L’acquisto di due immobili attigui non fa perdere le agevolazioni prima casa

nell’ipotesi di acquisto di due unità immobiliari attigue adibite ad un’unica abitazione principale del contribuente, con caratteristiche non di lusso, è possibile richiedere le agevolazioni prima casa

villaLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8346 del 27 aprile 2016, ha confermato che nell’ipotesi di acquisto di due unità immobiliari attigue adibite ad un’unica abitazione principale del contribuente, con caratteristiche non di lusso, non comportano la decadenza delle agevolazioni prima casa.

La sentenza

Secondo quanto già chiarito in ordine a fattispecie analoghe che (Sez. 5, Sentenza n. 24986 del 24/11/2006) “In tema di agevolazioni tributarie, i benefici per l’acquisto della “prima casa” previsti dall’art. 2 del decreto-legge 7 febbraio 1985, n. 12, convertito con modificazioni dalla legge 5 aprile 1985, n. 118, possono riguardare anche alloggi risultanti dalla riunione di più unità immobiliari, purché le stesse siano destinate dall’acquirente, nel loro insieme, a costituire un’unica unità abitativa: pertanto, il contemporaneo acquisto di due appartamenti non è di per sé ostativo alla fruizione di tali benefici, a condizione che l’alloggio così complessivamente realizzato rientri, per la superficie, per il numero dei vani e per le altre caratteristiche specificate dall’art. 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408, nella tipologia degli alloggi ‘non di lusso’“.

Nel solco dell’orientamento sopra riportato, la Corte afferma “che i benefici per l’acquisto della ‘prima casa’, possono essere riconosciuti anche quando siano più di una le unità immobiliari contemporaneamente acquistate purché ricorrano due condizioni e cioè la destinazione, da parte dell’acquirente, di dette unità immobiliari, nel loro insieme, a costituire un’unica unità abitativa e la qualificabilità come alloggio non di lusso dell’immobile così ‘unificato’ (Sez. 5, Sentenza n. 6613 del 23/03/2011). A tal riguardo è del tutto irrilevante il dato formale costituito dall’iscrizione catastale unitaria o separata dei locali che costituiscono l’abitazione, dovendosi dare rilievo esclusivamente alla destinazione assunta dall’intero immobile”.

Inoltre, precisa la Corte, “la fusione catastale delle due unità immobiliari non deve necessariamente avvenire entro il periodo triennale di decadenza dal potere di accertamento dell’Ufficio, tanto più che nel caso in esame la stessa CTR ha comunque accertato che le due unità abitative erano state catastalmente unificate”.

I precedenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione

Il “lusso” è stato più volte oggetto di esame da parte della Cassazione. Segnaliamo gli interventi più recenti e significativi, su alcuni aspetti dell’immobile:

  • la sentenza n. 10807 del 28 giugno 2012 (ud. 18 aprile 2012) con cui la Corte di Cassazione ha confermato che, in materia di agevolazioni prima casa, anche il piano interrato, non conforme ai regolamenti edilizi, fa parte della superficie utile per far scattare il cd. lusso;

  • la sentenza n. 21791 del 5 dicembre 2012 (ud. 17 ottobre 2012) con cui la Corte di Cassazione ha affermato che l‘applicazione dell’agevolazione fiscale contemplata per l’acquisto della prima casa postula che l’abitazione sia considerata non di lusso al momento dell’acquisto, e non già in quello della costruzione;

  • la sentenza n.12517 del 22 maggio 2013 con cui la Corte di Cassazione rileva che anche nell’ipotesi in cui la casa diventa di lusso si perdono le agevolazioni;

  • la sentenza n. 12942 del 24 maggio 2013 (ud. 4 aprile 2013) dove la Corte di Cassazione richiama e fa sua la precedente giurisprudenza (cfr. Cass. nn. 23591 del 2012, 10807 del 2012 e 22279 del 2011), che “si è, di recente, ormai, attestata nel senso di ritenere che, nel calcolo della superficie utile per stabilire se un’abitazione sia di lusso, debba computarsi quella relativa ai vani interni all’abitazione, ancorchè privi dell’abitabilità (in questo caso, da intendersi come conformità alle prescrizioni urbanistiche sotto il profilo dell’abitabilità – oggi ‘agibilità’, ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 24), in quanto:

a) tale requisito, nel senso qui specificato, non è richiamato dal D.M. 2 agosto 1969;

b) quel che unicamente rileva ai fini del computo della superficie utile è l’idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana;

c) non è possibile alcuna interpretazione che amplii la sfera operativa della disposizione, atteso che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere, in materia fiscale, non sono passibili di interpretazione analogica”;

