La permuta e operazioni permutative: riflessi ai fini IVA

dedichiamo un approfondimento di 10 pagine alla gestione dell’iva nelle operazioni di permuta, facendo particolare attenzione alle permute immobiliari;il contratto di permuta è sempre un’operazione fiscalmente complessa che rischiede di gestire con attenzione il rapporto con l’imposta di registro, la definizione delle impost eipocatastali e la scelta del valore normale del bene

barattoAspetti generali

Oltre alle cessioni e in generale alle operazioni a titolo oneroso, assumono rilevanza ai fini tributari, in particolare per quanto riguarda i profili IVA, sia le permute [in cui un bene viene scambiato con un altro bene], sia le operazioni permutative [cessione di bene contro prestazione di servizi, ovvero scambio tra prestazioni di servizi].

Sotto il profilo civilistico, la permuta si pone – ex art. 1552, c.c. – come il contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento tra le due parti della proprietà di cose, o di altri diritti. L’art. 11, D.P.R. 26.10.1972, n. 633, tratta delle operazioni permutative in ambito IVA.

Lo schema contrattuale della permuta si realizza mediante la manifestazione del consenso dei contraenti [in attuazione del principio consensualistico]. Rispetto al contratto di compravendita, la più notevole peculiarità del contratto di permuta consiste nella natura della controprestazione, rappresentata non dalla corresponsione di un «prezzo» in danaro, bensì dalla cessione di un bene o di un diritto.

Rispetto al contratto di permuta, la nozione di «operazioni permutative» ai fini IVA circoscrive fattispecie diverse, dal momento che il citato art. 11 prevede la separata soggezione all’imposta di cessioni di beni e e prestazioni di servizi effettuate in corrispettivo di altre cessioni di beni o prestazioni di servizi, o per estinguere precedenti obbligazioni [anche se il contratto è unico, le operazioni permutative devono infatti essere considerate autonomamente].

Prestazioni in contropartita di altre prestazioni

Secondo la norma di comportamento n. 150 del 31.10.2002 dell’Associazione Dottori Commercialisti di Milano [ADC, ora Associazione Italiana Dottori Commercialisti, AIDC], le operazioni permutative sono caratterizzate dalla mancata previsione di specifici corrispettivi in denaro, con la conseguenza che, ai fini della determinazione della base imponibile, si deve fare ricorso al criterio del valore normale dei servizi scambiati, ai sensi dell’art. 13, c. 2, lett. d, del D.P.R. n. 633/1972.

Ai sensi dell’art. 6, c. 3, del D.P.R. n. 633/1972, il momento impositivo per le prestazioni di servizi è rappresentato dal pagamento del corrispettivo. Tenuto conto di quanto sopra esposto, nella permuta di servizi l’esecuzione di una delle due prestazioni ha rilevanza ai fini dell’individuazione del momento impositivo, in quanto essa costituisce il pagamento corrispettivo dell’altra.

Il contraente che rende per primo il servizio non è obbligato all’emissione della propria fattura in quanto, non avendo ancora ricevuto il servizio scambiato, non ne ha ottenuto il pagamento, che costituisce momento impositivo per le prestazioni di servizi ai sensi dell’art. 6, c. 3, del D.P.R. n. 633/1972. L’altro contraente, che riceve il servizio, è invece obbligato all’immediata emissione della fattura, indipendentemente dal fatto di non avere ancora eseguito la propria prestazione, avendone comunque già ottenuto il pagamento in natura costituito dal servizio ricevuto, ai sensi dell’art. 6, c. 4, del D.P.R. n. 633/1972.

Orientamenti dell’amministrazione

L’amministrazione finanziaria è intervenuta sulla tematica delle permute di servizi con la risoluzione ministeriale n. 75 del 26.5.2000, relativamente alle operazioni poste in essere nell’ambito di una convenzione stipulata tra la Società Servizi Aeroportuali S.p.a. (SEA) e la società «SEA Parking».

In dettaglio, la SEA, concessionaria dello Stato per la costruzione e la gestione degli Aeroporti di Linate e Malpensa, aveva subconcesso alla SAP [da essa partecipata al 20%] – in data 16.5.1986 – «l’uso delle porzioni di terreno del sedime aeroportuale di proprietà dello Stato» al fine di realizzare opere e infrastrutture per il parcheggio delle auto da parte dei viaggiatori.

