Il destino del credito IVA derivante da dichiarazione omessa

il contribuente può portare in detrazione il credito IVA derivante da una dichiarazione omessa, nella misura in cui venga dimostrata l’effettività del credito stesso; all’articolo è allegato anche il testo integrale di una recente sentenza di Cassazione che ammette il recupero del credito IVA anche in caso di omessa dichiarazione

pagamenti-commercialista-telematico-2Principi

La neutralità dell’IVA induce ad affermare che il contribuente può portare in detrazione un credito derivante da una dichiarazione omessa nella misura in cui venga dimostrata l’effettività del credito stesso. La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta (risultante da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto) sia riconosciuta dal giudice tributario se siano stati rispettati dal contribuente tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; pertanto, in tal caso, il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in concreto (ovvero non controverso) che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili.

La detrazione dell’imposta pagata spetta, anche se la relativa dichiarazione annuale è stata omessa L’Iva pagata, che risulta dalle liquidazioni periodiche, è detraibile ed il diritto alla detrazione spetta, a prescindere dalla presentazione della dichiarazione annuale. I requisiti sostanziali sono soddisfatti, secondo la sesta direttiva, da acquisti ,effettuati da un soggetto passivo, destinati a proprie operazioni imponibili. In concreto, il soggetto può dimostrare la spettanza del credito producendo le fatture di acquisto e di vendita e ciò anche se siano state commesse irregolarità nella registrazione delle stesse. La norma nazionale non contrasta con i principi comunitari, laddove imponga un termine entro cui esercitare il proprio diritto.

Più precisamente, il contribuente può detrarre il credito Iva entro la scadenza prevista per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto. Il contribuente che abbia utilizzato entro tali termini il credito derivante dalla dichiarazione omessa, ha rispettato le previsioni normative, a nulla rilevando che la dimostrazione dei requisiti sostanziali avvenga in un momento successivo. Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione , sezioni unite con la sentenza del 8 settembre 2016 n. 17757

Vicenda

Il Fisco ha emesso cartella di pagamento nei confronti del contribuente a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione per l’anno 2002 dove era evidenziato un credito IVA riportato dalla precedente annualità 2001 (ed in parte già fruito a mezzo della compensazione con altre imposte), rispetto alla quale la dichiarazione annuale era mancante, ovvero presentata oltre novanta giorni dalla scadenza del termine. Il credito d’imposta risultava pacificamente dalle liquidazioni periodiche regolarmente presentate. I giudici tributari di merito hanno annullato la cartella poiché;

  • E’ idonea a far sorgere il diritto alla detrazione del maggior credito la sola indicazione del medesimo nelle liquidazioni periodiche relative all’annualità di maturazione (2001);

  • quello vantato è un diritto che non può essere annullato a causa della mancata compilazione e presentazione della dichiarazione annuale, in quanto trattasi di un diritto che deriva dalla legge e si concretizza in presenza dei presupposti, a prescindere dalla dichiarazione medesima.

Il fisco ha proposto ricorso in cassazione, ribadendo che la mancanza della dichiarazione annuale determina la perdita definitiva del diritto di detrarre le eccedenze maturate, non rilevando le dichiarazioni periodiche e potendo la parte contribuente realizzare il proprio credito d’imposta unicamente col diverso procedimento di rimborso.

Pronuncia

Gli Ermellini , con la pronuncia citata, hanno puntualizzato diversi importanti principi.

  • L’esercizio del diritto di detrazione dell’eccedenza IVA, deve essere tutelato in modo sostanziale ed effettivo, e va dunque riconosciuto a fronte di una reale operazione sottostante, la cui prova certa può essere acquisita dai dati risultanti dalle fatture o da altro documento equivalente (come, ad esempio, la documentazione contabile), essendo, invece, a tal fine irrilevante l’osservanza degli obblighi dichiarativi.

  • Se il contribuente si attiene agli obblighi formali-contabili prescritti dalla normativa interna, cioè presenta la dichiarazione annuale IVA ed ottempera agli altri adempimenti imposti, grava sull’Amministrazione fiscale che intenda disconoscere il diritto a detrazione negando la corrispondenza della realtà effettuale a quella rappresentata nelle scritture contabili l’onere della relativa contestazione e della consequenziale prova;viceversa, se il contribuente non si attiene alle prescrizioni formali e contabili disciplinate dall’ordinamento interno, è onere dello stesso, a fronte della contestazione di omissioni o irregolarità, fornire adeguata prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali cui la normativa comunitaria ricollega l’insorgenza del diritto alla detrazione. Ovverosia il contribuente deve dimostrare che, in quanto destinatario di transazioni commerciali, è debitore dell’IVA e titolare del diritto di detrarre l’imposta.

  • La neutralità dell’IVA comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta (risultante da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto) è riconosciuta dal giudice tributario, qualora siano stati rispettati dal contribuente tutti i requisiti sostanziali per la detrazione. In tal caso, il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in concreto (ovvero non controverso) che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili.

 

Effettività del credito

E’ contrario al sistema di neutralità dell’IVA l’automatico disconoscimento del credito d’imposta riportato a nuovo ma derivante da una dichiarazione considerata omessa. Pertanto, la detrazione, anche in tal caso, può essere esercitata al massimo entro il termine per la dichiarazione del secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, sempre che si tratti di credito esistente, risultante dai registri IVA e dalle liquidazioni periodiche, nonchè relativo ad operazioni inerenti all’attività d’impresa. È possibile riportare a nuovo un credito IVA derivante da una dichiarazione omessa. La neutralità dell’IVA impone che il contribuente possa portare in detrazione il credito derivante da una dichiarazione omessa se e nella misura in cui sia dimostrata l’effettività dello stesso credito.

La detrazione dell’IVA è subordinata al possesso di regolari e veritiere fatture, dunque, anche in caso omessa presentazione della dichiarazione annuale, l’esercizio del diritto di detrazione dell’eccedenza IVA va riconosciuto a fronte di una reale operazione sottostante, la cui prova certa può essere acquisita dai dati risultanti dalle fatture o da altro documento equivalente come, ad esempio, la documentazione contabile.

Se la dichiarazione è stata omessa ma si dimostra che il relativo credito è derivato da acquisti inerenti l’attività d’impresa, il contribuente ha diritto a recuperarla, specie se lo stesso risulta dalle liquidazioni periodiche regolarmente presentate. Ai sensi dell’art. 5 c. 1 del D.Lgs. 471/97 è sufficiente la sola indicazione del maggior credito nelle liquidazioni periodiche relative all’annualità di maturazione. Vero è che il fisco può comunque contestare un tale credito (derivante da una dichiarazione omessa) anche a seguito di controlli automatizzati della dichiarazione e procedere alla relativa iscrizione a ruolo .In merito al credito derivante da omessa dichiarazione il rapporto di natura tributaria con il fisco scaturisce da un’operazione lecita ed effettiva talchè gli obblighi che ne derivano (dichiarazione, registrazione…) hanno solamente una funzione illustrativa dei relativi dati al fine di consentire al fisco di poter verificare agevolmente gli stessi onde procedere alla riscossione delle imposte.

Pertanto ciò che conta ai fini della detraibilità è solo il carattere sostanziale ed effettivo del credito. Per tale ragione occorre consentire al contribuente di dimostrare l’esistenza del credito Iva (non dichiarato) attraverso altre prove e idonea documentazione (fatture, registri Iva…). Dai principi comunitari si evince che ai fini della detraibilità occorra la effettività degli acquisti da un soggetto passivo e la utilizzazione di detti beni per finalità proprie (operazioni imponibili). Altro è la violazione formale dell’omessa dichiarazione Iva che però non implica l’impossibilità di detrazione nel caso in cui vi siano altre prove a sostegno. Il giudice tributario dovrà pertanto riconoscere il credito Iva se il contribuente dimostra che sostanzialmente ha diritto alla detrazione: in tali casi il fisco potrà provvedere alla correzione del credito anche mediante controllo automatizzato.

