Non si applica il favor rei alle sanzioni amministrative tributarie

il principio del favor rei (applicazione della minore sanzione nel frattempo introdotta legislativamente, più favorevole al contribuente) non è applicabile in caso di irrogazione di sanzione amministrativa tributaria

bari Come ben noto, con riguardo ai principi vigenti nell’ordinamento giuridico sull’applicazione delle norme sanzionatorie nel tempo, occorre fare riferimento all’art. 25 della Costituzione, in ragione del quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso (“Nullum crimen sine poena, nulla poena sine lege”).

La previsione costituzionale, infatti, enuncia il principio di legalità delle pene, a sua volta articolato nei principi di riserva di legge, tassatività, determinatezza ed irretroattività: la riserva di legge implica che solo la legge ordinaria, emanata dal Parlamento quale organo che esprime la volontà popolare, possa emanare norme incriminatrici; questa volontà deve essere espressa in modo completo, cioè la fattispecie deve essere determinata nei suoi elementi essenziali in modo da consentire ai singoli di conoscere quali condotte siano lecite e quali non lo siano. A queste esigenze risponde anche la tassatività, che indica la necessità che il sistema sia chiuso, atteso che la legge penale è insuscettibile di applicazione analogica. Infine, irretroattività significa divieto di applicare la norma incriminatrice a fatti commessi prima della sua entrata in vigore.

In campo penale, le dianzi richiamate disposizioni trovano attuazione nell’art.2 ove viene sancito che:

  • nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato (principio della irretroattività della legge penaleche esclude la possibilità di punire un fatto commesso dopo l’abrogazione o la perdita d’efficacia della norma che lo incriminava – cd. divieto di ultrattività della legge penale);

  • nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato (principio della retroattività piena della legge penale. La disciplina trova fondamento da un lato nel principio del favor rei, che comporta l’applicazione della legge favorevole al reo, e dall’altra nel principio d’uguaglianza;

  • se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile (principio di irretroattività di ogni legge successiva sfavorevole al reo e contestualmente viene imposta l’applicazione retroattiva della legge più favorevole, in ossequio al principio di parità sostanziale di trattamento – principio del favor rei).

Con riguardo al sistema sanzionatorio amministrativo, occorre fare riferimento, invece, all’art. 1 della Legge n. 689/1981 laddove, introducendo principi di derivazione penalistica, si stabilisce che nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione.

Pertanto, emerge per tabulas che, in campo amministrativo, mentre trova applicazione il principio di irretroattività della norma sanzionatoria, non può ritenersi vigente a livello generale il c.d. favor rei, espressamente previsto dal solo codice penale. Di conseguenza, per le sanzioni amministrative trova applicazione il principio c.d. tempus regit actum e, quindi, di irretroattività delle disposizioni successive anche se ritenute più favorevoli.

Sul punto, infatti, la giurisprudenza di legittimità1 e amministrativa ha più volte ribadito che in tema di illeciti amministrativi, l’adozione dei principi di legalità, irretroattività e divieto di analogia, di cui all’ art. 1 della legge n. 689 del 1981, comporta l’assoggettamento del fatto alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore eventualmente più favorevole (tra tutte: Cass. civ., Sez. lavoro, 26 gennaio 2012, n. 1105; Cons. Stato, Sez. VI, 3 giugno 2010, n. 3497).

Ciò premesso, con specifico riguardo all’applicabilità al trasgressore della norma posteriore più favorevole, non sono mancati orientamenti interpretativi volti a ritenere immanente, nel sistema giuridico, un principio generale di favor rei applicabile a qualunque risposta punitiva/afflittiva, a prescindere dalla natura penalista o amministrativa della vis punitiva pubblica. Quanto precede in ragione di una intrinseca unità funzionale del fenomeno strictu sensu sanzionatorio che caratterizza le sanzioni penali e quelle amministrative, spesso accomunate da un marcato carattere afflittivo e corredate da una funzione di prevenzione generale.

In altre parole (tenuto conto della forte potenzialità afflittiva che, in diverse materie, ha raggiunto l’apparato sanzionatorio amministrativo) diversi orientamenti hanno spinto ad assumere come parametro ermeneutico delle sanzioni amministrative i medesimi principi costituzionali tradizionalmente considerati di esclusivo riferimento penalistico, compreso il c.d. favor rei.