La predetta convenzione prevedeva che, a titolo di corrispettivo, la «SEA Parking»:

  1. riconoscesse mensilmente alla SEA una percentuale del 10%, calcolata su tutti gli incassi;

  2. al termine della subconcessione, devolvesse e trasferisse alla SEA senza ulteriori oneri l’edificio completamente attuato, nonché gli impianti, in normale stato di conservazione ed efficienza con tutte le addizioni e migliorie.

La «SEA Parking» aveva realizzato i parcheggi e, il 3.2.1999, alla scadenza della subconcessione, aveva gratuitamente restituito gli impianti alla SEA, la quale, per la realizzazione delle infrastrutture, non aveva sostenuto alcun costo.

La società istante aveva precisato nel quesito che il corrispettivo della subconcessione era in parte determinato in misura monetaria [sotto forma di canoni periodici], e in parte in base al valore della prestazione dell’opera realizzata che, a scadenza, doveva essere devoluta alla subconcedente [ossia alla SEA].

Nel fornire gli opportuni chiarimenti in merito al trattamento IVA della fattispecie, l’amministrazione ha precisato che, mentre i corrispettivi in denaro da versare periodicamente alla SEA erano normalmente soggetti all’imposta – ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 633/1972 – con obbligo di fatturazione da parte della subconcedente al momento di effettuazione dell’operazione, come determinato a norma dell’art. 6 del decreto IVA – alle operazioni di cui al sup. punto b) doveva riconoscersi natura permutativa.

In esse si realizzava, infatti, la corrispondenza tra una prestazione di servizi da parte della SEA [la subconcessione della gestione dei parcheggi], e un’ulteriore prestazione di servizi – resa quale corrispettivo della prima prestazione – da parte della «SEA Parking» [la devoluzione dell’impianto].

Le due operazioni sono state ritenute dunque autonomamente soggette ad IVA ai sensi dell’art. 11, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, e le relative basi imponibili, a norma dell’art. 13, lett. d), sono state ravvisate nei rispettivi valori normali, da determinarsi secondo le modalità indicate dall’art. 14.

In tale contesto, il momento impositivo delle operazioni è stato indicato – essendo le stesse prestazioni di servizi – in quello del pagamento del corrispettivo. Nel caso di specie, tale momento è stato individuato, per entrambe le prestazioni, all’atto della devoluzione del bene, in corrispondenza del quale la SEA, «a fronte della devoluzione dell’impianto, opera una remissione del debito, nei confronti della SEA Parking, rappresentato dalla parte del canone di concessione non corrisposta in denaro, ma mediante la prestazione di costruzione dell’opera “devoluta”, secondo il valore residuo della prestazione alla scadenza che coincide col valore normale dell’opera a tale momento».

Non rileva l’unitarietà del contratto

Nella propria risoluzione n. 331/E del 31.7.2008, l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata in relazione alla fattispecie prospettata da un’associazione rappresentativa delle agenzia di viaggi e turismo.

Il problema interpretativo giuridico-tributario riguardava, in particolare, la corretta interpretazione e applicazione degli articoli 11 e 21 del decreto IVA e dell’art. 4 del D.M. 30.7.1999, n. 340, con riferimento al momento della fatturazione relativamente alle operazioni effettuate dalle agenzie organizzatrici di viaggi rientranti nel regime speciale ex art. 74-ter.

A tale riguardo, l’associazione istante aveva chiesto quale fosse il corretto regime fiscale nei casi in cui l’agenzia organizzatrice di viaggi avesse stipulato un accordo con un’agenzia pubblicitaria, sulla base del quale fosse stata convenuta l’effettuazione di prestazioni pubblicitarie in cambio di pacchetti di viaggi a favore della medesima agenzia pubblicitaria.

Ai sensi del primo comma del menzionato art. 74-ter, le operazioni effettuate dalle agenzie di viaggio e turismo per l’organizzazione di pacchetti turistici verso il pagamento di un corrispettivo globale sono considerate come un’unica prestazione di servizi.

Quanto all’individuazione del momento impositivo, il settimo comma del medesimo articolo lo riconduce:

  • al pagamento integrale del corrispettivo pattuito;

  • [solo se antecedente rispetto al pagamento del corrispettivo] all’inizio del viaggio o del soggiorno.