Se il contribuente ritiene realmente spettante il credito non dichiarato, egli possa attestarne l’esistenza con la relativa documentazione, tramite registri IVA, fatture e materiale inerente o equipollente. In tale situazione, la dimostrazione dell’esistenza contabile del credito nel contraddittorio col Fisco pone il contribuente in condizione equivalente a quella nella quale si sarebbe trovato se avesse correttamente presentato la dichiarazione. Ciò implica che se l’esistenza contabile e l’effettività sostanziale del credito maturato viene confermata, l’ufficio ha il potere di scomputare l’importo del credito dalle somme complessivamente dovute in esito al controllo automatizzato. E, in sostanza, tutto ciò non esclude che tale accertamento non possa essere fatto dal giudice tributario di merito in seguito all’impugnazione della cartella.

Giova precisare che le conclusioni a cui sono pervenute le Sezioni Unite valgono pure per il riporto a nuovo di crediti imposte sui redditi e IRAP derivanti da dichiarazioni omesse, nella misura in cui sia dimostrata la loro effettività. Peraltro , la possibilità di riconoscere il credito IRAP e imposte sui redditi in sede di accordo stragiudiziale è stata condivisa dalle circolari dell’Agenzia delle Entrate 6.8.2012 n. 34 e 25.6.2013 n. 21.

Legittimità del controllo automatizzato

Giova precisare che con sentenza n. 17758 del 8 settembre 2016 le S.U. del giudice di legittimità hanno altresì statuito che in ipotesi di omessa dichiarazione annuale il controllo automatizzato è comunque legittimo e che pertanto l’Ufficio può procedere all’iscrizione a ruolo dell’imposta detratta ed emettere la conseguente cartella di pagamento. Proprio perchè, tale controllo (automatizzato) non attiene alla sostanza e non ha carattere valutativo, ma rappresenta lo strumento mediante il quale si riscontra la correttezza dei dati dichiarati in raffronto con quelli già presenti nell’anagrafe tributaria. Ed ancora, la legittimità di tale controllo deriva dal fatto che in ogni caso al contribuente è garantita la possibilità di dimostrare in altro modo il proprio credito.

24 ottobre 2016

Ignazio Buscema

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 8 settembre 2016, n. 17757

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza n. 602 del 5 ottobre 2011 la C.t.r. del Lazio ha respinto l’appello principale dell’Agenzia delle entrate e il gravame incidentale della curatela fallimentare della (…) S.p.A.. Ha confermato, Infatti, la decisione della C.t.p. di Roma che aveva annullato ruolo e cartella di pagamento, emessi a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione per l’anno 2002 dove la parte contribuente aveva esposto un credito IVA riportato dalla precedente annualità 2001 (ed in parte già fruito a mezzo della compensazione con altre imposte), rispetto alla quale la dichiarazione annuale era mancante, pur risultando pacificamente il credito d’imposta dalle liquidazioni periodiche regolarmente presentate.

2. Il giudice d’appello ha motivato la decisione evidenziando che l’imposta detraibile risultava indicata nelle dichiarazioni periodiche e nella richiesta parziale di rimborso per l’anno 2001 (mod. VR-2002). Ha ritenuto, infatti, che operasse l’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997. Perciò ha considerato idonea a far sorgere il diritto alla detrazione del maggior credito la sola indicazione del medesimo nelle liquidazioni periodiche relative all’annualità di maturazione (2001). Ha osservato, in particolare, che quello vantato è un diritto che non può essere «annullato a causa della mancata compilazione e presentazione della dichiarazione annuale, in quanto trattasi di un diritto che deriva dalla legge e si concretizza in presenza dei presupposti, a prescindere dalla dichiarazione medesima».

3. Per la cassazione di tale decisione, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso principale affidato a unico motivo per violazione di norme di diritto sostanziali (D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 bis, 30, 55; D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5).

La curatela si è difesa con controricorso e ricorso incidentale (sul solo capo di compensazione delle spese di lite).

4. A seguito di contraddittorio camerale – ai sensi degli artt. 380 bis, 376 e 375 cod. proc. civ.- la sesta sezione civile ha sottoposto al Primo Presidente l’opportunità di devolvere alle sezioni unite la questione della detraibilità della eccedenza di IVA, debitamente registrata nelle liquidazioni periodiche, in ipotesi di omissione della dichiarazione annuale relativa al periodo di maturazione di dette eccedenze, in applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19, 27, 28, 30 e 55 (ord. n. 15053 del 2014). Indi, il ricorso è stato chiamato all’odierna pubblica udienza per la trattazione finale. L’Agenzia delle entrate si è difesa anche con memoria.

Considerato in diritto

1. Con l’unico motivo di ricorso principale la difesa erariale lamenta che la C.t.r. abbia trascurato che, nell’imposizione sul valore aggiunto, per portare in detrazione eccedenze d’imposta provenienti da una precedente annualità sarebbe necessario un congruo riscontro dichiarativo. Afferma che la mancanza della dichiarazione annuale determinerebbe la perdita definitiva del diritto di detrarre le eccedenze maturate, non rilevando le dichiarazioni periodiche e potendo la parte contribuente realizzare il proprio credito d’imposta unicamente col diverso procedimento di rimborso. Sostiene che, in fattispecie di omessa dichiarazione, il riconoscimento del credito d’imposta potrebbe concretizzarsi unicamente col controllo sostanziale, eventualmente induttivo, dovendo il diritto della parte contribuente essere riscontrato dalla sua documentazione contabile e positivamente accertato dall’Amministrazione.

1.1. Sulla questione proposta dalia difesa erariale sono emersi due differenti orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.

Già nel 1997, riguardo all’assetto normativo del D.P.R. n. 633 del 1972 delineatosi all’epoca, si era affermato che, in tema di IVA, il contribuente il quale, avendo regolarmente annotato tutte le fatture dalle quali scaturisca per lui un credito d’imposta e operato la detrazione del credito nelle liquidazioni periodiche, non presenti poi la dichiarazione annuale, può computare l’imposta detraibile, risultante dalle liquidazioni periodiche, nella dichiarazione dell’anno successivo, atteso che il diritto alla detrazione si perde solo quando questa non venga computata sia nel mese di competenza che in sede di dichiarazione annuale (Cass. Sez.l, n. 544 del 1997).

Occorre, secondo tale tesi, distinguere l’ipotesi dell’omessa registrazione di documenti contabili dall’ipotesi di regolare effettuazione delle detrazioni di legge nelle dichiarazioni periodiche di competenza, alle quali non segua la presentazione della dichiarazione annuale. Nel primo caso, infatti, manca l’esposizione del credito d’imposta e quindi non è ipotizzabile alcuna detrazione, né nel mese di competenza, né nella dichiarazione annuale; sicché non è possibile alcun recupero del credito d’imposta. Nel secondo caso, invece, per il contribuente che abbia omesso la presentazione della dichiarazione annuale, pur avendo regolarmente annotato tutte le fatture dalle quali scaturisca per lui un credito d’imposta e operato la detrazione nella dichiarazione periodica di competenza, non può verificarsi alcuna decadenza, poiché questa si verifica, secondo quanto dispone il quarto comma dell’art. 28 del D.P.R. cit., solo quando la detrazione non venga computata nel mese di competenza e non venga poi recuperata nella dichiarazione annuale.