  • la sentenza n. 14162 del 5 giugno 2013 (ud. 17 aprile 2013) con cui la Corte di Cassazione ha affermato che se il magazzino diventa pinacoteca il contribuente perde le agevolazioni prima casa. Secondo l’Ufficio, l’abitazione, pur non oltrepassando i mq. 240, doveva comunque ritenersi di lusso in relazione ad un magazzino di mq. 496, trasformato in galleria d’arte, che non poteva esser considerato pertinenza. In effetti, rileva la Corte, “la CTR non ha sufficientemente spiegato l’affermazione di esistenza del fatto costitutivo del rapporto di pertinenza dedotto in lite, questo rappresentato dalla indispensabile esistenza di una oggettiva subordinazione funzionale della galleria d’arte rispetto all’abitazione (Cass. sez. 2’ n. 9911 del 2006; Cass. sez. 2’ n. 4599 del 2006). La insufficiente motivazione circa l’esistenza del ridetto fatto decisivo e controverso della subordinazione funzionale, impone di cassare con rinvio”;

  • la sentenza n. 22945 del 9 Ottobre 2013, dove la Corte di Cassazione ha confermato che superati i 240 mq, la prima casa acquistata, è da ritenersi  “ di lusso”. Per la Corte, “la superficie utile” dell’immobile “va computata sottraendo dall’estensione globale indicata nell’atto di acquisto, sottoposto all’imposta, gli ambienti espressamente esclusi (balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posto macchine)”. Inoltre, rilevano i giudici, non appare possibile non ritenere di lusso una abitazione come quella in questione, individuata come “villa unifamiliare su due piani fuori terra e seminterrato, composta di ben tredici vani”;

  • la sentenza n. 25674 del 15 novembre 2013 (ud. 18 settembre 2013), ove la Corte di Cassazione ha affermato che la “superficie utile complessiva” non può restrittivamente identificarsi con la sola “superficie abitabile” (Cass. sez. trib. n. 1087 del 2012; del resto, anche l’anteriore Cass. sez. 1’ n. 6466 del 1985, aveva considerato l’abitabilità un criterio non esclusivo al fine della individuazione della categoria giuridica della “superficie utile complessiva” di cui al D.M. 2 agosto 1969, art. 6). In effetti, osserva la Corte, “la utilizzabilità di una superficie è concetto che prescinde dalla sua abitabilità; ed è quello più idoneo ad esprimere il carattere ‘lussuoso’ o meno di una casa. Cosicchè, la possibilità di conseguire una facile abitabilità, mediante, per esempio, un semplice adeguamento dei rapporti aereo-illuminanti, consente di ritenere ‘utile’ la superficie abitativa; e, il tener conto di questa marcata potenzialità abitativa, si ripete, meglio consente di individuare ciò che è di ‘lusso’ o meno sul piano del mercato immobiliare, che, come noto, una tale disponibilità di superficie valorizza”;

  • l’ordinanza n. 12471 del 17 giugno 2015, dove la Corte di Cassazione determina il lusso sulla base dei vani e della superfice complessiva. La Corte, dopo aver preso atto che in base all’art. 6, d.m. n. 1072 del 2.08.1969, sono classificate come abitazioni di lusso “le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)“, ha confermato che “… a) nel calcolo della superficie utile per stabilire se un’abitazione sia di lusso deve computarsi quella relativa ai vani interni all’abitazione, ancorché privi dell’abitabilità, in quanto requisito non richiamato dal DM 2 agosto 1969; b) non è possibile alcuna interpretazione che ne ampli la sfera operativa, atteso che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere in materia fiscale non sono passibili di interpretazione analogica (cfr, Cass. n. 10807 del 2012); Cass. 17439/2013; Cass. n. 12942/2013, Cass. n. 8992/2013; Cass. n. 5692/14; Cass. n. 7158/2014”. Inoltre, per stabilire se una abitazione sia di lusso e, quindi, sia esclusa dall’agevolazione per l’acquisto della “prima casa“, occorre fare riferimento alla nozione di “superficie utile complessiva” di cui all’art. 6 del d.m. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, “in forza del quale è irrilevante il requisito dell’abitabilità” dell’immobile, siccome da esso non richiamato, mentre quello “dell’utilizzabilità” degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituisce parametro idoneo ad esprimere il carattere ‘lussuoso’ di un’abitazione – Cass. n. 25674/13; Cass. n. 23591/12; Cass. n. 10807/12”;