Per quanto stabilito dall’art. 1, sesto comma, del regolamento attuativo approvato con D.M. 30.7.1999, n. 340, le cennate operazioni di organizzazione di pacchetti turistici «si considerano in ogni caso rese all’atto del pagamento dell’intero corrispettivo e comunque non oltre la data di inizio del viaggio o del soggiorno; non rileva a tal fine l’avvenuto pagamento di acconti. Il viaggio o il soggiorno si considera iniziato all’atto in cui viene effettuata la prima prestazione di servizio a vantaggio del viaggiatore».

L’ipotesi prospettata dall’associazione nel caso di cui alla commentata risoluzione n. 331/E si riferiva a un’offerta indeterminata da parte delle agenzie di viaggi, che lasciava alle agenzie di pubblicità la possibilità di fruire di determinati «pacchetti» turistici, anziché di altri. L’esercizio dell’opzione dell’agenzia pubblicitaria partner individuava quindi il contenuto della prestazione (sicché i servizi offerti potevano essere anche non fruiti, ovvero fruiti in parte).

In tale prospettiva, la scelta dei pacchetti turistici di cui avvalersi definiva anche il requisito della territorialità delle operazioni e il connesso regime d’imposta: l’art. 74-ter, comma 6, del decreto IVA, richiamato dall’Agenzia, dispone infatti che «se le prestazioni rese al cliente sono eseguite in tutto o in parte fuori della Comunità economica europea la parte della prestazione dell’Agenzia di viaggio ad essa corrispondente non è soggetta ad imposta a norma dell’art. 9».

Individuazione del momento impositivo

È stata quindi richiamata nella pronuncia la precedente risoluzione n. 75 del 2000, nella quale il momento impositivo era stato ricondotto a quello di esecuzione della seconda prestazione, che fungeva da corrispettivo della prima.

Secondo le ulteriori precisazioni fornite, il momento impositivo della seconda prestazione andava inteso quale termine ultimo entro il quale ambedue i contraenti potevano emettere fattura a fronte delle prestazioni rese in permuta, senza che ciò impedisse al soggetto che aveva effettuato la prima prestazione di emettere fattura anche prima di tale momento.

Se, quindi, l’agenzia di pubblicità aveva effettuato la propria prestazione in data anteriore alla prestazione dell’agenzia turistica, ambedue i soggetti interessati potevano emettere fattura entro la data in cui veniva resa la prestazione dell’agenzia organizzatrice di viaggi.

Valorizzando inoltre il disposto del sopra richiamato art. 74-ter, comma 7, la risoluzione ha affermato che solamente nel momento in cui il viaggio o il soggiorno potevano considerarsi «iniziati» la prestazione doveva intendersi effettuata ai fini dell’IVA. «Prima di tale momento la prestazione dell’agenzia di viaggio non poteva considerarsi effettuata, in quanto non definita nei suoi contenuti», anche se la controprestazione convenuta in permuta [quella, appunto, dell’agenzia di pubblicità] fosse già stata resa.

Il termine [finale] cui far riferimento per circoscrivere temporalmente il momento impositivo, e con esso quello di emissione della fattura per entrambi i contraenti, non poteva quindi essere anteriore all’inizio del viaggio, giacché il pagamento del «corrispettivo» – consistente nella prestazione di servizi resa dall’agenzia di pubblicità – avveniva «in data antecedente alla definizione del contenuto della controprestazione cui è tenuta l’agenzia organizzatrice di viaggi».

Conguagli in denaro

Per quanto è stato chiarito dall’Agenzia delle Entrate, gli eventuali conguagli in danaro corrisposti dall’agenzia di viaggi non costituiscono autonoma controprestazione, ma devono considerarsi parte della base imponibile dell’operazione da calcolare in ragione del valore normale. Limitatamente a tale importo, da considerare alla stregua di un acconto, la fattura deve essere emessa all’atto del relativo pagamento, ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972.

Con riferimento alla fattispecie rappresentata, se invece il conguaglio in denaro fosse stato corrisposto dall’agenzia di pubblicità in data successiva alla scelta del pacchetto turistico e precedentemente all’inizio del viaggio, l’agenzia di viaggi avrebbe dovuto emettere fattura per l’intero valore della prestazione, ai sensi dell’art. 74-ter, settimo comma, del decreto IVA, all’atto del pagamento di tale importo. In tale ipotesi, infatti, la corresponsione del conguaglio in denaro avrebbe integrato il pagamento dell’intero corrispettivo, coincidente con il momento impositivo della prestazione.

