Il trattamento fiscale di beni immateriali – brevetti e marchi – per le imprese

Un approfondimento sulla fiscalità di marchi e brevetti: il trattamento contabile delle immobilizzazioni immateriali, le norme del Testo Unico, le imposte indirette, l’alternatività IVA – Registro, le agevolazioni del patent box

Il trattamento fiscale di brevetti e marchi per le imprese – Aspetti generali

Intangible assets o beni immateriali

Il patrimonio dell’impresa può essere spesso costituito dai c.d. «intangible assets», cioè da beni immateriali che posseggono un valore anche rilevante e che godono di tutela giuridica e di precisi effetti economici, contabili, fiscali.

Brevetti e marchi come patrimonio d’impresa

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In particolare, il presente contributo si occupa di beni immateriali come brevetti e marchi, cioè forme particolari di «proprietà intellettuale» che sono tipicamente gestite e sviluppate dalle imprese.

Si rammenta al riguardo che il marchio è il segno distintivo dei prodotti dell’impresa, e svolge una funzione distintiva del prodotto rispetto a quello di altre imprese.

Esso può consistere in un qualsiasi «nuovo segno» rappresentabile graficamente.

La tutela giuridica approntata dal Legislatore prevede per il titolare del marchio il riconoscimento del diritto di utilizzazione in esclusiva, acquisibile attraverso la registrazione nelle forme previste dalla legge; la tutela è altresì presente, anche se attenuata, anche nel caso dei marchi non registrati (c.d. «preuso»).

Va sottolineata la differenza tra il marchio di prodotto (tipico dell’impresa che produce beni) e il marchio di servizio (tipico dell’impresa che produce servizi), tra i quali non vi sarebbe possibilità di confusione, giacché tra tali diverse tipologie di imprese non sussistono (normalmente?) rapporti concorrenziali (cfr. Sent. n. 11179 del 17/07/2003 della Corte di Cassazione, Sez. I civ.).

Invece il brevetto è un titolo giuridico in forza del quale viene conferito al titolare un diritto esclusivo di sfruttamento di un’invenzione, in un territorio e per un periodo ben determinati, con il contestuale diritto di impedire ad altri di produrre, vendere o utilizzare l’invenzione senza autorizzazione.

Marchio e brevetto secondo l’OIC

Secondo il documento OIC n. 24 del 30.5.2005, il marchio è (insieme alla ditta e all’insegna) uno dei segni distintivi dell’azienda (o di un suo prodotto fabbricato e/o commercializzato), e può consistere in un emblema, in una denominazione e/o in un segno (non quindi, esclusivamente, in un segno grafico).

Al marchio che risponde ai requisiti di novità, originalità e liceità è riconosciuta la particolare tutela giuridica fornita dalla registrazione secondo le forme stabilite dalla legge.

Al marchio non registrato, tuttavia, che pure può essere iscritto tra le immobilizzazioni immateriali, è riconosciuta – in presenza di un effettivo ruolo distintivo – una tutela specifica in caso di preuso.

L’iscrizione del marchio tra le immobilizzazioni immateriali può avvenire sia a seguito di produzione interna, sia (più frequentemente) a seguito di acquisizione a titolo oneroso da terzi, mentre non è iscrivibile il marchio ricevuto a titolo gratuito.

I costi interni iscrivibili nella voce B.I.4 vanno intesi in senso restrittivo, essendo essenzialmente riconducibili ai costi diretti interni ed esterni, sostenuti per la produzione del segno distintivo.

Se il marchio è ottenuto mediante l’acquisizione di un’azienda o di un ramo aziendale, esso dev’essere separatamente valutato ed iscritto in bilancio in base al suo valore corrente.

Il periodo di ammortamento è normalmente collegato al periodo di produzione e commercializzazione in esclusiva dei prodotti cui il marchio si riferisce; se tale periodo non è prevedibile, esso si considera comunque non eccedente i 20 anni.

Secondo il medesimo principio OIC n. 24, i brevetti industriali rappresentano il diritto esclusivo, tutelato dalle norme di legge, di sfruttamento di un’invenzione.

All’interno della categoria generale può isolarsi il gruppo dei brevetti per i modelli di utilità e per modelli e disegni ornamentali [ai sensi degli artt. 2592 e seguenti del codice civile], comprendente le invenzioni atte a conferire a macchine o parti di esse, a strumenti, a utensili e ad oggetti di uso in genere, una particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego.

I brevetti acquistati a titolo oneroso sono iscrivibili nell’attivo dello stato patrimoniale nell’esercizio in cui si realizza il passaggio del titolo di proprietà del brevetto. Vanno capitalizzati il costo di acquisto e i costi accessori, compresi i costi di progettazione e i costi per gli studi di fattibilità necessari per l’adattamento del brevetto e per la sua effettiva implementazione nel contesto operativo e produttivo.

Se il contratto di acquisto del brevetto prevede, oltre al pagamento del corrispettivo iniziale [una tantum], anche il pagamento di futuri corrispettivi aggiuntivi commisurati agli effettivi volumi della produzione o delle vendite, è iscrivibile tra le immobilizzazioni immateriali il solo costo inizialmente corrisposto.

