Il socio accomandatario di SAS risponde per i debiti fiscali della società anche cessata

tempi duri per i contribuenti che rivestono la qualifica di socio accomandatario in una SAS: la Cassazione ha confermato che l’accomandatario risponde illimitatamente davanti al fisco per i debiti della società di cui faceva parte, anche se questa è cessata e cancellata dal registro delle imprese

La responsabilità illimitata dell’accomodatario per i debiti fiscali

Tempi duri per i contribuenti che rivestono la qualifica di socio accomandatario. La Suprema Corte, con una serie di recenti pronunce, è tornata a riaffermare un principio già consolidato in giurisprudenza, ovverosia quello per cui l’accomandatario risponde illimitatamente davanti al fisco per i debiti della società di cui faceva parte, anche se questa è cessata e cancellata dal registro delle imprese.

Ordinanza n. 11683 del 07.06.2016.

sentenza corte di cassazioneCon il pronunciamento in esame i giudici di legittimità, accogliendo il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, hanno nuovamente chiarito che – nel caso di estinzione di una società di persone conseguente alla cancellazione dal Registro delle Imprese – si determina un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, ovvero illimitatamente in base al regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate (in tal senso anche CTR Lombardia Milano Sez. VI, Sent., 12-01-2016, n. 40).

Che cosa era successo?

La CTR di Potenza aveva accolto l’appello proposto dal socio accomandatario di una Sas, estinta e cancellata dal registro delle imprese, contro la decisione della CTP relativa ad un avviso di accertamento per Iva ed altri tributi non corrisposti nell’anno 2005.

Secondo i giudici regionali il fisco non avrebbe potuto avanzare alcuna pretesa nei confronti del socio, dal momento che risultava pacifico che la cancellazione della compagine sociale era avvenuta in epoca anteriore alla notifica dell’accertamento (eseguita sia nei confronti della società che del liquidatore), mancando tra l’altro alcuna prova che il socio avesse riscosso delle somme dal bilancio di liquidazione. Inoltre, la pretesa azionata dall’erario non poteva dirsi ancora definitiva e doveva ritenersi che il creditore ne avesse ignorato l’esistenza considerato che aveva provveduto ad azionare la stessa a distanza di tempo (quattro anni dalla suddetta cancellazione).

I giudici di legittimità, accogliendo il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, hanno censurato l’operato dei giudici regionali poiché gli stessi avevano “escluso la responsabilità del socio accomandatario di società di persone estinta in epoca anteriore alla notifica degli avvisi di accertamento nei confronti del sodalizio e del socio accomandatario applicando estensivamente la disciplina di cui all’art. 2495 c.c. prevista in tema di società di capitali”1.

Visto che, secondo il costante orientamento della Corte, il regime della responsabilità del socio succeduto è da ricondursi a quello dei debiti sociali ai quali erano soggetti in pendenza della società, i giudici di seconde cure avevano fatto un mal governo di tali principi non essendo revocabile in dubbio che alle società in accomandita semplice non si applica la speciale disposizione ex art. 2495, c. 2, e che il socio accomandatario è illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali alla stregua di quanto previsto dall’art. 2313 c.c., c. 1.

Di conseguenza risultavano errate le affermazioni della CTR sia quando aveva

“richiesto la prova da parte dell’ufficio della riscossione di somme in base al bilancio di liquidazione” e sia quando aveva ipotizzato che la definitività della pretesa costituisse “elemento essenziale per il subentro del socio nella posizione della società cessata”;

in quest’ultimo caso, scrivono i giudici, appare evidente che

“che il successore non può che subentrare nelle ragioni creditorie anche in itinere prospettate dal preteso creditore, potendo egli per l’appunto adeguatamente contrastarle nelle sedi opportune, ma subendo, in caso di inerzia, le conseguenze proprie del soggetto chiamato a succedere ex lege, sia pure in modo sui generis, per come affermato dalle S.U. di questa Corte, all’ente cessato”.

Ordinanza n. 13805 del 06.07.2016.

cassazione reato indebita compensazioneTale pronunciamento risulta particolarmente interessante poiché, oltre a delineare ulteriormente il perimetro di responsabilità del socio accomandatario, contribuisce anche a chiarire quali siano le reali coordinate operative del beneficium excussionis previsto dall’art. 2304 c.c..

In questo caso, il contribuente aveva impugnato una cartella di pagamento, relativa al periodo d’imposta 2005. La stessa gli era stata notificata in qualità di socio accomandatario e concerneva imposte (Iva, Irpef, Irap) e sanzioni divenute definitive a seguito della mancata impugnazione dell’avviso di accertamento da parte della società di cui faceva parte (80% delle quote), cancellata nel marzo del 2006.

