Accertamento sintetico, obbligo di contraddittorio e prova contraria

analizziamo quali sono le possibilità difensive di fronte ad un accertamento sintetico: il contribuente potrà utilizzare anche “argomentazioni logiche”, inoltre: l’obbligo di contraddittorio, la documentazione da produrre, il parere dell’Agenzia confrontato con le decisioni dei giudici di Cassazione

contraddittorio_immagineLa Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 3885 del 26.02.2016, è tornata sui presupposti di legittimità, anche temporali, dell’accertamento sintetico.

In particolare, nel caso di specie era stato rettificato, ex art. 38 del d.p.r. n.600 del 1973, ai fini Irpef, il reddito dichiarato per l’anno 2007 e la Commissione Tributaria Regionale della Campania, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, aveva riformato la decisione di primo grado, che aveva annullato l’atto impositivo, in quanto emesso in assenza del preventivo contraddittorio.

Il Giudice di appello riteneva invece che la nuova norma del citato art. 38, come novellata dalla legge n.122/2010, non potesse essere applicata retroattivamente.

Nel merito rilevava poi che la documentazione allegata al ricorso fosse inidonea a superare la presunzione di cui al comma 4 dell’art. 38 del d.p.r. n.600/1973.

Il contribuente impugnava quindi la sentenza di secondo grado davanti alla Suprema Corte, eccependo in particolare, tra le altre, la violazione e falsa applicazione dell’art.38, commi 4 e 6 del d.p.r. 600173 (nella versione antecedente alla riforma operata dal d.l. n.7812010) e la violazione dei principi costituzionali del giusto procedimento (art.97), di uguaglianza (art.3), difesa (art.24) e capacità contributiva (art.53), oltre che la violazione del principio di cooperazione tra amministrazione finanziaria e contribuente (art.12, comma 7, della legge n. 212/2000).

Tali censure, tuttavia, secondo i giudici di legittimità, erano da considerarsi infondate.

La Cassazione, richiama infatti l’orientamento delle Sezioni Unite (sentenza n. 24823/2015), le quali, nell’affermare che, allo stato attuale della Legislazione, non sussiste nell’ordinamento tributario nazionale una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale, hanno individuato, tra gli altri, un argomento a contrario proprio nel dato normativo dell’art. 22, c. 1, d.l. n.78/2010, convertito nella legge 122/2010, che, come detto, ha introdotto l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale in tema di accertamento sintetico “con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

In ordine poi all’applicabilità retroattiva della novella la Corte di Cassazione richiama l’orientamento secondo cui la questione su quale sia la norma applicabile è questione di diritto intertemporale, che, appunto, va a identificare, nella successione fra più norme, quella da dover applicare; ma il diritto intertemporale necessariamente recede a fronte di esplicita previsione di diritto transitorio, che esso stesso identifica la norma applicabile.

E nel caso di specie, per l’appunto, con disposizione di diritto transitorio, il D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, statuisce che le modifiche apportate al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, producono effetti “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto“, ossia per l’accertamento del reddito relativo a periodi d’imposta successivi al 2009 (cfr. Cass n.21041/2014; ribadita da Cass.n.22746/2015).

La medesima Corte, con l’Ordinanza n. 22744 del 6 novembre 2015, aveva peraltro affermato che “il richiamo alla retroattività è inconferente, giacché la giurisprudenza della Corte, nell’affermare l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione, non sulla retroattività ha fatto leva, bensì sulla natura procedimentale delle norme dei decreti, che ne comporta l’applicabilità in rapporto al momento dell’accertamento (vedi, fra varie, Cass. 19 aprile 2013, n. 9539)”.

Allo stesso modo, secondo la Corte, era poi inconferente l’invocazione del principio del favor rei, “perché l’applicazione di tale principio è predicabile unicamente al cospetto di norme sanzionatorie, non già allorquando si tratti dei poteri di accertamento oppure della formazione della prova, che sono appunto i piani coinvolti dal redditometro. Ed ancor prima, ad ogni modo, va rilevato che la questione su quale sia la norma applicabile è questione di diritto intertemporale che, appunto, va a identificare, nella successione fra più norme, quella da dover applicare”.

E, nel caso di specie, come visto, la disposizione di diritto transitorio è fin troppo chiara.

Era invece fondato l’ulteriore motivo di censura sollevato dal contribuente, per cui era stato, a suo avviso, violato l’art.38, c. 6, del d.p.r. n.600/73, laddove la CTR, pur a fronte della documentazione prodotta a giustificazione delle spese sostenute, si era limitata ad affermare che la stessa era inidonea a provare la fonte non reddituale della capacità di spesa dimostrata dal contribuente, sulla base del rilievo che il contribuente, che aveva dichiarato redditi pari a zero per le annualità 2005, 2006 e 2007, non dimostrava capacità reddituale-patrimoniale per far fronte ai finanziamenti contratti.

Tale motivo di ricorso, come detto, veniva ritenuto dalla Corte fondato, considerato che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. n. 413 del 1991, e il D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010), prevedeva, da un lato (comma 4), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi) e dall’altro (comma 5), contemplava le “spese per incrementi patrimoniali“, cioè quelle di solito elevate sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente.

Restava però salva, in ogni caso, ai sensi del sesto comma dell’art. 38 cit., la prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti, o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (con riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori: Cass. n. 5365 del 2014), o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esisteva o esisteva in misura inferiore (Cass. nn. 20588 del 2005, 9539 del 2013).

Quanto poi alla prova contraria a carico del contribuente, la giurisprudenza della Corte (Cass. n.8995/2014 richiamata dalla successiva Cass.n.25104/2014) ha chiarito che “A norma dell’art. 38, comma sesto d.p.r. n. 600 del 1973, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione“.

La norma chiede dunque qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere).

In tal senso, sottolinea la Corte, va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi, per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate al fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati.

La sentenza impugnata, nella valutazione degli elementi giustificativi addotti dal contribuente, si era dunque discostata dai citati principi.

In conclusione, la determinazione sintetica del reddito avviene dunque oggi mediante la presunzione relativa che tutto quanto è stato speso nel periodo d’imposta sia stato finanziato con redditi del periodo medesimo, ferma restando la possibilità per il contribuente di provare che le spese sono state finanziate con altri mezzi, ivi compresi i redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile.

D’altra parte, poiché le presunzioni poste sono soltanto relative e non assolute, se da una parte la determinazione del reddito, effettuata sulla base dell’applicazione del cosiddetto redditometro, non impedisce al contribuente di dimostrare, in modo concreto, che egli possiede un reddito inferiore, dall’altra, l’accertamento effettuato sulla base dell’applicazione del redditometro dispensa l’Amministrazione Finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti indici di maggiore capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria fatta valere.

È quindi compito del contribuente fornire la “prova contraria“, per dimostrare che il finanziamento delle spese effettuate è avvenuto:

  • con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta;

  • con redditi esenti, o soggetti a ritenuta alla fonte;

  • con redditi che non concorrono alla formazione del reddito imponibile.

L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 24/2013, al par. 2.3, ha comunque affermato che, quale prova contraria, il contribuente potrà utilizzare anche argomentazioni logiche a sostegno di una diversa rappresentazione di fatto della sua situazione reddituale.

13 luglio 2016

Giovambattista Palumbo