CFC Controlled Foreign Companies: evoluzione della normativa

La crescente internazionalizzazione dei sistemi d’impresa ha costretto anche il fisco italiano a rivedere le proprie norme (partendo dall’articolo 167 del TUIR) in tema di CFC – controlled foreign companies – per adeguarsi agli standard OCSE; l’evoluzione legislativa e di prassi degli ultimi anni ha reso complesso muoversi nell’intrico legislativo creatosi.

CFC – I lineamenti della disciplina

Le caratteristiche essenziali della norma (art. 167 del tuir) sono le seguenti:

  1. qualsiasi soggetto residente in Italia (persona fisica, società, ente) può “ricadere”, nel rispetto degli ulteriori requisiti richiesti, nella disciplina in esame;
  2. il primo requisito necessario è la detenzione del controllo; il controllo può essere sia diretto che indiretto attraverso una società fiduciaria o per interposta persona;
  3. il secondo requisito è beneficiare, nello stato estero, di un regime fiscale, anche speciale, privilegiato; l’individuazione dei regimi privilegiati ha subito diverse modifiche negli ultimi anni;
  4. se si verificano le condizioni testé citate, il reddito della controllata estera è imputato per trasparenza ai soci italiani in proporzione alle partecipazioni da esse detenute;
  5. il momento coincidente con la data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero è il momento a decorrere dal quale i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati, per trasparenza, ai soggetti italiani; si evidenzia come anche la verifica dell’esistenza del controllo deve essere effettuata con riferimento a tale momento;
  6. la disciplina si applica anche per le partecipazioni in soggetti non residenti relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni assoggettati a regimi fiscali privilegiati.

Come detto, i soggetti interessati dalla norma sono tutti i soggetti passivi IRPEF e IRES (indipendentemente dal fatto che siano o meno titolari di reddito d’impresa) ad esclusione dei soggetti non residenti1.

In dettaglio, rientrano nell’ambito di applicazione della normativa cfc (nel senso che ad essi può essere imputato il reddito conseguito da un soggetto estero controllato):

  • le persone fisiche residenti;
  • le società di capitali, le società cooperative e di mutua assicurazione residenti;
  • gli enti commerciali e non commerciali residenti;
  • le società di persone e gli altri soggetti previsti dall’articolo 5 del tuir.

Si evidenzia come l’esercizio di un’attività d’impresa non è un prerequisito oggettivo necessario per annoverare la struttura estera tra quelle suscettibili di soggiacere alla disciplina in oggetto.

In altri termini, a prescindere dalla veste giuridica rivestita dalla controllata estera e dall’effettiva attività svolta dalla medesima, stante l’ampiezza dei soggetti esteri partecipati – imprese, società o altri enti – cui è applicabile la disciplina cfc, anche società ed enti non commerciali esteri sono assoggettati alla suddetta disciplina.

Tale interpretazione è conforme al principio per cui tutti i redditi conseguiti dal soggetto estero sono considerati, ai fini dell’imputazione e tassazione in Italia, redditi d’impresa.

Il rapporto di controllo

Per quanto riguarda la definizione di controllo la norma fa riferimento all’art.2359 c.c.

L’Agenzia delle entrate con la circolare 207/E/2000 ha precisato che il concetto di controllo è fissato unicamente dall’articolo 2359 del codice civile, nulla valendo altre definizioni esistenti nei Paesi in cui è localizzata la società controllata.

Pertanto, sono considerate società controllate ai fini dell’applicazione della disciplina cfc:

  • le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (c.d. controllo di diritto); ai fini dell’individuazione di tali voti si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a interposta persona, mentre non si computano i voti spettanti per conto di terzi;
  • le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria (c.d. controllo di fatto); ai fini dell’individuazione di tali voti si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a interposta persona, mentre non si computano i voti spettanti per conto di terzi;
  • le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa (c.d. controllo in base a vincoli contrattuali). Si evidenzia come la relazione ministeriale al regolamento attuativo (D.M. n.429 del 21 novembre 2001) ha specificato che “ai fini dell’imputazione del reddito, oltre al controllo è necessaria una, seppur minima, partecipazione all’utile dell’impresa estera da parte del soggetto italiano”.

Ai sensi dell’art.1 co.3 del D.M. 21 novembre 2001 n.429, per la verifica della sussistenza del controllo rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato.

Nel caso in cui né dallo statuto del soggetto estero controllato, né dalle disposizioni generali del Paese estero sia dato individuare una data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione, si dovrà fare riferimento alla data di chiusura dell’esercizio fiscale del soggetto residente controllante.