Entrambi i giudici di merito avevano dato ragione al contribuente, annullando la cartella impugnata. In particolare, secondo i giudici regionali molisani, il fisco avrebbe potuto richiedere al ricorrente solamente “l’equivalente della somma conferita e tale richiesta poteva essere effettuata solo dopo infruttuosa escussione del patrimonio sociale, attesa la responsabilità illimitata e solidale del socio prevista dall’art. 2291 c.c., da esigersi pur sempre (a norma dell’art. 2304 c.c.) allorché vi sia prova che il creditore non abbia potuto soddisfarsi sul patrimonio della società”.

Visto che, nel caso di specie, il fisco aveva omesso di fornire tale prova, lo stesso (a parere dei giudici) avrebbe potuto agire unicamente per ottenere l’equivalente della quota conferita, la quale, tuttavia, risultava di ammontare diverso da quello preteso in cartella.

La Suprema Corte, esaminati i due motivi di ricorso dell’Amministrazione finanziaria, ha accolto le doglianze di parte pubblica, chiarendo nuovamente che il beneficio di escussione previsto dall’art. 2304 c.c. ha un’efficacia limitata alla sfera esecutiva2.

Questo significa che, se da un lato, il creditore sociale “insoddisfatto” può rivolgersi coattivamente contro il socio solamente dopo aver agito infruttuosamente sui beni della società, dall’altro, non osta alcunché alla possibilità per lo stesso di

“d’agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, sia per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest’ultimo, sia per poter agire in via esecutiva contro il medesimo, senza ulteriori indugi, una volta che il patrimonio sociale risulti incapiente o insufficiente al soddisfacimento del suo credito.” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1040 del 16/01/2009; Conformi: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13183 del 26/11/1999; Cass. Sez. L, Sentenza n. 3211 del 04/03/2003; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28146 del 17/12/2013)”3.

Ma le indicazioni della Suprema Corte non si fermano qui.

In primis, infatti, gli Ermellini hanno osservato che i giudici regionali avevano agito erroneamente nel limitare la responsabilità illimitata e solidale del socio accomandatario alla sola quota conferita, posto che una tale esegesi si poneva in netto contrasto con il regime previsto e cristallizzato pacificamente dall’art. 2313 c.c..

In secondo luogo, hanno censurato l’operato dei giudici di seconde cure relativo all’aspetto della vicenda legata alla intervenuta estinzione e cancellazione della società

“atteso che le obbligazioni che nella specie di causa si fanno valere sono rette dagli specifici titoli fondati sulle menzionate norme degli art. 2313 – 2403 c.c., e perciò senza necessità che si dimostrati da parte della creditrice – esattrice che vi è stata specifica ripartizione dell’attivo sociale risultante dal bilancio finale di liquidazione (rispetto alla qual cosa l’obbligazione dello S. è del tutto autonoma ed indifferente)”.

Ordinanza n. 14156 del 11.07.2016.

corte di cassazione sugli accertamenti studi di settoreIl pronunciamento in esame risulta molto interessante perché contribuisce a chiarire agli operatori la reale fondatezza di una contestazione che, sovente, viene opposta dai contribuenti in occasione dell’estinzione delle società di persone, ovverosia quello della legittimazione passiva del soci.

Nel caso in esame, il fisco aveva notificato nel 2010 al socio accomandatario di una Sas (in qualità di coobbligato) l’avviso di accertamento per Iva, Irap e relative sanzioni, relativo all’anno d’imposta 2004, emesso a carico alla compagine sociale di cui aveva fatto parte (quota al 90%). La stessa, infatti, risultava cancellata dal registro delle imprese in data 30.12.2004.

Il contribuente in questione si era difeso eccependo la propria carenza di legittimazione passiva, circostanza che a suo dire derivava “a cascata” dalla cessazione e cancellazione della società accertata.

Se la Commissione provinciale aveva respinto il ricorso, quella regionale aveva accolto il gravame dell’appellante poiché l’Ufficio aveva avanzato la sua pretesa nei confronti di un soggetto inesistente, non considerando che

“con l’estinzione viene meno la soggettività e la capacità processuale della società nonché della rappresentanza dei liquidatori, onde i creditori possono fare valere le proprie pretese nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, giacché “titolari di una nuova ed autonoma azione contro gli ex soci”.

La Suprema Corte, a seguito del ricorso dell’Amministrazione finanziaria, ne ha accolto le censure, motivando il proprio ragionamento in modo chiaro e lineare.

