Vendite su eBay e altre piattaforme ecommerce: quando bisogna aprire partita IVA?

I presupposti di commercialità delle attività imprenditoriali con distinzione tra profili civilistici e fiscali: alcuni fondamentali principi da valutare per capire se l’attività occasionale rileva ai fini fiscali per l’apertura della partita IVA.
Molto interessante per chi opera vendite tramite piattaforme online come Ebay o similari e deve valutare se aprire la partita IVA.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6853 dell’8.4.2016, ha chiarito i presupposti di commercialità delle attività imprenditoriali, distinguendo tra profili civilistici e fiscali.

 

 

Il caso: l’AdE contesta a un seller eBay il mancato pagamento dell’IVA

Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con la quale, in sede di rinvio a seguito di sentenza della medesima Corte di Cassazione, n. 17731 del 2007, era stato accolto l’appello del contribuente e dichiarati illegittimi gli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti per IVA relativa agli anni 1994 e 1995, ai sensi dell’art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di p.v.c. della Guardia di finanza, nel quale era stato rilevato che il contribuente, in occasione di numerose aste, aveva acquistato oggetti preziosi per un importo complessivo di circa L. 700.000.000, poi rivenduti, con conseguente contestazione di svolgimento di attività abituale d’impresa, ex art. 4 del citato d.P.R. n. 633 del 1972, i cui ricavi erano quindi soggetti ad IVA.

 

Corte d’appello: le vendite online effettuate per pochi mesi e senza organizzazione di mezzi e persone non configurano lo svolgimento di attività d’impresa

Il giudice d’appello aveva invece ritenuto che le operazioni di acquisto di oggetti preziosi, complessivamente svoltesi nell’arco di nove mesi, erano avvenute per un periodo di tempo limitato, con la conseguenza che l’ipotizzata attività di commercio non era stata esercitata in modo abituale e continuativo, né, peraltro, l’Ufficio, ad avviso dei giudici di merito, aveva individuato alcun elemento a dimostrazione di una sia pur minima organizzazione di mezzi e persone, necessaria per la gestione e la vendita di un così consistente quantitativo di merce.

Il giudice di secondo grado aggiungeva inoltre che non era giustificata neanche la mancata detrazione, da parte dell’Ufficio, dell’IVA sugli acquisti, in base all’art. 55 del detto d.P.R. n. 633/72.

 

Il ricorso dell’AdE: l’attività di impresa in senso tributaristico può avvenire anche senza struttura organizzativa

L’Agenzia denunciava allora davanti alla Corte la violazione degli artt. 1, 4 e 53 del d.P.R. n. 633 del 1972, formulando il seguente quesito: se

sono da considerare effettuate nell’esercizio di impresa commerciale, nel senso tributaristico di tale nozione, e dunque imponibili le operazioni effettuate anche senza l’ausilio di una struttura organizzativa, purché l’attività commerciale venga svolta in maniera abituale e professionale, con ciò intendendosi escludere unicamente gli atti isolati, ben potendo un progetto protratto per un tempo ragionevole, ancorché finalizzato, eventualmente, al compimento di un’unica operazione speculativa, integrare attività d’impresa e, dunque, se nel caso di specie, in cui il contribuente aveva acquistato all’asta nell’arco di circa 9 mesi, partecipando a circa 70 sedute, preziosi per il valore di L. 710.000.000, successivamente non rinvenuti presso l’abitazione del contribuente e comunque da questi, a suo dire, rivenduti, configuri un’attività rilevante ai fini dell’imposizione IVA”.

 

 

Cassazione: se la vendita online non è atto occasionale e isolato, configura un’attività d’impresa ed è soggetta ad IVA

Il motivo di impugnazione, secondo i giudici di legittimità, era fondato, dato che, come da giurisprudenza della Corte, la nozione tributaristica dell’esercizio di imprese commerciali non coincide con quella civilistica, in quanto l’art. 4, c. 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, in tema di IVA, così come l’analogo art. 55, comma 1, del TUIR, intende come tale

“l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva”,

delle attività indicate dall’art. 2195 c.c., anche se non organizzate in forma di impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale, anche se non esclusiva (cfr Cass. n. 20433 del 2011; in tema di imposte sui redditi, Cass. nn. 17013 e 17894 del 2002, 27211 del 2006, 19237 del 2012).

Quanto alla normativa comunitaria, evidenzia ancora la Corte, la nozione di “soggetto passivo” viene definita in relazione a quella di “attività economica“, la quale, a norma dell’art. 4, par. 2, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, comprende ogni operazione che comporti lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi “un certo carattere di stabilità” (cfr Cass. n. 25777 del 2014).

