Un caso particolare di alternatività IVA – registro

il Fisco, in caso di cessione soggetta ad IVA, può indicare questa come tributo dovuto ed escludere, invece, l’imposta di registro erroneamente corrisposta dall’acquirente? Analizziamo come funziona l’alternatività fra IVA e registro

occhioerrore2Principi

Il c.d. principio del consolidamento del criterio impositivo, applicato nella fattispecie dai giudici di merito, “è stato elaborato riguardo alla messa in discussione del criterio estimativo di tassazione (TU D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76; D.P.R. n. 634 del 1972, art. 75, R.D. n. 3269 del 1923, art. 136)”, mentre “in caso d’imposizione alternativa, non può rilevare il fatto storico che sia stato corrisposto un tributo, atteso che il contribuente ha l’obbligo di corrispondere il tributo previsto dalla legge e non quello scelto in base a considerazioni soggettivo e non a caso, del resto, sono diversi i termini per l’azione di finanza: tre anni dalla data della registrazione dell’atto, ai sensi dell’art. 76 TUR, a fronte del più ampio termine fissato al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, previsto per gli accertamenti in materia di IVA dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57”.

Pertanto, non sono violati i principi di alternatività dell’imposta1, di consolidamento del criterio impositivo e di divieto di doppia imposizione (D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 40, e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 67) allorché l’amministrazione finanziaria, in caso di cessione soggetta ad IVA, indichi questa come tributo dovuto ed escluda, invece, l’imposta di registro erroneamente corrisposta dall’acquirente. Infatti, ai fini dell’imposta di registro, va qualificata come cessione d’azienda il trasferimento contestuale al medesimo soggetto, anche se compiuto attraverso negozi formalmente distinti, di beni idonei, nel loro complesso e nella loro interdipendenza all’esercizio dell’impresa; per contro, sarà soggetta ad IVA, e non all’imposta di registro, la cessione di singoli beni, inidonei da soli a garantire l’attività produttiva dell’impresa , dovendosi escludere decisività alla volontà delle parti o al nomen iuris attribuito all’atto posto in essere, occorrendo invece verificare se, in base agli elementi probatori disponibili, i beni complessivamente ceduti abbiano, o meno, mantenuto carattere autonomo idoneo a consentire l’esercizio dell’impresa, seppure con le integrazioni che il cessionario abbia dovuto eventualmente effettuare. Tali Principi sono stati statuiti dalla Corte di Cassazione con la sentenza del’8 luglio 2016, n. 13963.

Vicenda

Il fisco ha notificato ad una società un avviso di accertamento con cui operava la rettifica della dichiarazione IVA relativa all’anno di imposta 2000 recuperando a tassazione l’intero corrispettivo risultante dalla scrittura privata di “cessione di ramo d’azienda commerciale“, autenticato nelle firme il 10 gennaio 2010, che la società aveva sottoposto a registrazione scontando l’imposta di registro proporzionale sul corrispettivo dichiarato, ma che la G.d.F., prima, e l’Agenzia delle entrate, dopo, avevano riqualificato come atto di trasferimento di beni e diritti da assoggettarsi ad IVA. Avverso il predetto avviso di accertamento, la società ha presentato ricorso al giudice di primo grado che annullava l’atto impositivo per decadenza dei termini di rettifica dell’atto. Il giudice del gravame ha confermava la sentenza di primo grado ritenendo che, in virtù del principio del consolidamento del criterio impositivo, non potesse essere operata alcuna modificazione dei titoli una volta decorso, come nel caso di specie, il termine di decadenza di tre anni dal giorno di pagamento della tassa di registrazione dell’atto, previsto dal d.P.R. n. 131 del 1986, art. 76.