Da un attento esame dei fatti processuali, infatti, era risultato evidente che il fisco aveva proceduto a notificare l’atto impositivo in questione sia alla società estinta che direttamente al socio, menzionandone la relativa qualità nell’atto impugnato.

Inoltre, dopo aver richiamato la disciplina codicistica in materia di responsabilità del socio accomandatario, i giudici di legittimità hanno avuto cura di chiarire che

“la creditrice Agenzia non ha bisogno di esercitare una nuova ed autonoma azione contro i soci, azione che il giudicante ha esplicitamente limitato all’epoca successiva alla cancellazione della società, perché invece l’Agenzia creditrice può avvalersi della medesima azione che le competeva anche prima della cancellazione della società e sul solo presupposto di non essere stata soddisfatta delle proprie pretese”4.

Riflessioni.

Lo schema societario della società in accomandita semplice, disegnato dal nostro codice civile, era ed è abbastanza chiaro e completo.

I suoi soci sono distinti in due categorie (art. 2313 c.c.): i soci accomandatari, che rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali, e i soci accomandanti che rispondono limitatamente alla quota conferita.

L’inclusione delle obbligazioni tributarie tra le obbligazioni sociali per le quali è prevista la responsabilità illimitata del socio accomandatario discende dalla circostanza che tale disposizione normativa deve qualificarsi, come una norma a oggetto generale, nel senso che il suo oggetto è il genere dell’obbligazione sociale, all’interno del quale debbano essere ricomprese anche le obbligazioni tributarie5.

Una lettura restrittiva della norma, limitata cioè unicamente alle obbligazioni di origine negoziale, con esclusione di quelle che rinvengono la loro fattispecie genetica nella legge, come nel caso delle obbligazioni tributarie, finirebbe con il vanificare, infatti, la portata precettiva di carattere generale della disposizione.

Impostazione condivisa anche dai giudici di legittimità, i quali, proprio in materia di responsabilità illimitata dei soci accomandatari, hanno ritenuto che

“nessuna norma speciale tributaria deroga in tema di responsabilità alla disciplina generale prevista dal codice civile per i crediti sorti per le attività sociali.

È senz’altro esatto che la soggettività passiva ai fini dell’Iva è riconosciuta alla società di persone, ma nulla esclude che, se la società è inadempiente, il Fisco non abbia la stessa tutela che hanno tutti i creditori di una società di persone e non possa rivolgersi quindi a tutti i soci che, anche nei confronti del Fisco, hanno responsabilità solidale e illimitata, anche se sussidiaria” (Cass. civ. 1592/2001)6.

Con particolare riferimento alle vicende che possono verificarsi “a cavallo” dell’estinzione della società, è risultata particolarmente interessante tra gli addetti ai lavori quella relativa a quale efficacia producesse nei confronti dei soci il titolo esecutivo formato contro la società di persone, quando la stessa si sia estinta prima che potesse essere avviata una qualsiasi azione esecutiva ai suoi danni.

Anche a tal riguardo i giudici di legittimità -(con la sentenza n. 18923 del 2013) hanno già fornito a tutti gli operatori le opportune indicazioni per sciogliere quello che appariva un inestricabile nodo “gordiano”7.

In tale arresto, i giudici, dopo aver ricordato le differenti impostazioni dottrinarie in campo, sono giunti alla conclusione che:

“qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dall’art. 299 c.p.c. e segg., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ.; qualora l’evento si sia verificato quando si sia definitivamente formato il titolo esecutivo giudiziale nei confronti della società, il titolo esecutivo contro quest’ultima ha efficacia contro i soci, ai sensi dell’art. 477 cod. proc. civ..

Nei confronti dei soci l’azione esecutiva può essere intrapresa, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; nel caso di società in accomandita semplice cancellata dal registro delle imprese dopo la formazione del titolo esecutivo, l’azione esecutiva da parte del creditore sociale potrà essere direttamente intrapresa, sulla base del medesimo titolo, contro i soci accomandanti nei limiti della quota di liquidazione”.8

Per una completa disamina della fattispecie in esame, si segnala inoltre che nelle s.a.s., come anche nelle s.n.c., sono ammesse deroghe convenzionali al principio della responsabilità illimitata.

Questo significa che i soci, di comune accordo, possono prevedere un sistema di imputazione delle responsabilità per le obbligazioni sociali diverso da quello cristallizzato nel codice civile, ponendo – ad esempio – un limite alla responsabilità dei soci accomandatari.

In questo caso, tuttavia, l’efficacia di un tale accordo avrà una dimensione meramente interna (in primis sul piano del diritto di regresso9), non potendo in alcun modo essere opposto ai creditori sociali (c.d. inderogabilità verso i terzi della responsabilità illimitata), i quali continueranno a beneficiare delle loro prerogative codicistiche.