Il necessario concorso di entrambe le circostanze si giustificherebbe col rilievo che la decadenza consegue al mancato esercizio del diritto di recupero, in sede di dichiarazione annuale, dei crediti d’imposta che avrebbero dovuto esser indicati nei mesi di competenza. La sanzione della decadenza non può essere estesa alla diversa fattispecie in cui la detrazione sia stata regolarmente operata nel mese di competenza e non risulti, invece, dalla dichiarazione annuale, della quale sia stata omessa la presentazione, poiché, nel caso di accertamento induttivo, il fisco deve computare in detrazione non solo i versamenti eseguiti dal contribuente, ma anche le imposte detraibili risultanti dalle dichiarazioni mensili, come prescrive l’art. 55 del citato D.P.R.. Sicché il diritto alla detrazione viene meno solo per i crediti d’imposta relativi ad operazioni non registrate o comunque non risultanti dalle liquidazioni periodiche.

Tali argomenti furono ripetuti in successive decisioni, precisandosi che il contribuente il quale, avendo regolarmente annotato tutte le fatture dalle quali scaturisca, per lui, un credito d’imposta, ed avendo operato la detrazione del credito nelle liquidazioni periodiche, non presenti poi la dichiarazione annuale, può computare l’imposta detraibile, risultante dalle liquidazioni periodiche, nella dichiarazione dell’anno successivo, atteso che il diritto alla detrazione si perde solo quando questa non venga computata sia nel mese di competenza, che in sede di dichiarazione annuale. Il che non fa venire meno il diritto al rimborso del credito stesso poiché la perdita di un tal diritto, avendo la natura di vera e propria decadenza (e cioè di sanzione), dovrebbe essere espressamente prevista dalla legge, mentre una previsione al riguardo manca. Inoltre, la negazione del diritto al rimborso determinerebbe un indebito incameramento del credito da parte dell’Erario (Cass. Sez.l, n. 2063 del 1998).

1.2. Tale tesi fu contraddetta e superata da altro più restrittivo orientamento, laddove a partire dal 2001 s’iniziò ad affermare che il contribuente il quale, pure avendo computato le detrazioni per i mesi di competenza, abbia omesso di computarle nella dichiarazione annuale, perde il diritto a dette detrazioni, ai sensi del quarto comma dell’ art. 28 del D.P.R. cit., fermo il diritto al rimborso di quanto versato in eccedenza, in applicazione del secondo comma dell’art. 30 del D.P.R.cit. (Cass. Sez.5, n. 1823 del 2001).

Premesso che la regola secondo cui «il contribuente perde il diritto alle detrazioni non computate per i mesi di competenza né in sede di dichiarazione annuale» esprime in maniera palese l’effetto della perdita del diritto, e, quindi, della decadenza (arg. art. 12, primo comma disp. legge in gen. in rei. art. 2964 cod. civ.), questo effetto non potrebbe essere riferito al mancato computo in entrambi i momenti considerati, risultando, l’interpretazione proposta, in contrasto con lo stesso sistema dell’imposta sul valore aggiunto. Invero, ferma la necessità del computo nei mesi di competenza, l’onere del computo conclusivo in sede di dichiarazione annuale non potrebbe essere superato in alcun modo. Infatti l’esigenza del rispetto delle modalità e dei termini al riguardo fissati è intesa ad evitare il rischio di indebiti rimborsi, costituendo la dichiarazione «il momento di avvio di un procedimento di diritto pubblico, come tale caratterizzato da esigenze di razionale svolgimento e dalla aspirazione al conseguimento della stabilità». Non appare per questo motivo possibile argomentare in senso contrario dalla disciplina dettata dal secondo comma dell’art. 30 che pone, in alternativa al diritto di computare nell’anno successivo l’importo dell’eccedenza in detrazione (con annotazione nel registro indicato nell’art. 25), quello di «chiedere in tutto o in parte il rimborso». Il sistema, dunque, riposa sull’alternativa tra detrazione e rimborso. Ne deriva che, come non è astrattamente configurabile il pericolo d’indebito incameramento di un credito da parte dell’erario, così non è dato svincolare la perdita del diritto alla detrazione dalla mancata inclusione nella dichiarazione annuale. Né, infine, vale il rilievo tratto dal primo comma dell’art. 55, laddove il fisco, in caso di accertamento induttivo, è tenuto a computare in detrazione i versamenti eseguiti ed i crediti d’imposta risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e 33, trattandosi di operazioni relative al medesimo anno oggetto dell’accertamento, in rigorosa applicazione del criterio di competenza, (ult. cit. in motivazione; conf. Cass. Sez.5, n. 21947 del 2007). Tanto più che il diritto al rimborso dell’eccedenza deve considerarsi, anche secondo la sesta direttiva, una modalità di soddisfazione del credito d’imposta non residuale rispetto a quella della detrazione. L’alternativa non consente, pertanto, di rimandare l’esercizio della detrazione a dichiarazioni successive a quella prevista dall’art. 25 (Cass. Sez.5, n. 16257 del 2007, in motivazione).

1.3. A partire dal D.Lgs. n. 313 del 1997 muta la cornice normativa: a) il quinto comma dell’art. 27 è abrogato; b) l’art. 28 è sostituito e, in particolare, il terzo comma è modificato radicalmente [«il contribuente perde il diritto alle detrazioni non esercitate entro il termine stabilito dall’art. 19, comma 1, secondo periodo»], per poi essere de! tutto abrogato dall’art. 9, comma 4, del D.P.R. n. 322 del 1998; c) il primo comma dell’art. 19 è modificato [«Per la determinazione dell’imposta dovuta a norma dell’art. 17, comma 1, o dell’eccedenza di cui all’art. 30, comma 2, è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione. Il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo»].

Resta, invece, senza modifica il secondo comma dell’art. 30 [«Se dalla dichiarazione annuale risulta che l’ammontare detraibile di cui al n. 3) dell’art. 28, aumentato delle somme versate mensilmente, è superiore a quello dell’imposta relativa alle operazioni imponibili di cui al n. 1) dello stesso art., il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo annotandolo nel registro indicato nell’art. 25, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività»], che è invece aggiornato [«Se dalla dichiarazione annuale risulta che l’ammontare detraibile di cui al n. 3) dell’art. 28, aumentato delle somme versate mensilmente, è superiore a quello dell’imposta relativa alle operazioni imponibili di cui al n. 1) dello stesso art., il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività»] solo dal D.P.R. n. 435 del 2001.

Resta, infine, del tutto immodificato l’art. 55 [«Se il contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale l’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto può procedere in ogni caso all’accertamento dell’imposta dovuta indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità. In tal caso l’ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile sono determinati induttivamente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio e sono computati in detrazione soltanto i versamenti eventualmente eseguiti dal contribuente e le imposte detraibili ai sensi dell’art. 19 risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e 33»], da intendersi integrato dalla prescrizione dell’art. 5 del D.Lgs. n. 471 del 1997 [«Per determinare l’imposta dovuta sono computati in detrazione tutti i versamenti effettuati relativi al periodo, il credito dell’anno precedente del quale non è stato chiesto il rimborso, nonché te imposte detraibili risultanti dalle liquidazioni regolarmente eseguite»].

1.4. Riguardo al quadro legislativo modificatosi a partire dal 1997, si è affermato che, in tema di IVA versata in eccesso, poiché detrazione e rimborso d’imposta sono manifestazioni alternative del medesimo diritto, ancorché non subordinate ai medesimi presupposti, al contribuente che, entro il termine di decadenza, abbia esercitato il diritto alla restituzione con richiesta di detrazione contrastata dall’Amministrazione finanziaria per inosservanza dell’obbligo di presentare la dichiarazione annuale non può, in caso di esito negativo del giudizio sulla detrazione, ritenersi precluso il rimborso ex art. 30 cit., se richiesto entro il termine di prescrizione. (Cass. Sez.5, n. 20040 del 2011).