Pronuncia

Gli Ermellini, con la pronuncia citata, hanno ritenuto fondate le seguenti argomentazioni specificate nel ricorso in cassazione da parte del fisco. I giudici di merito hanno equivocato sulla natura della rettifica operata dall’ufficio finanziario con l’atto impositivo impugnato, che non riguardava il valore dei beni ceduti con l’atto sottoposto a registrazione (cessione di ramo di azienda), bensì il diverso accertamento dell’imponibilità ad IVA dell’operazione negoziale posta in essere dalla società contribuente, riqualificata comemero trasferimento del diritto al subentro nell’atto di concessione dei locali di proprietà del Comune di M., nonché dei singoli beni individualmente considerati (così nel processo verbale di constatazione ritrascritto nel motivo di ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza del medesimo), con la conseguenza che la società contribuente avrebbe dovuto emettere fattura ai sensi del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 21, ed i termini per l’accertamento erano quelli previsti dall’art. 57 del citato decreto, prorogato dalla legge n. 289 del 2002, e non quelli più brevi previsti dal d.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, in tema di recupero dell’imposta di registro.

Conclusioni

In ipotesi di imposizione alternativa, non rileva il fatto storico della corresponsione di un tributo anziché di un altro, poiché il contribuente deve corrispondere il tributo previsto dalla legge e non quello derivante da considerazioni soggettive. Non sono, dunque, violati i principi di alternatività2 dell’imposta, di consolidamento del criterio impositivo e del divieto di doppia imposizione, allorché l’Amministrazione Finanziaria, in caso di cessione non soggetta ad I.V.A., si limiti ad escludere la detraibilità dell’I.V.A. erroneamente pagata dall’acquirente, indicando l’imposta di registro, quale unico tributo dovuto (Cass. civ. Sez. V, 22-01-2013, n. 1405; Cass. civ. Sez. V, 05-09-2014, n. 18764).

In presenza di una cessione di beni atti, nel loro complesso e nel loro collegamento, all’esercizio d’impresa, deve ravvisarsi una cessione d’azienda soggetta ad imposta di registro, mentre solo la cessione di singoli beni, inidonei di per sé ad integrare la potenzialità produttiva propria dell’impresa, deve essere assoggettata ad I.V.A. In tale contesto vi è cessione di azienda anche nel caso in cui i beni ceduti nella loro complessità siano potenzialmente utilizzabili per attività di impresa, senza che abbia rilievo il requisito dell’attualità. Ai fini dell’imposta di registro, va qualificata come cessione d’azienda il trasferimento contestuale al medesimo soggetto, anche se compiuto attraverso negozi formalmente distinti, di beni idonei, nel loro complesso e nella loro interdipendenza all’esercizio dell’impresa; per contro, sarà soggetta ad IVA, e non all’imposta di registro, la cessione di singoli beni, inidonei da soli a garantire l’attività produttiva dell’impresa (Cass. civ. Sez. V, 22-01-2013, n. 1405).

Il c.d. principio del consolidamento del criterio impositivo (in virtù del quale è precluso all’amministrazione finanziaria, decorso il termine previsto dall’art. 76 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, procedere ad una diversa qualificazione dell’atto presentato per la registrazione ed esigere di conseguenza una diversa imposta), trova applicazione quando, essendo pacifica l’applicabilità dell’imposta di registro, sia in discussione la misura di essa. Quel principio non può, invece, trovare applicazione quando l’amministrazione finanziaria contesti al contribuente di avere assolto, in relazione all’atto, un’imposta di tipo diverso da quella dovuta. Pertanto, nel caso di vendite contestuali di più beni costituenti un ramo d’azienda, artificiosamente considerati dalle parti come cespiti separati, legittimamente l’ufficio territorialmente competente dell’Agenzia delle entrate contesta al contribuente l’indebita detrazione dell’IVA pagata sulla parte di acquisto non assoggettato all’imposta di registro, a nulla rilevando che il competente ufficio del registro, nel liquidare quest’ultima imposta su quella parte dell’atto qualificata dalle parti come cessione d’azienda, non avesse riscontrato alcun intento elusivo nell’operazione (Cass. civ. Sez. V, 22-01-2013, n. 1405).