Valore normale

La nozione di valore normale interviene, sia nel settore impositivo delle imposte sui redditi che in campo IVA, allorquando non risulta possibile definire altrimenti il valore di un bene o di un servizio. Tale nozione racchiude una serie «aperta» di criteri che dovrebbero consentire – in presenza, ad esempio, di corrispettivi in natura – di «valorizzare» l’entità che assume rilevanza fiscale.

Relativamente all’IVA, l’art. 14, terzo comma, del D.P.R. n. 633/1972, dispone che «per valore normale dei beni e dei servizi si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi». Il successivo quarto comma stabilisce – in termini del tutto analoghi a quanto previsto per le imposte sui redditi – che «per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe dell’impresa che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini della Camera di commercio più vicina, alle tariffe professionali e ai listini di borsa».

Trasferimento di immobili mediante permuta

Nella prima delle due fattispecie esaminate dal Consiglio Nazionale del Notariato (CNN), nello studio tributario 111-2011/T del 15.7.2011, viene esaminato il corretto trattamento tributario, ai fini delle imposte indirette, del trasferimento di una pluralità di immobili da parte di un’impresa edile [permutante] nei confronti di un ente non commerciale [permutatario].

In particolare, il trasferimento riguardava quattro appartamenti ad uso abitativo [di cui uno edificato da più di cinque anni], a fronte del trasferimento di due terreni, uno agricolo e uno edificabile, in assenza di conguaglio in danaro.

IVA e registro

Ai fini IVA, come osservato dal CNN, vige il principio della tassazione separata dei due passaggi di beni.

Nell’imposta di registro, la permuta assume invece rilevanza come negozio unitario, soggiacendo però anch’essa al principio di alternatività di cui all’art. 40 del T.U. n. 131/1986. Essa, quindi, viene trattata in modo differente a seconda che includa oppure non includa un trasferimento soggetto ad IVA. Nella prima ipotesi [permuta comprendente un trasferimento soggetto ad IVA], l’imposta di registro viene applicata sulle sole cessioni o prestazioni non soggette a tale imposta.

Per «cessione o prestazione non soggetta all’imposta sul valore aggiunto», alla quale si rende applicabile l’imposta di registro, devono intendersi non solamente le operazioni estranee al campo di applicazione del tributo [ad esempio, quelle carenti del presupposto oggettivo dell’IVA], ma – anche le operazioni che sono considerate tali (cioè, non soggette ad Iva) dal primo comma dell’art. 40 del T.U. dell’imposta di registro, e quindi anche le operazioni esenti ai sensi dell’art. 10, numeri 8, 8-bis e 27-quinquies, del D.P.R. n. 633/1972.

Se pertanto la permuta comprende l’effettuazione di un trasferimento di beni esenti [quali sono i fabbricati non strumentali ceduti da imprese costruttrici degli stessi dopo cinque anni dalla data di ultimazione della costruzione], su tale trasferimento – esente da IVA ai sensi del richiamato art. 10, n. 8-bis, del D.P.R. n. 633/1972 – dovrebbe applicarsi l’imposta di registro in misura proporzionale.

Occorre però verificare se il valore della controprestazione a carico del permutatario – assoggettata a registro proporzionale – è in grado di assorbire il valore della prestazione – anch’essa soggetta a registro proporzionale – del permutante, giacché, nell’ipotesi considerata dal CNN [contratto di permuta non comprendente trasferimento soggetto a IVA], l’imposta di registro si applica, una sola volta, sul valore del bene che dà luogo all’applicazione della maggiore imposta [art. 43, lett. b), D.P.R. n. 131/1986].

Ragioni di coerenza, secondo il CNN, inducono a ritenere che la regola valga non solamente nelle operazioni in cui lo scambio coinvolga due soli beni, entrambi sottoposti a registro in misura proporzionale, ma anche rispetto alle fattispecie più complesse, nelle quali uno dei due soggetti del contratto [nel caso esaminato dallo studio, il permutante] trasferisca più beni, alcuni dei quali soggetti ad IVA, e altri a imposta proporzionale di registro.