Si è ritenuto che riveste ruolo centrale la predisposizione di misure atte ad assicurare che l’esercizio della detrazione non si sottragga a idoneo controllo, la cui concreta identificazione è devoluta ai legislatori nazionali. Ciò posto, a pieno titolo nel novero delle sopra richiamate misure s’inserisce, secondo l’orientamento in rassegna, l’onere dell’annotazione di dette operazioni nella dichiarazione annuale. Essa, quale rappresentazione contabile della generalità delle operazione rilevanti nel periodo considerato e decisive ai fini della correlativa liquidazione, risponde alla specifica funzione di consentire il controllo della correttezza della liquidazione ed evitare il rischio di indebite restituzioni. D’altro canto, l’inosservanza degli adempimenti cartolari condizionanti la detrazione non comporta quale evento ineludibile il sacrificio del diritto al ristoro dell’IVA versata a monte, che, in forza del principio di neutralità fiscale, costituisce fondamentale criterio del sistema comunitario. Il diritto in rassegna si realizza infatti, alternativamente, con lo strumento della detrazione ovvero con quello del rimborso. Peraltro – essendo detrazione e rimborso manifestazioni del medesimo diritto – al contribuente, che (entro il termine di decadenza sancito per il rimborso) abbia esercitato il diritto alla restituzione con richiesta di detrazione contrastata dal fisco per inosservanza degli adempimenti all’uopo prescritti, non può, in caso di esito negativo del giudizio sulla detrazione, ritenersi preclusa la restituzione, se richiesta nel rispetto del termine di prescrizione.

2. Tale ultimo orientamento, sviluppatosi negli anni con accenti pressoché costanti (vedasi tra le tante Cass. Sez. 5, n.268 e n. 13090 del 2012), è stato criticato in dottrina, laddove si è affermato che, se il credito emerge dai registri dell’IVA e dalle liquidazioni periodiche, a nulla rileva l’aspetto formale della mancata dichiarazione, siccome la sostanza dovrebbe prevalere sulla forma. Se la tesi restrittiva poteva essere sostenuta in base all’abrogato quinto comma dell’art. 27 [«le detrazioni non computate per il mese di competenza non possono essere computate nei mesi successivi ma soltanto in sede di dichiarazione»] e dall’abrogato quarto comma dell’art. 28 [«il contribuente perde il diritto alle detrazioni non computate per i mesi di competenza né in sede di dichiarazione annuale»], il sistema dell’imposizione sul valore aggiunto, dopo il D.Lgs. n. 313 del 1997 e il D.P.R. n. 322 del 1998, subordina il diritto di detrazione a due soli presupposti: a) l’esistenza del credito risultante dalla dichiarazione annuale o da documentazione alternativa come la liquidazione periodica; b) il rispetto del termine entro cui occorre esercitare il diritto. Inoltre si sostiene che, a differenza dell’imposizione sui redditi, nell’imposizione sul valore aggiunto la dichiarazione annuale è più che altro un riepilogo, distinto per aliquota, delle operazioni attive e passive registrate e liquidate nell’anno.

Si è detto, infatti, che «Il ruolo della dichiarazione IVA è soprattutto di riepilogo degli adempimenti già eseguiti e di liquidazione definitiva, in relazione alle operazioni attive e passive per l’intero periodo di imposta. Da essa debbono risultare gli elementi necessari per individuare il contribuente, determinare l’ammontare delle operazioni e dell’imposta ed effettuare i controlli» e quant’altro richiesti dal modello. Si è aggiunto che «La dichiarazione IVA, in larga misura, è mera riproduzione di dati preesistenti, risultanti dai registri IVA. E’ dunque diversa dalla dichiarazione dei redditi di impresa, che ha per base il conto economico e comporta variazioni in aumento e in diminuzione del risultato di esercizio».

2.1. Non manca chi, in dipendenza della complessità concettuale del tributo e comunque a causa del meccanismo imperniato sulla rivalsa e sulla detrazione, riconosce un ruolo comunque centrale agli obblighi strumentali e agli adempimenti formali richiesti al contribuente con particolare riferimento alla generalità delle operazioni, attive e passive, svolte in un dato lasso di tempo. Sarebbe, però, la fase periodica di liquidazione e versamento dell’imposta a realizzare la sintesi algebrica delle operazioni attive e passive e delle imposte a debito e a credito che ne scaturiscono, mentre la dichiarazione annuale offrirebbe solo la rappresentazione del complesso delle operazioni attive e passive svolte nell’anno solare.

2.2. In adesione a più rigoroso atteggiamento recentemente assunto dal fisco, altra parte (minoritaria) della dottrina parte dalla considerazione che nel 2007 l’Amministrazione finanziaria aveva affermato come, dalla lettura congiunta degli artt. 8 del D.P.R. n. 322 del 1998 e 19 del D.P.R. n. 633 del 1972, l’eccedenza di credito IVA maturata in un anno in cui la dichiarazione annuale risultava omessa, poteva essere computata in detrazione, al più tardi, nel termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, fermo restando il potere-dovere dell’ufficio di accertare l’esistenza del credito in questione maturato nell’anno in cui la dichiarazione era stata omessa con le modalità dell’ art. 55 del D.P.R. cit.. Rileva che, nel nuovo intervento del 2012, l’Amministrazione finanziaria valorizza invece il dettato dell’art. 30 del D.P.R. cit. nel quale si fa riferimento alla necessità che il credito, ai fini del riporto a nuovo, venga esposto nella dichiarazione annuale cosicché, in mancanza di questa, il credito in questione non può formare oggetto di riporto. Osserva che, in effetti, già dalla lettura del documento del 2007, non si poteva giungere ad una conclusione che avvalorasse un meccanismo automatico di compensazione del credito, in quanto l’affermazione legata alla possibilità di accertamento e di ricostruzione del credito attraverso una azione di controllo non appariva così tranciante ma, semplicemente, una ipotesi. Tuttavia, come chiarito del fisco nel 2013, secondo l’orientamento in esame può essere prodotta dal contribuente, a seguito di comunicazione d’irregolarità, idonea documentazione a riscontro delle eccedenze IVA, quali l’esibizione dei registri IVA e delle relative liquidazioni, la dichiarazione cartacea relativa all’annualità omessa, le fatture e ogni altra documentazione ritenuta utile.

3. Sul versante eurounitario, è costante la Corte di giustizia nell’affermare che «nel campo dell’IVA, i soggetti passivi agiscono come collettori d’imposta per conto dello Stato» (caso Balocchi M. vs. Ministero delle finanze, punto 25) e che il diritto alla detrazione, costituendo parte integrante e fondamentale del meccanismo dell’IVA (caso Schmeink & Cofreth e Strobel, punto 59; conf. Marks & Spencer, punti 49-50), in tesi generale, non è soggetto a limitazioni, fatte salve deroghe esclusivamente in casi espressi (caso Varzim Sol, punto 36) e che la detrazione può essere legittimamente esercitata nel periodo d’imposta nel corso del quale ricorrano contemporaneamente i requisiti del possesso della fattura e dell’esistenza del diritto alla deduzione (caso Terra, punto 33).