Infatti, dalla lettura degli artt. 6 e 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, emerge come (ai fini dell’applicazione delle garanzie dell’equo processo) debbano essere considerate di natura penale anche le sanzioni formalmente qualificate come amministrative, in base ai criteri (tra loro alternativi e non cumulativi) della natura del precetto violato e della gravità della sanzione.

In particolare, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, una sanzione – ancorché qualificata come amministrativa nell’ordinamento nazionale – deve essere ritenuta di natura «penale» ai sensi della CEDU, ove la norma che la commina sia rivolta alla generalità dei consociati e persegua uno scopo preventivo, repressivo e punitivo e non meramente risarcitorio, nonché laddove la sanzione suscettibile di essere inflitta comporti per l’autore dell’illecito un significativo sacrificio, anche di natura meramente economica, non consistente nella privazione della libertà personale. Ne consegue che – anche per le sanzioni amministrative così connotate – trova applicazione il principio di applicazione retroattiva, in favore del reo, del trattamento sanzionatorio più mite sopravvenuto rispetto alla commissione del fatto; pertanto, la retroattività della legge più favorevole, pur non essendo prevista espressamente dalla Costituzione (a differenza dell’irretroattività della legge sfavorevole), nemmeno in ambito penale, va comunque considerata espressione di un principio generale dell’ordinamento, legato ai principi di materialità e offensività della violazione.

Sul punto, la Corte Costituzionale (con la sentenza del 6.07.2016 n. 193 circa l’infondatezza della questione di illegittimità dell’art. 1 della Legge n. 689/1981 nella parte in cui non prevede il principio del favor rei, avanzata da un Tribunale Ordinario2) ribadisce che:

  • non si rinviene nel quadro delle garanzie apprestato dalla CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo, l’affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio della retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative;

  • in materia di sanzioni amministrative non è dato rinvenire un vincolo costituzionale nel senso dell’applicazione in ogni caso della legge successiva più favorevole, rientrando nella discrezionalità del legislatore nel rispetto del limite della ragionevolezza modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore in base alle materie oggetto di disciplina.

Tenuto conto che, per alcuni settori amministrativi, il Legislatore prevede l’applicabilità del favor rei alle disposizioni sanzionatorie, come ad esempio in campo tributario di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 3 del D.Lgs. n. 472/19973, la Corte Costituzionale evidenzia come il differente e più favorevole trattamento riservato dal Legislatore ad alcune sanzioni trova fondamento nelle peculiarità che caratterizzano le rispettive materie e non si presta, conseguentemente, a trasformarsi da eccezione a regola4.

1 settembre 2016

Nicola Monfreda

1 La Corte Costituzionale ha escluso che l’applicazione retroattiva della lex mitior in materia di sanzioni amministrative sia costituzionalmente necessitata (ordinanze n. 245 del 2003 e n. 501 del 2002). In particolare, nella sentenza 23-11-2006, n. 393, si afferma che il regime giuridico riservato alla lex mitior, e segnatamente la sua retroattività, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25, secondo comma, della Costituzione, in quanto la garanzia costituzionale, prevista dalla citata disposizione, concerne soltanto il divieto di applicazione retroattiva della norma incriminatrice, nonché di quella altrimenti più sfavorevole per il reo. Da ciò discende che eventuali deroghe al principio di retroattività della lex mitior, ai sensi dell’art. 3 Cost., possono essere disposte dalla legge ordinaria quando ricorra una sufficiente ragione giustificativa.

2 Il Tribunale ordinario di Como, con ordinanza emessa il 27 marzo 2015, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non prevede l’applicazione all’autore dell’illecito amministrativo della legge successiva più favorevole.

3 Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato. Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo.

4 La stessa Corte Costituzionale, nell’ordinanza n. 245 del 2003, aveva analogamente ribadito che il differente e più favorevole trattamento non irragionevolmente riservato dal legislatore alla disciplina delle sanzioni amministrative tributarie e valutarie, trovando fondamento nell’innegabile peculiarità sostanziale che caratterizza le rispettive materie, non si presta a essere messo a raffronto con la disciplina dettata dalle norme impugnate (decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 – Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio) né tantomeno a essere esteso in via generale, trasformandosi da eccezione in regola.