattasse, pene pecuniarie ed interessi iscritti a ruolo a nome del marito“. Osserva la Corte che “tale normativa è consolidatamente letta nel senso che, con la libera scelta di presentare la dichiarazione congiunta, i coniugi dichiaranti accettano anche i rischi inerenti alla disciplina propria dell’istituto e, specificamente, sia quelli inerenti alla previsione della notifica degli atti impositivi al solo marito sia quelli concernenti le conseguenze (sostanziali e processuali) proprie delle obbligazioni solidali, a prescindere dalle successive vicende del matrimonio; ne consegue, pertanto, che la responsabilità solidale dei coniugi per il pagamento dell’imposta ed accessori, iscritti a ruolo a nome del marito a seguito di accertamento, prevista dal citato art. 17, u.c., non è influenzata dal venir meno, successivamente alla dichiarazione congiunta, della convivenza matrimoniale per separazione personale. Nè l’assenza di qualsiasi rilevanza ostativa è suscettibile di dar corpo ad un dubbio di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 24 Cost. (cfr. Corte cost., ord. 215/04), essendo da escludere che la mancata impugnazione da parte del marito dall’avviso di mora a lui notificato renda definitiva l’obbligazione tributaria nei confronti della moglie separata, avendo costei la possibilità di impugnare autonomamente l’avviso di mora e di far valere, in tale sede, tutte le possibili ragioni di contrasto con la pretesa tributaria, in relazione anche alla mancata notifica diretta degli atti precedenti (e in primo luogo dell’avviso di accertamento) (v. ex multis Cass. Sez. 5, n. 1463 del 27/01/2016, Rv. 638737; Sez. 6-5, ord. n. 17160 del 29/04/2014, Rv. 632184; Sez. 5, n. 19026 del 10/09/2014, Rv. 632386; Sez. 5, Sentenza n.27005 del 21/12/2007, Rv. 601295; Sez. 5, n. 2021 del 11/02/2003, Rv.560393; Sez. 5, n. 4863 del 05/04/2002, Rv. 553529)”. Di conseguenza, per effetto della solidarietà legislativa “la tempestiva notifica al marito dell’avviso di accertamento (come della cartella di pagamento), non solo impedisce qualsiasi decadenza dell’Amministrazione finanziaria anche nei confronti della moglie co-dichiarante, ma comporta altresì, a seguito dell’instaurazione del giudizio tra l’Amministrazione finanziaria ed il marito, l’interruzione con effetti permanenti del decorso della prescrizione anche nei confronti della moglie co-dichiarante (v. Cass. 1436/16; 27005/07 cit.)”. E quindi, la solidarietà tra i coniugi co-dichiaranti “impone, in carenza di disposizioni specifiche, di applicare le ordinarie regole codicistiche in tema di obbligazione solidale. In particolare:

a) la regola dettata dall’art. 1310 cod. civ., comma primo, secondo la quale ‘gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido … hanno effetto riguardo agli altri debitori…’;

b) quella di cui all’art. 2945 cod. civ., ai sensi della quale ‘per effetto della interruzione s’inizia un nuovo periodo di prescrizione’, con la puntualizzazione che ‘se l’interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dall’art. 2943, commi 1 e 2’ – con atti, cioè, idonei ad ingenerare l’instaurazione di un giudizio o domande proposte nel corso di giudizio – ‘la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio’ (v. ancora Cass. 1463/16)”.

Regole, osserva la Corte, che “in combinazione, comportano dunque (v. Cass. 1406/11, 6224/05, 8136/01), anche ai fini della solidarietà sancita in materia dalla L. n. 114 del 1977, art. 17, che l’azione giudiziaria e la pendenza del relativo processo nei confronti di uno dei condebitori solidali determinano l’interruzione permanente della prescrizione anche nei confronti del condebitore rimasto estraneo al giudizio”.

5 novembre 2016

Gianfranco Antico