3.1. Più di recente, pronunziando nel 2014 sul caso Idexx Laboratories Italia e ponendosi in continuità con la decisione sul caso Ecotrade (punti 63-66) e in correlazione con i principi del diritto dell’UE precisati in altre occasioni (es. casi Collee, punti 25-26; Nidera, punti 47-51; EMS-Bulgaria Transport, punto 61; Dankowski, punti 26 e 33; Kopalnia, punti 41 e 48; Toth, punto 33; marginalmente Equoiand, punti 29 e 37), la Corte di giustizia afferma che «il principio fondamentale di neutralità dell’IVA esige che la detrazione dell’imposta a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi» (punto 38). In proposito rileva che ai Paesi dell’UE, per la migliore operatività dell’imposta armonizzata e per prevenire le frodi, è consentito introdurre particolari obblighi che, però, «non possono andare aldilà di quanto necessario – per il raggiungimento di tali obiettivi e non devono rimettere in discussione la neutralità dell’IVA» (punto 37). Ne deriva che «l’amministrazione finanziaria, una volta che disponga delle informazioni necessarie per dimostrare che i requisiti sostanziali siano stati soddisfatti, non può imporre, riguardo al diritto del soggetto passivo di detrarre l’imposta, condizioni supplementari che possano produrre l’effetto di vanificare l’esercizio del diritto medesimo» (punto 40). Infatti, «i requisiti sostanziali del diritto a detrazione sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto, quali previsti all’art. 17 della sesta direttiva» (punto 41). Invece «i requisiti formali del diritto a detrazione disciplinano le modalità e il controllo dell’esercizio del diritto medesimo nonché il corretto funzionamento del sistema dell’IVA, quali gli obblighi di contabilità, di fatturazione e di dichiarazione. Tali requisiti sono contenuti negli artt. 18 e 22 della sesta direttiva» (punto 42). Riguardo agli acquisti «i requisiti sostanziali esigono, come emerge dall’art. 17, paragrafo 2 […] della sesta direttiva, che tali acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’IVA attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili» (punto 43).

Risulta, infine, dalla giurisprudenza eurounitaria che l’amministrazione finanziaria, laddove constati che il diritto a detrazione è stato esercitato in maniera fraudolenta o abusiva, ha il diritto di chiedere, con effetto retroattivo, il rimborso delle somme detratte (così sent. Kopalnia, punto 37; conf. casi Rompelman, punto 24; Inzo, punto 24; Fini H, punto 33).

3.2. Sul piano strettamente normativo l’art. 17 della sesta direttiva del 1977 stabilisce, al paragrafo 1, che «Il diritto a deduzione nasce quando l’imposta deducibile diventa esigibile» e, al paragrafo 2, che «Nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore». Inoltre, al paragrafo 4, precisa che «Gli Stati membri accordano altresì ad ogni soggetto passivo la deduzione o il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto di cui al paragrafo 2 nella misura in cui i beni e i servizi sono utilizzati ai fini…» specificati nelle successive lettere a), b), c).

Indi, l’art. 18 stabilisce, al paragrafo 1, che «Per poter esercitare il diritto a deduzione, il soggetto passivo deve … essere in possesso di una fattura redatta ai sensi dell’art. 22, paragrafo 3» ovvero «essere in possesso di un documento che lo indichi quale destinatario o importatore e che menzioni l’ammontare dell’imposta dovuta o ne consenta il calcolo» ovvero, per gli altri casi, «assolvere le formalità stabilite da ogni Stato membro». Indi, al paragrafo 4, stabilisce che, se l’importo delle deduzioni supera quello dell’imposta dovuta, «gli Stati membri possono procedere a rimborso o riportare l’eccedenza al periodo successivo, secondo modalità da essi stabilite».

3.3. L’art. 12 della direttiva “madre” n. 228 del 1967 prevede che ogni soggetto passivo deve «…tenere una contabilità che sia sufficientemente particolareggiata da consentire l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto ed i controlli da parte dell’amministrazione fiscale […] presentare ogni mese una dichiarazione che contenga, per le operazioni effettuate nel corso del mese precedente, tutte le indicazioni necessarie al calcolo dell’imposta e delle deduzioni da operare […] pagare l’importo dell’imposta sul valore aggiunto all’atto della presentazione della dichiarazione».

3.4. L’art. 22 della sesta direttiva stabilisce che ogni soggetto passivo «…deve tenere una contabilità che sia sufficientemente particolareggiata da consentire l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto ed i relativi controlli da parte dell’amministrazione fiscale»; «… deve presentare una dichiarazione entro un termine che dovrà essere stabilito dagli Stati membri. Tale termine non dovrà superate di due mesi la scadenza di ogni periodo fiscale. Il periodo fiscale può essere fissato dagli Stati membri in un mese, due mesi, ovvero un trimestre. Tuttavia, gli Stati membri possono stabilire periodi diversi, non comunque superiori ad un anno»; « … pagare l’importo netto dell’imposta sul valore aggiunto al momento della presentazione della dichiarazione periodica. Gli Stati membri possono tuttavia stabilire un’altra scadenza per il pagamento di questo importo o per la riscossione di acconti provvisori». Infine, al paragrafo 6, stabilisce che «Gli Stati membri hanno la facoltà di richiedere al soggetto passivo una dichiarazione relativa a tutte le operazioni effettuate nell’anno precedente».

3.5. La cd. direttiva “rifusa” n. 112 del 2006 ribadisce (a) che la detrazione nasce nel momento in cui si realizza l’operazione imponibile, (b) che per l’esercizio di tale diritto è necessario, di regola, il possesso della fattura, (c) che la detrazione può esercitarsi «nello stesso periodo» d’imposta in cui il diritto stesso è sorto o, in alternativa, nel corso di un periodo più lungo secondo la normativa nazionale (art. 62, 167, 168, 178, 179). La direttiva conferma che i soggetti passivi devono tenere una contabilità «sufficientemente dettagliata per consentire l’applicazione dell’IVA e il suo controllo da parte dell’Amministrazione fiscale e comunicare i relativi dati a quest’ultima attraverso due distinte tipologie di dichiarazioni, di cui una periodica (art. 250) e l’altra riepilogativa (art. 261), «in cui figurino tutti i dati necessari per determinare l’importo dell’imposta esigibile e quello delle detrazioni da operare». L’art. 183, infine, dispone che, «Qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell’IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite».

3.6. Tutto ciò comporta, per il principio dell’equivalenza sancito dalla Corte di giustizia, che al rimborso dell’IVA non deve essere applicata una disciplina meno favorevole di quella riservata ai rimborsi dei tributi interni e, per il principio di effettività, il diritto del contribuente non deve essere reso impossibile o eccessivamente difficile (caso PohI, punto 29).

3.7. Nel complesso normativo e nel formante giurisprudenziale dell’UE emerge, dunque, che il fatto costitutivo del rapporto tributario col fisco nazionale è ravvisato dalla effettività e liceità dell’operazione, mentre obblighi di registrazione, dichiarazione e consimili hanno una diversa funzione meramente illustrativa e riepilogativa dei dati contabili, finalizzata ad agevolare i controlli dell’Amministrazione finanziaria per l’esatta riscossione dell’imposta.

L’esercizio del diritto di detrazione dell’eccedenza IVA, che deve essere tutelato in modo sostanziale ed effettivo, va dunque riconosciuto a fronte di una reale operazione sottostante, la cui prova certa può essere acquisita dai dati risultanti dalle fatture o da altro documento equivalente, come, ad esempio, la documentazione contabile, essendo, invece, a tal fine poco rilevante l’osservanza degli obblighi dichiarativi.

