Tributi locali: come individuare gli immobili rurali?

Ai fini del pagamento dei tributi locali, è fondamentale capire se un immobile è rurale, a prescindere dal suo classamento catastale…

immobili rurali e fiscalità localeLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16182 del 03.08.2016, ha chiarito i presupposti per rilevare la condizione rurale degli immobili ai fini dei tributi locali.

Nel caso di specie il Comune aveva emesso nei confronti di una società cooperativa agricola un avviso di accertamento, con il quale provvedeva a rettificare ai fini ICI il valore complessivo dei fabbricati rurali in relazione all’anno di imposta 2004.

La società contribuente impugnava l’avviso di accertamento davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna, deducendo l’esenzione dall’imposta, in quanto gli immobili costituivano fabbricati strumentali all’attività agricola a suo dire esenti dall’ICI, finalizzati allo svolgimento dell’attività di manipolazione e trasformazione del prodotto conferito dai soci.

La Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna accolse il ricorso con sentenza avverso la quale il Comune propose ricorso in appello davanti alla CTR dell’Emilia.

La Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia accolse l’appello e riformò la sentenza di primo grado, in quanto gli immobili non erano classificati come “rurali” nel catasto dei fabbricati, perché accatastati con categoria D/8 e non con categoria A/6 o D/10 e quindi non potevano godere dell’esenzione prevista per fabbricati rurali strumentali all’attività agricola.

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia proponeva infine ricorso per cassazione la società.

Premesso che era entrato in vigore l’art. 7, cc. 2-bis, 2-ter e 2-quater, del D.L. 13 maggio 2011 n. 70, con il quale era stata introdotta una speciale procedura di riconoscimento, con effetti retroattivi, delle categorie D/10 ed A/6 agli immobili da sempre in possesso dei requisiti di ruralità stabiliti dall’art. 9 del D.L. 557 del 1993, il contribuente rilevava poi la violazione e falsa applicazione dell’art.7 cc, 2-bis e ss. del D.L. 13 maggio 2011 n. 70, perché il giudice di appello, in violazione della suddetta normativa, non aveva riconosciuto la retroattività dell’attribuzione delle categorie A/6 e D/10 ai fabbricati rurali della società anche per l’anno d’imposta 2004, nonostante che la società contribuente, in aderenza alla procedura speciale ivi prevista, avesse presentato tempestiva domanda di variazione della categoria catastale da D/8 ad A/6 o D/10, con relativa autocertificazione in cui attestava i requisiti di ruralità dell’immobile in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda avvenuta in data 30/9/2011.

Con altro motivo di ricorso la società ricorrente lamentava poi, in via subordinata, in caso di mancata applicazione dello ius superveniens, la violazione e falsa applicazione dell’art. 23 c. 1-bis D.L. 30 dicembre 2008 nr.207, convertito in legge 2772/2009 n. 1 e dell’art.9 d.l. 30/12/1993 n. 557 ed art. 2 del d.lgs 504 del 30 dicembre 1992, perché il giudice di appello aveva ritenuto erroneamente sottoposti al pagamento dell’Ici i fabbricati rurali solo in funzione della loro classificazione catastale, senza tenere conto però che il requisito della ruralità prescinde dall’iscrizione in catasto del fabbricato nella categoria A/6 o D/10 e che sussistevano nella fattispecie le caratteristiche di ruralità degli immobili esenti dall’ICI perché funzionali allo svolgimento di attività agricola.

Il ricorso, secondo la Corte, era tuttavia è infondato.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno infatti affermato (Sez. Unite, Sentenza n. 18565 del 21/08/2009) che

“In tema di ICI, l’immobile che sia stato iscritto nel catasto dei fabbricati come ‘rurale’, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 9 del d.l. n. 557 del 1993, conv. in legge n. 133 del 1994, non è soggetto all’imposta, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992, come interpretato dall’art. 23, comma 1-bis del d.l. n. 207 del 2008, aggiunto dalla legge di conversione n. 14 del 2009.

Qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, sarà onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento, restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI. Allo stesso modo, il Comune dovrà impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta”.

 

L’orientamento delle Sezioni Unite, sottolinea la Corte, è seguito inoltre anche nella Ordinanza n. 24195 del 14/10/2010, oltre che in numerose, recenti, pronunce, tra cui, a mero titolo esemplificativo, Sentenza n. 5167 del 05/03/2014.