In tali ipotesi, per risalire alla base imponibile dell’imposta di registro occorrerebbe confrontare i valori dei beni del permutante e del permutatario, limitatamente ai cespiti assoggettabili a imposta proporzionale di registro. Nel caso in cui, prendendo come riferimento il valore dei beni del primo soggetto [permutante], ne discenda un’imposizione proporzionale di registro più elevata, occorrerà riferirsi al valore di questi ultimi come base imponibile per la determinazione dell’imposta, considerando «assorbito» il valore dei beni scambiati dal permutatario, e viceversa.

Lo studio del CNN individua le soluzioni di seguito individuate.

Trasferimento dal permutante al permutatario

Il passaggio degli immobili dal permutante al permutatario risultava assoggettabile a IVA per i tre appartamenti costruiti da meno di 5 anni, non operando per essi il regime di esenzione di cui all’art. 10, n. 8-bis, del D.P.R. n. 633/1972; il trasferimento dell’immobile costruito da più di cinque anni era invece esente ai fini IVA.

Tale trasferimento esente si riteneva comunque escluso anche dall’applicazione dell’imposta proporzionale di registro, dato che il suo valore veniva assorbito in quello dei beni scambiati dal permutatario.

Il trasferimento dei quattro appartamenti, benché formalizzato nell’unico contratto di permuta, doveva considerarsi ai fini IVA alla stregua di quattro distinte operazioni di cessione.

Trasferimento dal permutatario al permutante

Il trasferimento dei beni offerti in corrispettivo dal permutatario al permutante doveva essere assoggettato a imposta di registro, con le seguenti aliquote:

(a) terreno edificabile → aliquota dell’8% [art. 1, comma 1, parte prima, Tariffa allegata al D.P.R. n. 131/1986]; allo stato, l’aliquota applicabile è quella del 9% [per quanto disposto dell’art. 10 del D.Lgs. 14.3.2011, n. 23];

(b) terreno agricolo → aliquota del 15% art. [1, secondo comma, parte prima, Tariffa allegata al D.P.R. n. 131/1986].

L’applicazione del principio di cui all’art. 23, comma 1, del T.U. n. 131/1986 (applicazione di due distinte aliquote di imposta qualora per i singoli beni o diritti siano stati pattuiti corrispettivi distinti) non sia pregiudicata dal fatto che la permuta non prevede un «corrispettivo» nel senso proprio del termine.

Se infatti nel contratto di permuta sono indicati valori distinti per ciascun bene trasferito, la situazione si presenta simile a quella che si verifica nei casi di compravendita plurima, in cui i corrispettivi vengono indicati separatamente per ciascun bene oggetto di trasferimento (da ciò discende, secondo lo studio, la possibilità di applicazione analogica della regola indicata).

Imposte ipotecarie e catastali

Dato che nei casi di permuta immobiliare, secondo l’orientamento manifestato dell’amministrazione finanziaria , l’imposta ipotecaria deve essere applicata una sola volta (essendo connessa alla formalità consistente nella trascrizione del contratto), mentre l’imposta catastale è dovuta su tutte le distinte volture catastali, l’operazione descritta darà luogo:

A. all’applicazione di un’unica imposta ipotecaria proporzionale del 2% sul valore dei beni scambiati dal permutatario, determinato secondo le regole dell’imposta di registro [art. 2, D.Lgs. n. 347/1990], cioè con riferimento a una base imponibile pari al valore del bene che dà luogo all’applicazione della maggiore imposta di registro;

B. all’applicazione, con gli stessi criteri sopra indicati: 1) di un’unica imposta catastale calcolata su una base imponibile pari al valore del bene che dà luogo all’applicazione della maggiore imposta di registro; 2) «oppure, qualora si segua l’attuale orientamento della Agenzia delle Entrate, all’applicazione di tante imposte catastali quante sono le volture relative agli immobili trasferiti». A tale riguardo lo studio indica due soluzioni alternative possibili, la prima avallata da un più risalente orientamento dell’amministrazione finanziaria . È però evidente che il comportamento sopra suggerito sub 1) rende concreto il rischio del controllo e del conseguente recupero a imposizione, con le correlate sanzioni.