4. Nella prassi amministrativa, con Ris. n. 74/E del 19 aprile 2007, si è affermato che, dalla lettura congiunta degli artt. 8 del D.P.R. n. 322 del 1998 e 19 del D.P.R. n. 633 del 1972, è possibile desumere che la decadenza del diritto alla detrazione ricorre soltanto nel caso in cui il medesimo non è esercitato «al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo». Ciò significherebbe, in altre parole, che una volta scaduto il termine entro cui poter esercitare il diritto alla detrazione del credito (ossia con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto), il contribuente ha la possibilità di recuperare il credito IVA solo attraverso il procedimento del cosiddetto rimborso “anomalo” di cui al citato art. 21 proc. trib.. In conclusione, l’eccedenza di credito IVA maturata in un anno in cui la dichiarazione annuale risulta omessa potrebbe essere computata in detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto – fermo restando il potere/dovere dell’ufficio, nell’ambito del programma annuale dell’attività di controllo, di accertare l’esistenza del credito medesimo maturato nell’anno in cui la dichiarazione annuale è stata omessa, a norma del richiamato art. 55 D.P.R. n. 633 del 1972. Consequenzialmente, la sanzione della decadenza non potrebbe, quindi, essere estesa alla diversa fattispecie in cui la detrazione sia stata regolarmente operata nel mese di competenza e non risulti, invece, dalla dichiarazione annuale perché omessa, poiché, nel caso di accertamento induttivo, l’Ufficio deve computare in detrazione non solo i versamenti eseguiti dal contribuente, ma anche le imposte detraibili, risultanti dalle dichiarazioni mensili, come prescrive l’art. 55 cit..

4.1. Diversamente, con altro documento di prassi, la Circ. n. 34/E del 6 agosto 2012, si è osservato, che ai sensi del secondo comma dell’art. 30 del D.P.R. cit., se dalla dichiarazione annuale risulta un’eccedenza di IVA detraibile «il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività». Pertanto si è affermato che, in caso di omessa dichiarazione annuale il contribuente non può riportare l’eccedenza di IVA detraitele con consequenziale legittimità della procedura di cui all’art. 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, volta a «correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze di imposta risultanti dalle precedenti dichiarazioni», che nel caso di specie risulta omessa. Il credito, pertanto, non essendo stato dichiarato nell’anno in cui è maturato, non sarebbe utilizzabile in detrazione, a nulla rilevando che lo stesso sia, in ipotesi, effettivamente maturato. Indi, qualora il contribuente definisca l’obbligazione pagando le somme richieste dall’ufficio, nei termini previsti dalla comunicazione di irregolarità ovvero a seguito della notifica della cartella di pagamento o in esito a una sentenza a lui sfavorevole, lo stesso può presentare istanza di rimborso del credito, entro due anni dal predetto pagamento ai sensi dell’art. 21 proc. trib.. Nell’esaminare tali istanze, l’ufficio effettua il controllo dell’effettiva spettanza del credito, mediante richiesta ed esame della documentazione contabile ed extracontabile necessaria, fatti salvi specifici controlli sostanziali, al fine di verificare ulteriormente la spettanza del credito. Tali conclusioni, che superano in parte quelle contenute nella risoluzione n. 74 del 2007, garantirebbero il rispetto del principio di neutralità proprio del sistema dell’IVA, che tuttavia non si estende sino a tenere indenne, in ogni caso, il contribuente da qualunque conseguenza sanzionatoria, laddove l’omissione della dichiarazione non consentirebbe di avere contezza del credito nel momento in cui lo stesso è sorto e di attivare, se del caso, gli opportuni riscontri, con obiettivo ostacolo all’attività di controllo.

4.2. Tuttavia, la Circ. 21/E del 25 giugno 2013 prevede che, a seguito del ricevimento della comunicazione d’irregolarità, se il contribuente ritiene che il credito non dichiarato sia fondatamente ed effettivamente spettante, può attestarne l’esistenza contabile, mediante la produzione all’ufficio competente di idonea documentazione (ad esempio, con riferimento alle eccedenze IVA, mediante esibizione dei registri IVA e delle relative liquidazioni, della dichiarazione cartacea relativa all’annualità omessa, delle fatture e di ogni altra documentazione ritenuta utile). Ferma restando la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di effettuare le attività di controllo in merito alla dichiarazione omessa, anche al fine di accertare l’effettività sostanziale del credito maturato nel relativo periodo d’imposta, la dimostrazione dell’esistenza contabile del credito, prosegue il documento di prassi, pone il contribuente, ancorché tardivamente, nella medesima condizione in cui si sarebbe trovato qualora avesse correttamente presentato la dichiarazione. Pertanto, conclude la circolare, in esito a tali verifiche, qualora riscontri l’esistenza contabile del credito, l’ufficio, analogamente a quanto previsto nella fase contenziosa, anziché richiedere l’effettuazione del pagamento seguita da un’istanza di rimborso, potrà scomputare direttamente l’importo del credito medesimo dalle somme complessivamente dovute.

5. Così ricostruito l’evolversi del quadro normativo, giurisprudenziale e amministrativo di riferimento e tirando le fila sparse del discorso sin qui condotto, si osserva che è l’art. 8 del D.P.R. n. 322 del 1998 che disciplina termini e modi per la presentazione (comma 1) e per la rettifica (comma 6 in rel. art. 2 commi 8 e 8-bis) della dichiarazione annuale in materia di IVA. Al comma 3 prescrive, inoltre, che «le detrazioni sono esercitate entro il termine stabilito dall’art. 19, comma 1, secondo periodo» del D.P.R. n. 633 del 1972, cioè entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto. Il che lascia intendere la non irrilevanza, nel diritto interno, della dichiarazione annuale per la corretta emersione del diritto di detrazione, in disparte il peculiare regime sanzionatorio per le omissioni dichiarative.

L’art. 30 del decreto IVA stabilisce, poi, che «Se dalla dichiarazione annuale risulta che l’ammontare detraibile […], aumentato delle somme versate mensilmente, è superiore a quello dell’imposta relativa alle operazioni imponibili il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività».

L’art. 2, comma 7, del D.P.R. n. 322 del 1998, applicabile anche in materia di IVA (v. comma 6 dell’art.8), stabilisce che «Le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a novanta giorni si considerano omesse, ma costituiscono, comunque, titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta».

L’art. 55, comma 1, del decreto IVA stabilisce che «Se il contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale l’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto può procedere in ogni caso all’accertamento dell’imposta dovuta indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità. In tal caso l’ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile sono determinati induttivamente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolte o venuti a conoscenza dell’ufficio e sono computati in detrazione soltanto i versamenti eventualmente eseguiti dal contribuente e le imposte detraibili ai sensi dell’art. 19 risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e 33» riguardo a «liquidazioni e versamenti mensili» (art. 27) e a «semplificazioni per i contribuenti minori» (poi art. 1, co. 100-109-114, della legge finanziaria 2008).

Il che rivela che l’accertamento induttivo è per il fisco una facoltà – «può procedere» – e non un obbligo (Cass. n. 20040 del 2011 cit., in motivazione).

L’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997 stabilisce che «Nel caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale dell’imposta sul valore aggiunto … Per determinare l’imposta dovuta sono computati in detrazione tutti i versamenti effettuati relativi al periodo, il credito dell’anno precedente del quale non è stato chiesto il rimborso, nonché le imposte detraibili risultanti dalle liquidazioni regolarmente eseguite».

5.1. L’Amministrazione finanziaria (Circ. 21/E del 25 giugno 2013), come si è visto, riconosce che, se l’interessato ritiene che il credito non dichiarato sia fondatamente ed effettivamente spettante, possa attestarne l’esistenza, mediante la produzione d’idonea documentazione (registri IVA e relative liquidazioni; dichiarazione cartacea per l’annualità omessa; fatture e documenti inerenti e/o equipollenti). Sicché la dimostrazione dell’esistenza contabile del credito nel contraddittorio col fisco pone il contribuente in condizione equivalente a quella nella quale si sarebbe trovato se avesse correttamente presentato la dichiarazione. Ciò fa sì che, qualora si riscontri l’esistenza contabile e l’effettività sostanziale del credito maturato nel relativo periodo d’imposta, l’ufficio, analogamente a quanto previsto nella fase contenziosa, possa scomputare direttamente l’importo del credito medesimo dalle somme complessivamente dovute in esito al controllo automatizzato di cui all’art. 54-bis del decreto IVA. Il che non esclude affatto che tale accertamento non possa farlo il giudice tributario di merito a seguito dell’impugnazione della cartella, atteso che il diritto di detrazione sorge nel momento in cui l’imposta a monte diviene esigibile. L’esigibilità si avvera quando l’operazione a monte si considera effettuata per legge (art. 6 D.P.R. n. 633 del 1972). Essa coincide, quindi, col momento impositivo di questa, mentre la detrazione stessa va esercitata entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto (art. 8, comma 3, D.P.R. n. 322 del 1998).