  • con l’ordinanza n. 21908 del 27 ottobre 2015, la Corte di Cassazione ha affermato che in presenza di una villa, con superficie inferiore a 240 mq ma dotata di piscina, quest’ultimo elemento è idoneo in astratto a configurare il carattere di lusso di un’abitazione ai sensi del D.M. 2 agosto 1969, art. 4 ( e ciò è stato totalmente pretermesso dalla CTR che si è unicamente incentrata, per escludere il carattere lussuoso dei beni, sulla superficie dell’immobile e sulla sua cubatura). Inoltre, in tema di IVA, “ nel caso in cui la cessione di una casa di abitazione di lusso venga assoggettata, usufruendo indebitamente dell’agevolazione per la prima casa, all’IVA con aliquota del 4%, ai sensi del disposto del n. 21) della parte seconda della Tabella A allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in luogo di quella ordinaria del 20%, l’Ufficio emette l’avviso di liquidazione della maggiore imposta dovuta direttamente nei confronti dell’acquirente dell’immobile medesimo, in quanto l’applicazione dell’aliquota inferiore da parte del venditore dell’immobile è derivata da una dichiarazione mendace dell’acquirente, la quale istituisce – ai sensi dell’art. 1 della nota II-bis della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, richiamato dalla seconda parte del predetto punto n. 21), – un rapporto diretto tra l’acquirente stesso e l’Amministrazione finanziaria – cfr. Cass. n. 26259/2010; Cass. n. 10807/2012“;

  • la sentenza n. 9202 del 6 maggio 2016, con cui la Corte di Cassazione ha ritenuto rilevante, ai fini del calcolo per l’immobile di lusso, l’utilizzabilità della superficie. La questione in concreto oggetto della controversia, concerne essenzialmente la possibilità di ricomprendere nel calcolo della superficie complessiva una “nicchia” incassata nel muro portante, di mq. 3,41 (indicata come vano n. 5) nonché un vano posto al piano terra ed avente altezza massima di cm. 227 e con superficie di mq. 17,42 (vano 7, indicato dal contribuente come sottotetto). La CTR ha escluso la rilevanza fiscale dei suddetti spazi, ritenendo che trattandosi di spazi disponibili ma non utilizzabili per funzioni proprie di residenza, non debbano essere ricompresi tra le superfici utili. E’ insegnamento della Corte, quello secondo cui “In tema di imposta di registro, per stabilire se una abitazione sia di lusso e, quindi, sia esclusa dall’agevolazione per l’acquisto della ‘prima casa’, di cui all’art. 1, terzo comma, Parte prima, Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, occorre fare riferimento alla nozione di ‘superficie utile complessiva’ di cui all’art. 6 del d.m. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, in forza del quale è irrilevante il requisito dell’’abitabilità’ dell’immobile, siccome da esso non richiamato, mentre quello dell’‘utilizzabilità’ degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituisce parametro idoneo ad esprimere il carattere ‘lussuoso’ di una abitazione. Ne consegue che è legittima la revoca del beneficio ove, mediante un semplice intervento edilizio, possa computarsi nella superficie ‘utile’ un vano deposito di un immobile (nella specie, in concreto non abitabile perché non conforme ai parametri aero-illuminanti previsti dal regolamento edilizio), assumendo rilievo – in coerenza con l’apprezzamento dello stesso mercato immobiliare – la marcata potenzialità abitativa dello stesso (Cass. 25674/13)”; ed ancora “Il calcolo della superficie utile di un immobile, al fine di stabilire se esso debba o meno essere considerato ‘di lusso’ ai sensi dell’art. 6 del d.m. 2 agosto 1969, va compiuto a prescindere dalla circostanza che parte degli ambienti non sia conforme alle prescrizioni urbanistiche sotto il profilo dell’abitabilità (oggi “agibilità”, ai sensi dell’art. 24 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), in quanto quel che unicamente rileva ai fini del computo della superficie utile è l’idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana” (Cass. n. 23591/2012). Pertanto, al fine di stabilire se un vano rientri o meno nella “superficie utile” occorre verificare se l’area sia suscettibile di un concreto utilizzo per finalità connesse all’abitazione, anche se, in base alla disciplina normativa e ai regolamenti edilizi, la porzione d’immobile sia priva del requisito tecnico dell’abitabilità; in proposito, la Cassazione ha ritenuto che fossero da computarsi quale superficie utile, ai fini del DM 2/8/1969, una sala hobby ubicata nel piano interrato dell’abitazione sebbene di altezza minima inferiore a quella prevista per le stanze destinate a uso abitativo dal regolamento comunale applicabile (Cass. n. 10807/12), nonché un vano deposito di un immobile non conforme ai parametri aereo-illuminanti previsti dal regolamento edilizio (Cass. n. 25674/13). Sussiste, pertanto, per la Corte, “l’errore di diritto denunciato dal ricorrente e nel quale è incorsa la CTR e che ha riverberato i propri effetti anche sulla motivazione, atteso che i giudici di primo grado hanno omesso di verificare in concreto, sulla base delle caratteristiche e della effettiva destinazione della nicchia e del locale posto al piano terra, se quest’ultimi avessero o meno una effettiva utilizzabilità, indipendentemente dalle prescrizioni urbanistiche sull’abitabilità, in quanto ai fini del computo della superficie utile è sufficiente l’idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana; è, quindi, sufficiente che gli ambienti dell’immobile, siano fruibili, e pertanto in grado di accrescere il valore economico dell’immobile, con inevitabili riflessi a livello fiscale”.