Giurisprudenza

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 luglio 2016, n. 13963

Tributi – Alternatività tra IVA e imposta di registro – Principio del consolidamento del criterio impositivo – Pretesa di un’imposta di tipo diverso (IVA) da quella versata (registro) – Legittimità – Obbligo del contribuente di corrispondere il tributo previsto dalla legge e non quello scelto

Ritenuto in fatto

1. L’Agenzia delle entrate di Modena, facendo proprie le risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F., in data 29 marzo 2006 notificava alla E. s.c. a r.l. un avviso di accertamento con cui operava la rettifica della dichiarazione IVA relativa all’anno di imposta 2000 recuperando a tassazione l’intero corrispettivo risultante dalla scrittura privata di “cessione di ramo d’azienda commerciale”, autenticato nelle firme il 10 gennaio 2010, che la società aveva sottoposto a registrazione scontando l’imposta di registro proporzionale sul corrispettivo dichiarato, ma che la G.d.F., prima, e l’Agenzia delle entrate, dopo, avevano riqualificato come atto di trasferimento di beni e diritti da assoggettarsi ad IVA.

2. Avverso il predetto avviso di accertamento, la società presentava ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Modena che annullava l’atto impositivo per decadenza dei termini di rettifica dell’atto. La Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, dinanzi alla quale proponeva appello l’Agenzia delle entrate, con decisione n. 37 del 22 aprile 2010 confermava la sentenza di primo grado ritenendo che, in virtù del principio del consolidamento del criterio impositivo, non potesse essere operata alcuna modificazione dei titoli una volta decorso, come nel caso di specie, il termine di decadenza di tre anni dal giorno di pagamento della tassa di registrazione dell’atto, previsto dal d.P.R. n. 131 del 1986, art. 76.

3. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate con un unico motivo cui replica l’intimata società con controricorso.

4. La causa, inizialmente assegnata alla 6A sezione, è stata successivamente rimessa all’udienza pubblica.

Considerato in diritto

1. Con l’unico motivo del ricorso, l’Agenzia ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 76 e 77 d.P.R. n. 131 del 1986 e 57 d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.

Sostiene la difesa erariale che i giudici di merito avevano equivocato sulla natura della rettifica operata dall’ufficio finanziario con l’atto impositivo impugnato, che non riguardava il valore dei beni ceduti con l’atto sottoposto a registrazione (cessione di ramo di azienda), bensì il diverso accertamento dell’imponibilità ad IVA dell’operazione negoziale posta in essere dalla società contribuente, riqualificata come <mero trasferimento del diritto al subentro nell’atto di concessione dei locali di proprietà del Comune di Modena, nonché dei singoli beni individualmente considerati (così nel processo verbale di constatazione ritrascritto nel motivo di ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza del medesimo), con la conseguenza che la società contribuente avrebbe dovuto emettere fattura ai sensi del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 21, ed i termini per l’accertamento erano quelli previsti dall’art. 57 del citato decreto, prorogato dalla legge n. 289 del 2002, e non quelli più brevi previsti dal d.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, in tema di recupero dell’imposta di registro.

2. Il mezzo è da ritenersi fondato, sulla base del quadro normativo di riferimento e del principio di diritto secondo cui <il c.d. principio del consolidamento del criterio impositivo (in virtù del quale è precluso all’amministrazione finanziaria, decorso il termine previsto dall’art. 76 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, procedere ad una diversa qualificazione dell’atto presentato per la registrazione ed esigere di conseguenza una diversa imposta)>, nella specie applicato dal giudice di merito, <trova applicazione quando, essendo pacifica l’applicabilità dell’imposta di registro, sia in discussione la misura di essa. Quel principio non può, invece, trovare applicazione quando l’amministrazione finanziaria contesti al contribuente di avere assolto, in relazione all’atto, un’imposta di tipo diverso da quella dovuta> (Cass. Sez. 5, sent. n. 1405 del 22/01/2013; id. Sez. 5, sent. n. 18764 del 05/09/2014).