5.2. A tal proposito si consideri che per la Corte di giustizia (sent. Idexx) «i requisiti sostanziali del diritto a detrazione sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto, quali previsti all’art. 17 della sesta direttiva» (punto 41). Invece «i requisiti formali del diritto a detrazione disciplinano le modalità e il controllo dell’esercizio del diritto medesimo nonché il corretto funzionamento del sistema dell’IVA, quali gli obblighi di contabilità, di fatturazione e di dichiarazione. Tali requisiti sono contenuti negli artt. 18 e 22 della sesta direttiva» (punto 42). Riguardo agli acquisti «i requisiti sostanziali esigono, come emerge dall’art. 17, paragrafo 2 […] della sesta direttiva, che tali acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’IVA attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili» (punto 43). Dunque, può bastare che, in sede di contraddittorio e/o di contenzioso sulla cartella, il contribuente omissivo documenti la sussistenza dei requisiti sostanziali del diritto a detrazione di cui all’art. 17 della sesta direttiva.

Diversamente, il mero riconoscimento della possibilità di avanzare istanza di rimborso del credito secondo la procedura prevista dall’art.21 proc. trib. entro due anni dalla definizione della pretesa impositiva – spontanea, forzosa o contenziosa – finisce per costituire una sorta di moderno solve et repete, poco in linea col diritto dell’UE. La Corte di giustizia, infatti, se da un lato afferma l’esistenza di un principio generale di diritto al rimborso dell’IVA versata a torto (caso Liberexim), dall’altro precisa che i limiti di manovra delle normative nazionali «non possono ledere il principio di neutralità fiscale, facendo gravare sul soggetto passivo, in tutto o in parte, l’onere dell’IVA». Di contro, le normative «devono segnatamente consentire al soggetto passivo di recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del credito risultante da un’eccedenza» e «ciò implica che il rimborso deve essere effettuato entro un termine ragionevole, mediante pagamento di denaro liquido o con modalità equivalenti, e che, in ogni caso, il sistema di rimborso adottato non debba far correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo» (caso Mednis SIA, punto 24, e dee. ivi cit.). Ciò è difficilmente compatibile col meccanismo di pagamento immediato di somme e col solo successivo rimborso di importi ab origine non dovuti e agevolmente dimostrabili sul piano dell’esistenza contabile e dell’effettività sostanziale con le garanzie del contraddittorio giudiziale.

5.3. Invero, nella giurisprudenza di legittimità da quasi un lustro si è affermato il collaterale principio secondo cui, qualora sia stato eseguito il rimborso di un credito di imposta in favore di un contribuente che abbia regolarmente annotato tutte le fatture dalle quali scaturisca, per lui, un’eccedenza ed abbia poi presentato unicamente il modello VR, ma non anche la dichiarazione annuale, l’Amministrazione finanziaria non può pretendere la restituzione della somma in questione per tali ragioni di pura forma, senza addurre rilievi sulla sua effettiva spettanza, atteso che, anche secondo la sesta direttiva, art. 18, paragrafo 1, il diritto alla deduzione dell’IVA è subordinato al possesso di regolari e veritiere fatture (Cass. Sez. 5, n. 22250 del 2011). Il che costituisce corollario del più generale principio secondo cui, in disparte i casi di decadenza o prescrizione, è da escludere l’assoggettamento del contribuente ad oneri contributivi diversi, e più gravosi, di quelli che per legge devono restare a suo carico (Cass. Sez. U, n. 15063 del 2002), essendo egli titolare di posizioni di diritto soggettivo perfetto verso il fisco (C. cost. n. 178 del 1984) che non possono certo dirsi recessive rispetto alle esigenze erariali di cassa (C. cost. n. 21 e n. 79 del 1961).

5.4. Infine, queste sezioni unite, recentemente pronunziando in tema di emenda delle dichiarazioni fiscali, affermano che: «Il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa […] e dall’istanza di rimborso […], in sede contenziosa può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria» (Cass. Sez. U, ud. 7 giugno 2016 – dep. 30 giugno 2016, n. 13378). Infatti, i diversi ambiti delle norme in materia di accertamento e di riscossione comportano la necessaria distinzione tra la dichiarazione, anche integrativa, e il diritto al rimborso ed evidenziano le relative specificità funzionali, del tutto distinte dalla attività di controllo automatizzato.

Anzi, proprio «la natura giuridica della dichiarazione fiscale quale mera esternazione di scienza, il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., il disposto dell’art. 10, dello Statuto del contribuente – secondo cui i rapporti tra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede – nonché il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, rispetto a quelle che governano il processo tributario, comportano poi l’inapplicabilità in tale sede, delle decadenze prescritte per la sola fase amministrativa». Oggetto tipico del contenzioso giurisdizionale, secondo le sezioni unite, è l’accertamento della legittimità della pretesa impositiva, «onde non può escludersi il diritto del contribuente a contestare il provvedimento impositivo, fornendo prova delle circostanze, quali anche errori o omissioni». Sicché, concludono sempre le sezioni unite, va riconosciuta la possibilità per il contribuente, in sede contenziosa, di opporsi alla pretesa tributaria azionata dal fisco – anche con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato – allegando errori od omissioni incidenti sull’obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine per la presentazione e la rettifica della dichiarazione fiscale.

5.5. Tali principi di diritto, enunciati specificamente in tema d’imposte sui redditi, valgono – mutatis mutandis – nell’imposizione sul valore aggiunto, attesa la comunanza della disciplina dichiarativa e rettificativa nazionale fissata dall’art. 8, comma 6, del D.P.R. n. 322 del 1998.

Ciò ben si raccorda con giurisprudenza interna, laddove si afferma che l’amministrazione finanziaria non può pretendere la restituzione di somme per ragioni di pura forma senza addurre rilievi sulla loro effettiva spettanza.

Egualmente dicasi per quella eurounitaria, laddove si prevede che contribuente documenti la sussistenza dei soli requisiti sostanziali del diritto a detrazione di cui all’art. 17 della sesta direttiva e si mettono in guardia gli Stati membri da meccanismi di rimborso artificiosi e tali da mettere a rischio l’immediata neutralità dell’imposizione sul valore aggiunto.

Il tutto va visto in coerenza con quella virtuosa prassi amministrativa mirante a riscontrare, su sollecitazione del contribuente, l’esistenza contabile e l’effettività sostanziale del credito maturato nel relativo periodo d’imposta, non essendovi, invece, alcuna obbligatorietà di dare ingresso all’accertamento induttivo che comunque impone, per legge, pur sempre lo scomputo dei versamenti se effettuati per operazioni reali e inerenti. Resta in disparte la questione della quantificazione delle sanzioni per l’omessa dichiarazione che sono pur sempre dovute coi peculiari criteri di scomputo di cui all’art. 5 sopra citato.