Infine, per quanto riguarda i soci accomandanti, è opportuno rammentare altresì che il mantenimento del beneficio della responsabilità limitata, di cui godono ex lege risulta subordinato al rispetto di determinate condizioni.

È previsto, infatti, che gli stessi perdano tale beneficio, divenendo illimitatamente e solidalmente responsabili nei confronti dei terzi per tutte le obbligazioni sociali, nel caso in cui:

  • violino il divieto di ingerenza nell’amministrazione della società (art. 2320 c.c.);
  • consentano l’inserimento del proprio nome nella ragione sociale (art. 2314 c.c.).

29 settembre 2016

Massimo Genovesi

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NOTE

1 A tal riguardo, le Sezioni Unite (con la sentenza n. 6070/2013) avevano già avuto cura di specificare agli operatori che “Ed è appena il caso di aggiungere che, per ovvie ragioni di coerenza dell’ordinamento, la medesima conseguenza sistematica non potrebbe non esser tratta anche per quel che concerne gli effetti successori della cancellazione dal registro di una società di persone che non abbia liquidato interamente i rapporti pendenti, quantunque a questo tipo di società non si applichi la speciale disposizione del citato art. 2495, comma 2”.

2 In tal senso anche Cass. civ. n. 49 del 2014; scrivono al riguardo i giudici: “”Il beneficio d’escussione previsto dall’art. 2304 c.c. ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva, nel senso che il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società, ma non impedisce allo stesso creditore d’agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, sia per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest’ultimo, sia per poter agire in via esecutiva contro il medesimo, senza ulteriori indugi, una volta che i patrimonio sociale risulti incapiente o insufficiente al soddisfacimento del suo credito” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13183 del 26/11/1999)”; cfr. ex multis Cass. civ. n. 15036 del 2005; Id. n. 5434 del 1998; Id. n. 12912 del 1997; Id. n. 8011/1992. In materia di lavoro cfr. Cass. civ. n. 15713 del 2004; in materia di previdenza sociale cfr. Cass. civ. n. 3651 del 1992.

3 In Cass. civ. n. 7100/1993 osservano puntualmente i giudici: “Opinare diversamente significherebbe imporre al creditore sociale di esperire (ben al di là di ogni ragionevolezza) due consecutivi distinti giudizi di cognizione, il primo nei confronti della società e il secondo (da introdurre dopo il compimento del processo di esecuzione della sentenza di condanna della società) nei confronti del socio. Un così prolungato e logorante iter giudiziario (che sarebbe oltremodo penalizzante per il creditore) non è reso inevitabile dal tenore dell’art. 2304 cod. civ., dovendo per contro il combinato disposto del citato articolo e dell’art. 2313 cod. civ. interpretarsi nel senso che il creditore della società in accomandita semplice non può procedere ad esecuzione nei confronti del socio accomandatario prima dell’escussione del patrimonio sociale, fermo restando che egli può sempre agire in giudizio di cognizione per munirsi, nei suoi confronti, di titolo esecutivo, ed iscrivere se del caso ipoteca giudiziale sui beni immobili del socio, di guisa che, risultato incapiente il patrimonio sociale, egli possa poi, senza ulteriore indugio, intraprendere l’esecuzione su quei beni”.

4 Nella citata sentenza n. 6070, infatti, era stato già specificato che: “il debito del quale, in situazioni di tal genere, possono essere chiamati a rispondere i soci della società cancellata dal registro non si configura come un debito nuovo, quasi traesse la propria origine dalla liquidazione sociale, ma s’identifica col medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica (si veda, in argomento, Cass. 3 aprile 2003, n. 5113). Come, nel caso della persona fisica, la scomparsa del debitore non estingue il debito, ma innesca un meccanismo successorio nell’ambito del quale le ragioni del creditore sono destinate ad essere variamente contemperate con quelle degli eredi, così, quando il debitore è un ente collettivo, non v’è ragione per ritenere che la sua estinzione (alla quale, a differenza della morte della persona fisica, concorre di regola la sua stessa volontà) non dia ugualmente luogo ad un fenomeno di tipo successorio, sia pure sui generis, che coinvolge i soci ed è variamente disciplinato dalla legge a seconda del diverso regime di responsabilità da cui, pendente societate, erano caratterizzati i pregressi rapporti sociali”.