Per quanto riguarda le persone fisiche, l’art.1 co. 3 del D.M. 21 novembre 2001 n.429 ha specificato che, ai fini della determinazione del requisito del controllo, si deve tener conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all’art.5, comma 5, ossia il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado.

Si è detto che il controllo può essere esercitato indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona.

Si osserva, inoltre, che il controllo “a catena” rientra nell’ambito di applicazione della disciplina; tuttavia, si possono manifestare differenze a seconda che i soggetti attraverso i quali viene esercitato siano residenti all’estero o in Italia.

In particolare, l’art. 3 co.1 del D.M. 429 del 2001 stabilisce che i redditi determinati ai sensi dell’articolo 2, convertiti secondo il cambio del giorno di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione dell’impresa, società o ente non residente, sono imputati al soggetto residente che esercita il controllo, anche ai sensi dell’articolo 2359 co.1 n. 3 c.c. in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili diretta o indiretta; tuttavia, in caso di partecipazione indiretta per il tramite di soggetti residenti o di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, i redditi sono ad essi imputati in proporzione alle rispettive quote di partecipazione.

In sostanza, se il controllo indiretto è esercitato tramite un soggetto residente i redditi sono imputati a tale soggetto; diversamente, se il controllo indiretto è esercitato tramite un soggetto non residente i redditi sono imputati al soggetto residente.

Le modifiche delle Leggi di Stabilità 2015 e 2016

Il legislatore è intervenuto a più riprese nel corso degli ultimi anni sul tema della cfc ed in particolare con la L. 190/2014 (Legge di Stabilità 2015), il D.Lgs. 147/2015 (Decreto internazionalizzazione) e la L. 208/2015 (Legge di stabilità 2016).

L’Agenzia delle Entrate ha poi emanato la circolare n. 35/E del 4 agosto 2016 per fornire alcuni chiarimenti sul tema in esame.

Nel corso degli ultimi due anni, infatti, l’ordinamento tributario italiano ha registrato importanti sviluppi normativi nell’ambito della fiscalità internazionale.

L’azione del legislatore domestico si inserisce nel più ampio contesto sia europeo che extraeuropeo, caratterizzato da una sempre crescente attenzione rivolta a tematiche collegate alla globalizzazione delle imprese e dei mercati, all’evasione e all’elusione fiscale internazionale, all’erosione della base imponibile e alla lotta contro la concorrenza fiscale dannosa.

Le novità, in sintesi, sono le seguenti:

  • l’abrogazione dell’articolo 168 del tuir in materia di collegate estere;
  • l’abrogazione dell’articolo 168-bis del tuir, che prevedeva l’elaborazione di una white list, e la conseguente eliminazione del riferimento a tale articolo nell’ambito della disciplina cfc (articolo 167, comma 1, del TUIR);
  • l’individuazione degli Stati o territori a fiscalità privilegiata, partendo da un sistema imperniato sulla black list, passando per un regime che affianca alle liste anche i regimi speciali (per l’esercizio 2015), approdando all’attuale criterio (efficace dal 1° gennaio 2016) che fa riferimento al livello di tassazione nominale (articolo 167, comma 4, del tuir);
  • la determinazione del reddito imputato per trasparenza in capo al socio residente (articolo 167, comma 6, del tuir);
  • l’attribuzione a un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate dell’indicazione dei criteri per determinare l’effettivo livello di tassazione ai fini dell’applicazione del comma 8-bis (articolo 167, comma 8-bis, del tuir);
  • l’istituto dell’interpello la cui obbligatorietà è venuta meno a partire dall’esercizio 2015 (articolo 167, commi 5 e 8-ter, del tuir);
  • le garanzie del contribuente in sede di accertamento, prevedendo un obbligo di avviso gravante sull’Amministrazione finanziaria che consente di instaurare un preventivo contraddittorio con il contribuente (articolo 167, comma 8-quater, del tuir), in cui gli viene fornita la possibilità di presentare le prove necessarie alla disapplicazione della disciplina cfc;
  • l’obbligo di segnalazione in dichiarazione della detenzione di partecipazioni in imprese estere controllate cui sia applicabile la CFC rule (articolo 167, comma 8-quater, del tuir).
Leggi anche: CFC – Controlled Foreign Companies – e informazioni da fornire in sede di interpello

29 settembre 2016

Ennio Vial

NOTE

1È appena il caso di ricordare come la disciplina cfc trovi applicazione anche in presenza di soggetti non residenti qualora gli stessi possano essere qualificati come esterovestiti o interposti. È il caso ad esempio di talune tipologie societarie e di talune tipologie di Trust.