5.6. In definitiva, come esattamente si è rilevato in dottrina e giurisprudenza, in presenza di una violazione formale – intesa come inadempimento di un obbligo distinto dalle condizioni essenziali previste dalle direttive IVA per l’esercizio della detrazione – la questione da risolvere è esclusivamente di natura probatoria: l’infrazione è da ritenersi emendabile sul piano del rapporto impositivo laddove si disponga ugualmente delle informazioni necessarie per dimostrare che il soggetto passivo (Cass. Sez. 5, n. 3586 del 2016), in quanto acquirente, ha il diritto di recuperare l’imposta pagata a titolo di rivalsa (Cass. Sez. 5, n. 25871 del 2015), sempreché non risulti in concreto impedita la prova dell’adempimento dei requisiti sostanziali (Cass. Sez.5, n. 4612 del 2016). Sulla scorta di tali conclusioni generali, si è affermato nella giurisprudenza di legittimità – e qui si ribadisce – che se il contribuente si attiene agli obblighi formali-contabili prescritti dalla normativa interna grava sull’Amministrazione fiscale che intenda disconoscere il diritto a detrazione negando la corrispondenza della realtà effettuale a quella rappresentata nelle scritture contabili l’onere della relativa contestazione e della consequenziale prova.

Diversamente, se il contribuente non si attiene alle prescrizioni formali e contabili disciplinate dall’ordinamento interno, è onere dello stesso, a fronte della contestazione di omissioni o irregolarità, fornire adeguata prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali cui la normativa comunitaria ricollega l’insorgenza del diritto alla detrazione (Cass. Sez.5, n. 11168 del 2014 e n. 18924 del 2015; conf. Cass. Sez. 6-5, n. 17815 del 2015). Ovverosia il contribuente deve dimostrare che, in quanto destinatario di transazioni commerciali, è debitore dell’IVA e titolare del diritto di detrarre l’imposta (Cass. Sez. 5, n. 7576 del 2015). Si tratta di circostanze che restano riservate a quell’accertamento in fatto da parte del giudice di merito (Cass. Sez. 5, n. 5072 del 2015), che è da compiersi con la latitudine suggerita, in tesi generale, dalla stessa Corte di giustizia (v. in causa Reisdorf).

5.7. La linea evolutiva qui percorsa nel caso di dichiarazione omessa materialmente – ovvero omessa perché ultra-tardiva – si salda strettamente con i principi fondanti la citata decisione di queste sezioni unite n. 13378 del 2016, sull’emenda delle dichiarazioni fiscali.

Dinanzi alla posizione del contribuente quale titolare di diritti soggettivi perfetti derivanti dalla legge nazionale e dal diritto dell’UE, è il processo tributario, infatti, il contesto privilegiato nel quale l’esigenza della giusta imposizione trova la sua armonica realizzazione a prescindere da moduli procedimentali diretti a garantire ed agevolare l’azione amministrativa. Invero l’empirico rilievo della complessità del sistema tributario – e in particolare dell’imposizione sul valore aggiunto – non vale a giustificare soluzioni “a regime” unicamente garantite dal previo svolgimento della funzione amministrativa.

Vi ostano in primo luogo la giurisdizione piena ed esclusiva sul rapporto fiscale (Cass. Sez. U, n. 6315 del 2009) che è tipica del giudizio di impugnazione-merito (Cass. Sez.5, n. 21759 del 2011); in secondo luogo i richiamati principi costituzionali di capacità contributiva e statutari di collaborazione e buona fede nei rapporti tra contribuente e fisco; in terzo luogo i precitati principi euro-unitari sulla primazia dei requisiti sostanziali del diritto di deduzione e della neutralità fiscale (da mettersi al riparo da alcun rischio finanziario per il soggetto contribuente).

Si tratta, in sostanza, di porre rimedio a errori e/o omissioni del contribuente, in presenza di situazioni legali e veritiere, in via di eccezione direttamente nel processo tributario quale ragione d’impugnazione dell’atto di controllo formale del Fisco (es. Cass. Sez. 5, n. 26187 del 2014), effettuato con le procedure automatizzate previste dagli artt. 36- bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 che comportano di per sé stesse lo “scarto” delle posizioni fiscali formalmente irregolari alla luce delle risultanze dell’anagrafe tributaria (Cass. Sez. U, ud. 21 giugno 2016, Comune di San Nicola da Crissa), così come pure il fisco può contestare in giudizio l’esistenza di un credito anche laddove siano decorsi i termini per l’accertamento (Cass. Sez. U, n.5069 del 2016).

5.8. Tutto ciò non contrasta con l’art. 8 dello Statuto del contribuente, laddove, pur riconoscendo l’istituto generale della compensazione fiscale, lo sottopone a disciplina regolamentare non ancora attuata. Infatti, il meccanismo della neutralità dell’IVA e della deducibilità delle eccedenze d’imposta deriva direttamente dal diritto dell’UE nell’interpretazione datane dalla Corte di giustizia, in disparte il rilievo generale e interno che le detrazioni siano esercitate entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto (v. Cass. Sez. 5, n. 4767 del 2015).

6. Tirando le file del discorso sin qui condotto deve essere formulato il seguente principio di diritto : «La neutralità dell’imposizione armonizzata sui valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta – risultante da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto – sia riconosciuta dal giudice tributario se siano stati rispettati dai contribuente tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; pertanto, in tal caso, il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in concreto – ovvero non controverso – che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili».

6.1. Consequenzialmente il ricorso principale, per com’è concretamente formulato, deve essere rigettato, potendosi solo correggere, nei sensi sopra indicati, la motivazione della sentenza d’appello. Infatti la difesa erariale non denuncia affatto che la contribuente non abbia assecondato quei requisiti sostanziali previsti dall’art. 17 della sesta direttiva.

Censura, infatti, la decisione di merito unicamente riguardo all’indetraibilità delle somme esposte a credito nelle dichiarazioni periodiche, ove manchi la finale dichiarazione annuale (vedasi in ricorso a pag. 7 e 11 le parti specificamente impugnate della sentenza d’appello e a pag. 12 il consequenziale quesito di diritto).

Né rileva, sul piano processuale, che il fisco evidenzi in memoria che la dichiarazione per il successivo anno d’imposta (2002) possa essere lacunosa. La questione, infatti, non è oggetto di espresso motivo di ricorso, in disparte la considerazione che il contribuente può invocare elementi rettificativi e integrativi a proprio favore anche nella fase contenziosa in sede di ripresa a tassazione ovvero di rimborso (Cass. Sez. U, n. 13378 del 2016, cit.).

6.2. Inoltre, siccome il controllo formale automatizzato è fatto entro la scadenza del termine per la dichiarazione dell’anno successivo, nella specie resta escluso ogni ipotetico impedimento temporale alla deducibilità giudiziale dell’eccedenza atteso che, in ogni caso, le detrazioni sono state esercitate de facto entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto.

6.3. Infine, si rileva che, nel caso in esame, non è in discussione l’utilizzo della procedura di controllo automatizzato e dello strumento della cartella di pagamento. Solo per completezza si evidenzia che nella mancata presentazione di una dichiarazione fiscale bene si può ravvisare una di quelle notizie che rilevando come dato storico e fattuale dal quale derivano conseguenze giuridiche. Sicché è consentita la lavorazione con procedura automatizzata di una tale dato omissivo, dovendo il fisco provvedere in sede di controllo «sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni fiscali presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria», che registra appunto la presentazione delle dichiarazioni medesime (conf. Cass. Sez. U, ud. 21 giugno 2016, Comune di San Nicola da Crissa). Il che può ben costituire innesco iniziale dell’azione del fisco.

7. La complessità e l’incertezza delle questioni giuridiche che hanno richiesto l’intervento nomofilattico delle sezioni unite costituiscono giustificati motivi per la compensazione delle spese sia del giudizio di legittimità sia del giudizio di appello, così rigettandosi sul punto il ricorso incidentale della curatela.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale; dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.