5 Inducono alla riflessione le considerazioni di V. Italia, L’efficacia delle leggi, Milano, 2015; scrive l’autore a pag. 15: “Le leggi, come regola generale, dovrebbero essere sempre efficaci e con un’efficacia costante. Non a caso nel mondo del diritto e nell’obiettivo della giustizia vi è la ‘volontà costante’ (Digesto, 1,2). L’inefficacia delle leggi dovrebbe essere qualcosa di eccezionale, di anomalo, di patologico. Ma anche se è così considerata, l’inefficacia delle leggi non è estranea al diritto. Essa – come l’efficacia – è presente ed ha proprie regole giuridiche, come la malattia fa parte di ogni organismo vivente ed anch’essa ha regole precise”.

6 Molto più recentemente, la Suprema Corte ha ribadito che: “Si aggiunga che il rapporto di sussidiarietà che collega la responsabilità dei soci di società di persone rispetto alla responsabilità della società non esclude la natura solidale della relativa obbligazione (Sez. 2, Sentenza n. 19985 del 30/08/2013, Rv. 627807). Resta, dunque, ferma l’ordinaria responsabilità illimitata e solidale dei soci della s.n.c. (art. 2291 cod. civ.), che opera, in assenza di un’espressa previsione derogativa, anche per le obbligazioni tributarie (Sez. 5, Sentenza n. 10584 del 09/05/2007, Rv. 597332). Infatti, l’imperfetta personalità giuridica della società di persone si risolve in quella dei soci, i cui patrimoni sono protetti dalle iniziative dei terzi solo dalla sussidiarietà, mentre la pienezza del potere di gestione in capo ad essi finisce con il far diventare dei soci i debiti della società (Sez. 3, Sentenza n. 6734 del 24/03/2011, Rv. 617488). Sul piano tributario, essendo il debito del socio il medesimo della s.n.c., egli è, quindi, legittimamente sottoposto all’esazione del debito fiscale accertato nei confronti della s.n.c., alle ordinarie condizioni poste dall’art. 2304 c.c., senza che sia necessario notificargli l’atto impositivo originario e/o gli atti amministrativi conseguenti (Sez. 5, Sentenza n. 19188 del 06/09/2006, Rv. 593856). 2.3. In conclusione, da un lato è da escludere che l’estinzione della società di persone comporti l’estinzione della obbligazione (solidale, illimitata e sussidiaria) del socio, dall’altro è più che evidente che l’intestazione degli atti notificati nel 2008 anche alla estinta s.n.c.. Termogeneral, oltre che al socio T.D., sia unicamente diretta a evidenziare la fonte genetica de debito d’imposta azionato” (Cass. civ. n. 24322 del 2014).

7 Non dimentichiamo mai che l’art. 65 del Regio Decreto sull’Ordinamento Giudiziario definisce la Corte di Cassazione come l’organo supremo della giustizia volto ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge (c.d. funzione nomofilattica), l’unità del diritto oggettivo nazionale ed il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni.

8 In particolare i giudici ricordano che: “La giurisprudenza di questa Corte è nel senso che la portata dell’art. 477 cod. proc. civ. non sia limitata a quella risultante dalla lettera della norma. L’estensione soggettiva del titolo esecutivo costituito dalla sentenza di condanna è stata affermata sia nei confronti del successore a titolo particolare dell’obbligato indicato nel titolo (cfr. Cass. n. 8056/01, n. 601/03, n. 13914/05, nonché di recente Cass. n. 3643/13) che nei confronti dei componenti del soggetto plurimo contemplato nel titolo esecutivo (cfr., per il condominio, Cass. n. 20304/04; per la società di persone, Cass. n. fi / 7353/97, n. 5884/99, n. 613/03, n. 19946/04, n. 6734/11, n. 11311/11, n. 23749/11, già citate). I precedenti da ultimo menzionati, tutti relativi al fenomeno dell’estensione ai soci illimitatamente responsabili del titolo esecutivo formatosi contro la società di persone, fanno leva sull’art. 477 cod. proc. civ., interpretato estensivamente. A maggior ragione questa interpretazione s’impone nella fattispecie oggetto del presente ricorso dopo che le Sezioni Unite hanno esteso al fenomeno estintivo delle società, pur volendo rifiutare improprie suggestioni antropomorfiche derivanti dal possibile accostamento tra l’estinzione della società e la morte di una persona fisica (Cass. S.U. n. 6070/13 cit., in motivazione), la disciplina dell’art. 110 cod. proc. civ. in pendenza di processo. Per quanto già detto, la norma corrispondente, a fini esecutivi, non può che essere, appunto, l’art. 477 cod. proc. civ.”.

9 Questo significa che se il socio beneficiario del patto sia stato tenuto a soddisfare i creditori della società in misura superiore alla quota prevista dal patto stesso, successivamente potrà legittimamente rivalersi sugli altri soci per recuperare la differenza.