L’espressione “esercizio per professione abituale” dell’attività va intesa, quindi, più semplicemente, come esercizio dell’attività in via abituale, cioè non meramente occasionale, occorrendo, cioè, che l’attività sia svolta con caratteri di stabilità e regolarità e che si protragga per un apprezzabile periodo di tempo, pur se non necessariamente con rigorosa continuità.

Tali requisiti non sono, pertanto, ravvisabili nel caso di atti isolati di produzione o commercio, anche se non può escludersi la qualità di imprenditore in colui il quale compia un unico affare, di non trascurabile rilevanza economica, a seguito dello svolgimento di un’attività che abbia richiesto una pluralità di operazioni (in tal senso, con specifico riguardo all’IVA, cfr. Cass. nn. 1987 del 1984; 3690 del 1986; 2021, 3406 e 4407 del 1996; 10430 del 2001; 9776 del 2003).

Nella fattispecie all’esame della Corte costituivano dunque circostanze di fatto accertate dal giudice di merito e non specificamente contestate:

  • la partecipazione del contribuente a decine di aste nell’arco di numerosi mesi;
  • l’acquisto in dette aste di oggetti preziosi dati in pegno di valore complessivo elevato, pari ad alcune centinaia di milioni di lire, anche se singolarmente di valore non pregiato;
  • la successiva vendita dei beni (ad acquirente non identificato), in tempi relativamente brevi (al massimo un anno, un anno e mezzo).

 

Alla stregua dei principi sopra enunciati i giudici di legittimità ritenevano dunque che il comportamento del contribuente possedesse indubbiamente i requisiti per essere qualificato come esercizio di impresa commerciale;

Laddove, per giungere a tale conclusione, era sufficiente rilevare:

  • la regolarità e sistematicità delle operazioni di acquisto dei beni, in un arco temporale di durata tutt’altro che trascurabile;
  • l’elevato numero dei lotti e il valore complessivo molto rilevante dell’investimento;
  • la rivendita totale dei beni.

 

Tutto ciò rappresentava infatti non già lo svolgimento di un atto di commercio meramente occasionale ed isolato, bensì l’esercizio di una attività commerciale stabile, complessa e articolata, la cui configurabilità non poteva escludersi quand’anche la rivendita degli oggetti fosse stata effettuata in unico contesto, circostanza irrilevante in quanto la vendita “in blocco“, oltre a poter essere frutto di mera casualità, non era comunque idonea, in ragione della complessità dell’attività e della molteplicità delle operazioni a monte, a ridurre la fattispecie ad atto isolato di commercio, improntando tali caratteristiche la natura dell’intera vicenda.

 

 

GdF e AdE contro i falsi venditori occasionali online

vendite online partita ivaA completamento di quanto evidenziato a commento della sentenza in esame, si sottolinea anche che un fenomeno analogo, esploso in questi ultimi anni, è quello delle aste on line.

La Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate hanno già avviato, in questi ultimi anni, una serie di indagini all’interno di tale fenomeno, per scovare i falsi venditori occasionali che dovrebbero:

  • iscriversi come venditori professionali,
  • aprire un account business
  • e dichiarare al fisco le somme percepite.

Il trucco, in sostanza, è iscriversi come venditori occasionali, mentre in realtà viene posta in essere una vera e propria rivendita professionale.

 

Vendere online senza partita IVA: attenzione a non superare 1000 € per 5 oggetti all’anno

La stessa eBay, a seguito dell’avvio di tali indagini, ha provveduto peraltro negli anni passati ad inviare una e mail a quegli utenti che hanno guadagnato cifre dai mille euro in su: nel messaggio si leggeva che i gestori del sito avevano ricevuto dalla Guardia di Finanza una richiesta di informazioni relativamente agli utenti residenti in Italia a cui eBay aveva emesso fatture annue superiori a 1.000 euro, precisando anche che i suddetti utenti dovevano aver venduto cinque o più oggetti nel corso di ogni anno.

Quando le transazioni superano una certa soglia, il venditore non è quindi più considerato occasionale, ma professionale, e pertanto deve aprire la partita Iva e deve pagare le imposte sulla parte di guadagno ottenuta.

 

Sullo stesso argomento leggi anche: I dati sulle vendite eBay possono far scattare l’accertamento fiscale induttivo

 

15 settembre 2016

A cura di Giovambattista Palumbo