2.1. L’orientamento espresso da questa Corte nelle citate decisioni merita di essere confermato, fondandosi sulla condivisibile considerazione che il c.d. principio del consolidamento del criterio impositivo, applicato nella fattispecie dai giudici di merito, <è stato elaborato riguardo alla messa in discussione del criterio estimativo di tassazione (C. 7242/03 sul D.P.R. n. 634 del 1972, art. 74, ora TU D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76; conf. 6150/03 e 7835/01 sul D.P.R. n. 131 del 1986, art. 77, C. 4025/12 sul D.P.R. n. 634 del 1972, art. 75, C. 9/76 sul R.D. n. 3269 del 1923, art. 136)>, mentre <in caso d’imposizione alternativa, non può rilevare il fatto storico che sia stato corrisposto un tributo, atteso che il contribuente ha l’obbligo di corrispondere il tributo previsto dalla legge e non quello scelto in base a considerazioni soggettivo (in tal senso anche Cass. Sez. 5, sent. n. 18524 del 10/08/2010) e <non a caso, del resto, sono diversi i termini per l’azione di finanza: tre anni dalla data della registrazione dell’atto, ai sensi dell’art. 76 TUR, a fronte del più ampio termine fissato al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, previsto per gli accertamenti in materia di IVA dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57>.

Pertanto, non sono violati i principi di alternatività dell’imposta, di consolidamento del criterio impositivo e di divieto di doppia imposizione (D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 40, e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 67) allorché l’amministrazione finanziaria, in caso di cessione soggetta ad IVA, indichi questa come tributo dovuto ed escluda, invece, l’imposta di registro erroneamente corrisposta dall’acquirente. Infatti, ai fini dell’imposta di registro, va qualificata come cessione d’azienda il trasferimento contestuale al medesimo soggetto, anche se compiuto attraverso negozi formalmente distinti, di beni idonei, nel loro complesso e nella loro interdipendenza all’esercizio dell’impresa; per contro, sarà soggetta ad IVA, e non all’imposta di registro, la cessione di singoli beni, inidonei da soli a garantire l’attività produttiva dell’impresa (Cass. n. 1405 del 2013), dovendosi escludere decisività alla volontà delle parti o al “nomen iuris” attribuito all’atto posto in essere, occorrendo invece verificare se, in base agli elementi probatori disponibili, i beni complessivamente ceduti abbiano, o meno, mantenuto carattere autonomo idoneo a consentire l’esercizio dell’impresa, seppure con le integrazioni che il cessionario abbia dovuto eventualmente effettuare (Cass. sez. 5, sent. n. 10740 del 08/05/2013).

3. All’accoglimento del motivo consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della CTR dell’Emilia Romagna che, attenendosi ai principi di diritto enunciati, riesaminerà nel merito la vicenda processuale e provvederà alla liquidazione delle spese anche del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla CTR dell’Emilia Romagna, in diversa composizione.

22 settembre 2016

Isabella Buscema

1 L’alternatività dell’applicazione dell’Iva rispetto all’imposta di registro è contenuto nell’articolo 40 del Dpr 131/86 (Testo unico in materia di Registro) ed ha lo scopo di evitare la doppia imposizione. In linea di principio, quindi, tutti gli atti soggetti ad Iva devono essere registrati con l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa.

2 Nell’operare la liquidazione del tributo, l’Ufficio, è, imprescindibilmente tenuto a conformarsi al c.d. principio di “alternatività Iva/registro”. Detto principio rappresenta uno strumento predisposto dal legislatore per ovviare al gravoso inconveniente della doppia imposizione; per cui, nei casi di operazioni rientranti nel campo di applicazione dell’Iva e contemporaneamente assoggettabili ad imposta di registro, è stata disposta l’applicazione dell’imposta di registro, in misura fissa, anziché proporzionale, ed il normale assoggettamento ad Iva. Di contro, laddove l’Iva non risulti applicabile , il registro trova applicazione in misura per così dire piena, ossia proporzionale.

Laddove un determinato criterio o titolo impositivo venga definitivamente assunto (rectius si consolidi) ai fini del registro, esso dovrà inevitabilmente adottarsi anche ai fini degli altri tributi (Iva ed imposte dirette), al fine di garantire, peraltro, quell’unitarietà ed uniformità della certezza impositiva, dalle quali sia l’Ufficio che lo stesso contribuente non possono prescindere.