Ricordiamo che l’art.33 del D.Lgs. n.175 del 21 novembre 2014 ha modificato i criteri per l’individuazione delle case di abitazione per le quali è possibile fruire dell’agevolazione “prima casa” ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (applicazione dell’aliquota ridotta del 4%). In particolare, per effetto delle modifiche apportate dalla citata disposizione al numero 21 della Tabella A, parte II, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, l’aliquota IVA del 4 % si applica (ricorrendo le ulteriori condizioni previste a tal fine) agli atti di trasferimento o di costituzione di diritti reali aventi ad oggetto case di abitazione (anche in corso di costruzione) classificate o classificabili nelle categorie catastali diverse dalle seguenti: cat. A/1 – abitazioni di tipo signorile; cat. A/8 – abitazioni in ville; cat. A/9 – castelli e palazzi di eminenti pregi artistici e storici. L’applicazione dell’agevolazione IVA “prima casa” viene, quindi, vincolata alla categoria catastale dell’immobile, non assumendo più alcun rilievo le caratteristiche previste dal decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 2 agosto 1969, che contraddistinguono gli immobili “di lusso”.

Come rilevato dalla circolare n.31/E del 30 dicembre 2014, la norma introdotta allinea la nozione di “prima casa” rilevante ai fini dell’applicazione dell’aliquota IVA del 4% “alla definizione prevista dalla disciplina agevolativa in materia di imposta di registro (i.e. aliquota nella misura del 2 per cento per i trasferimenti delle case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9). Pertanto, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto, in sede di stipula dell’atto di trasferimento o di costituzione del diritto reale sull’abitazione per il quale si intende fruire dell’aliquota IVA del 4 per cento, deve essere dichiarata la classificazione o la classificabilità catastale dell’immobile nelle categorie che possono beneficiare del regime di favore (cat. A/2 – abitazioni di tipo civile; cat. A/3 – abitazioni di tipo economico; cat. A/4 – abitazioni di tipo popolare; cat. A/5 – abitazioni di tipo ultra popolare; cat. A/6 – abitazioni di tipo rurale; cat. A/7 – abitazioni in villini; A/11 – abitazioni ed alloggi tipici dei luoghi), oltre all’attestazione della sussistenza delle ulteriori condizioni prescritte per usufruire dell’agevolazione (cfr. Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131)”. Precisano gli estensori del documento di prassi citato, “qualora in sede di stipula di contratto preliminare di vendita sia stata effettuata la classificazione dell’abitazione come immobile ‘di lusso’ ai sensi del decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 2 agosto 1969, con la conseguente applicazione dell’imposta agli acconti sul prezzo di compravendita con un’aliquota superiore all’aliquota del 4 per cento, è possibile rettificare le relative fatture mediante variazione in diminuzione, ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972, al fine di applicare l’aliquota IVA del 4 per cento sull’intero corrispettivo dovuto (cfr. risoluzione 7 dicembre 2000, n. 187). Resta inteso che l’agevolazione IVA ‘prima casa’ non trova applicazione in relazione ai trasferimenti di immobili non abitativi, quali quelli rientranti nella categoria catastale A/10 – uffici e studi privati”.

19 ottobre 2016

Gianfranco Antico