Senza grandi possibilità di invocare l’esimente dell’incertezza interpretativa, dato che l’orientamento più recente rappresenta nella sostanza un «ravvedimento» dell’AF. Secondo il CNN, l’imposta catastale dovrà essere applicata [nella misura fissa di euro 200], per le volture eseguite in dipendenza degli atti soggetti a IVA [art. 10, comma 2, D.Lgs. n. 347/1990], cioè per i trasferimenti dei tre appartamenti soggetti a IVA da parte del permutante, e nella dell’1% [art. 10, comma 1, D.Lgs. n. 347/1990] per le volture relative ai restanti trasferimenti (cioè per i trasferimenti dell’immobile esente da parte del permutante, e dei terreni agricolo ed edificabile da parte del permutatario).

Permuta di immobili strumentali

Il secondo quesito esaminato dal CNN riguarda il trattamento, ai fini delle imposte ipotecaria e catastale, della permuta di un bene immobile strumentale per natura effettuata da un permutante soggetto IVA, a fronte di un immobile, parimenti strumentale, da parte di un permutatario soggetto IVA.

In tale fattispecie, secondo quanto espresso dall’autore dello studio l’imposta ipotecaria è dovuta, una sola volta, nella misura proporzionale del 3%, indipendentemente dalla circostanza che i trasferimenti contrapposti siano entrambi assoggettati a IVA, uno assoggettato e l’altro esente da IVA o, infine, entrambi esenti da IVA (art. 1-bis, Tariffa allegata al D.Lgs. n. 347/1990).

Quanto all’individuazione della base imponibile cui applicare il tributo, è osservato nello studio che essa coincide in linea di principio con il valore assunto ai fini dell’applicazione dell’imposta proporzionale di registro [art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 347/1990] oppure, nei casi in cui l’atto è esente dall’imposta di registro, o vi è soggetto in misura fissa, determinata secondo le disposizioni relative a tale imposta [art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 347/1990].

L’imposta di registro si applica nella misura fissa di 200 euro in tutte le fattispecie segnalate [trasferimento soggetto a IVA contro trasferimento soggetto a IVA; trasferimento esente contro trasferimento soggetto a IVA; trasferimento esente contro trasferimento esente], trattandosi di operazioni che, ai fini dell’alternatività, rilevano come trasferimenti soggetti a IVA.

Anche le cessioni di immobili strumentali esenti ex art. 10, n. 8-ter, del D.P.R. n. 633/1972, si considerano infatti soggette all’IVA.

Emerge però un problema quanto alla determinazione della base imponibile, la quale dovrebbe essere individuata nel trasferimento che da’ luogo all’applicazione della maggior imposta di registro: nel caso in esame, infatti, ambedue i trasferimenti – tra loro «corrispettivi» -, riguardando immobili strumentali, determinano l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa.

In queste situazioni, secondo il CNN, la soluzione potrebbe risiedere nell’identificare la base imponibile dell’imposta di registro e dell’imposta ipotecaria «nel valore del bene che, qualora il registro potesse essere applicato in misura proporzionale [fingendo, dunque, l’applicazione del registro in misura proporzionale per entrambi i trasferimenti correlati alla permuta], darebbe luogo all’imposizione di registro maggiore».

«Ad identica soluzione si dovrebbe pervenire per quanto riguarda la base imponibile dell’imposta catastale, ove si accolga la tesi della identità della base imponibile ai fini delle imposte sia ipotecaria, sia catastale con quella determinata secondo i criteri dettati per l’imposta di registro, in virtù del rinvio operato dall’art. 10 D.Lgs. 347/1990 all’art. 2 dello stesso decreto legislativo».

Seguendo però il succitato orientamento dell’Agenzia delle Entrate, l’imposta catastale dovrebbe applicarsi disgiuntamente, in misura proporzionale dell’1% del valore dei beni, rispetto a ogni voltura occorrente a fronte della permuta.

Per la determinazione della base imponibile dell’imposta catastale potrebbe ripresentarsi lo stesso problema evidenziato per l’imposta ipotecaria, il quale potrebbe essere risolto secondo il CNN nello stesso senso ipotizzato sopra, cioè identificando la base imponibile nel valore del bene che, qualora l’imposta di registro fosse stata applicata in misura proporzionale, avrebbe dato luogo alla maggiore imposta.

20 LUGLIO 2016

Fabio Carrirolo