Nella fattispecie gli immobili risultavano accatastati in categoria D/8 e non in A/6 0 D/10, categoria che riguarda specificamente le costruzioni strumentali all’esercizio di attività agricola e pertanto il giudice di appello aveva correttamente ritenuto mancante il presupposto necessario ed indefettibile per l’esclusione del fabbricato dall’assoggettamento all’imposta ICI.

I giudici ricordano però anche che tale orientamento di legittimità è stato disatteso da alcuni precedenti della stessa Corte (Cass. 16973/2015; 10355/2015; 14013/2013), secondo i quali l’esenzione dall’ICI spetterebbe al contribuente in ragione del solo carattere di ruralità dell’immobile, a prescindere dal suo classamento catastale.

Si tratta tuttavia, sottolinea la Corte, di alcune pronunce isolate, difformi dalle Sezioni Unite 18565/2009, alle quali i giudici di legittimità ritengono di non dover dare seguito. Successivamente alla pronuncia delle Sezioni Unite, ricorda la Corte, è poi entrato in vigore l’art.7 cc. 2-bis 2-ter e 2-quater del D.l. 13 maggio 2011 n. 70, convertito nella legge n. 106 del 12 luglio 2011, con il quale è stata introdotta una speciale procedura di riconoscimento con effetti retroattivi delle categorie D/10 ed A/6 agli immobili da sempre in possesso dei requisiti di ruralità stabiliti dall’art. 9 D.L. 30 dicembre 1993 n. 557, convertito nella legge 26 febbraio 1994 n. 133, purché 1a società contribuente, in aderenza alla procedura speciale ivi prevista, avesse presentato tempestiva domanda di variazione della categoria catastale da D/8 ad A/6 o D/10 con relativa autocertificazione, in cui attestava i requisiti di ruralità dell’immobile in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda da effettuarsi entro il 30/9/2011.

Successivamente, poi, il D.L. 29.12.2011 n. 216, art. 29, c. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.2.2012 n. 14 ha previsto che “Restano salvi gli effetti delle domande di variazione della categoria catastale presentate ai sensi del comma 2-bis dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, anche dopo la scadenza dei termini originariamente previsti dallo stesso comma e comunque entro e non oltre il 30 giugno 2012 in relazione al riconoscimento del requisito di ruralita’, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo”.

Infine il D.L. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, in L. 28 ottobre 2013, n. 124, all’art. 2, c. 5-ter, ha stabilito che

“ai sensi dell’articolo l, coma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 3, comma 14 bis, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi dell’articolo 7, comma 2 bis, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione degli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto legge 30 dicembre n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”.

 

Le richiamate disposizioni, che consentivano di pervenire all’esenzione dall’Ici dei fabbricati strumentali all’attività agricola (soppresse a seguito dell’introduzione dell’IMU) da un lato, secondo la Corte, rafforzano l’orientamento esegetico adottato dalle Sezioni Unite, in quanto disciplinano le modalità attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione Ici (di talché non sarebbe stata necessaria l’adozione di dette norme se la ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla classificazione catastale), e dall’altro impongono di compiere un accertamento di fatto, trattandosi di applicazione di ius superveniens, atto a verificare se la richiesta per il riconoscimento della ruralità presentata dalla contribuente a norma del D.L. n. 70 del 2011 in data 30 settembre 2011 sia idonea a produrre gli effetti del riconoscimento della ruralità per il quinquennio anteriore e, dunque, dal 30 settembre 2006 in relazione ai fabbricati per cui era causa. Tali norme, conclude la Corte, consentirebbero di mandare esenti da Ici, con effetto retroattivo quinquennale dalla data di presentazione dell’istanza, i fabbricati per i quali sussistevano i requisiti di ruralità (cfr. Cass. n. 24020 del 2015 e Cass. n. 422 del 2014).

 

Lo ius superveniens, nel caso di specie, non poteva però comunque essere applicato, considerato che l’anno di imposta per cui si discuteva era antecedente al quinto anno antecedente all’entrata in vigore del decreto legge, cioè il 2004.

 

3 settembre 2016

Giovambattista Palumbo