Gli ammontari parametrati ai volumi della produzione o delle vendite, degli esercizi successivi si imputano a conto economico e non si capitalizzano tra i costi di acquisto, in quanto direttamente correlati ai ricavi dei medesimi esercizi.

I brevetti realizzati internamente comprendono il costo di produzione interna e i costi accessori relativi alla domanda ed all’ottenimento del brevetto, nei limiti in cui anche tali costi potranno essere recuperati attraverso l’utilizzo dello stesso.

Secondo il principio IAS n. 38, utile a inquadrare natura e caratteristiche del marchio nella prospettiva «contabile internazionale»:
  • le «entità» (ossia le imprese) « … consumano risorse o contraggono debiti per l’acquisizione, lo sviluppo, il mantenimento o il miglioramento di risorse immateriali», tra le quali figurano anche i marchi e i brevetti;

  • la definizione di un’attività immateriale – in generale – richiede che questa sia identificabile per poter essere distinta dall’avviamento, il quale – ove acquisito in un’aggregazione aziendale – « … rappresenta un pagamento effettuato dall’acquirente quale anticipazione di futuri benefici economici derivanti da attività che non sono in grado di essere identificate individualmente e rilevate separatamente»;

  • un’attività – e quindi anche un marchio o un brevetto – soddisfa il criterio dell’identificabilità quale attività immateriale quando:

  1. è «separabile, ossia capace di essere separata o scorporata dall’entità e venduta, trasferita, data in licenza, locata o scambiata, sia individualmente che insieme al relativo contratto, attività o passività»;

  2. (ovvero) «deriva da diritti contrattuali o altri diritti legali indipendentemente dal fatto che tali diritti siano trasferibili o separabili dall’entità o da altri diritti e obbligazioni»;

  • l’entità ha il controllo di un’attività se ha il potere – generalmente, in base a diritti tutelabili – di usufruire dei benefici economici futuri derivanti dalla specifica risorsa, limitando anche l’accesso a tali benefici da parte di terzi.

Sussistono notevoli difficoltà in ordine alla determinazione del fair value dei marchi, definito dallo IAS n. 39 come il corrispettivo al quale un’attività potrebbe essere scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli e indipendenti.

Occorre infatti rammentare che – nel contesto degli IAS – le immobilizzazioni immateriali a vita utile indefinita non sono assoggettabili ad ammortamento sistematico e devono essere assoggettate ad ogni chiusura di bilancio al c.d. impairment test, che consiste in una revisione periodica del valore dell’intangible iscritto in bilancio, con l’utilizzo di metodologie di valutazione fondate sull’attualizzazione dei flussi di cassa futuri o su metodi di mercato1.

La cessione di immobilizzazioni immateriali

Imposte sui redditi

La cessione «autonoma» di immobilizzazioni immateriali (comprensive di marchi e brevetti) può produrre per l’impresa cedente, in ambito IRES, una plusvalenza patrimoniale, a norma dell’art. 86 del TUIR.

Se invece tratta di una cessione inserita all’interno della complessiva cessione dell’azienda o del ramo d’azienda, il plusvalore concorre a formare un’unitaria plusvalenza da cessione d’azienda.

Secondo l’art. 103, c. 1, del TUIR, queste sono le regole di ammortamento dei beni immateriali in rassegna:

  • diritti di utilizzazione di opere dell’ingegno, dei brevetti industriali, dei processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico: quote deducibili in misura non superiore al 50% del costo;

  • costo dei marchi di impresa: quote deducibili in misura non superiore a 1/18 del costo.

L’ammortamento fiscale del brevetto può quindi compiersi in due anni, mentre quello del marchio di impresa può svolgersi in 18 anni, corrispondenti a un’aliquota annuale del 5,56%.

In caso di disallineamento con l’ammortamento civilistico, occorrerà naturalmente tener conto nei bilanci della fiscalità differita.

IVA e registro

La cessione o la concessione in uso di brevetti o di marchi, a norma dell’art. 3, c. 2, n. 2, del D.P.R. n. 633/1972, configura un’operazione rilevante ai fini IVA, e precisamente una prestazione di servizi.

L’eventuale registrazione degli atti medesimi presso gli uffici fiscali prevede quindi l’applicazione dell’imposta di registro nella misura fissa di 200 euro (principio di alternatività IVA – registro).

Cessione unitamente al complesso aziendale

Secondo l’Associazione Dottori Commercialisti di Milano (ora Associazione Italiana Dottori Commercialisti), che ne ha fatto oggetto della propria norma di comportamento n. 158, nel caso del trasferimento di un marchio nell’ambito di una cessione d’azienda, la cessione del marchio non subisce un’autonoma tassazione, perché l’intero corrispettivo percepito per la cessione dell’azienda, o di un suo ramo, soggiace all’imposta di registro.

Gli atti di cessione d’azienda sono infatti soggetti al tributo, e la relativa base imponibile è costituita dal valore venale dell’azienda stessa (art. 51, cc. 1 e 2, D.P.R. n. 131/1986).

Quindi:

  • in presenza di una cessione di beni strumentali «atti, nel loro complesso e nella loro interdipendenza, all’esercizio di un’impresa», sussiste una cessione d’azienda, unitariamente soggetta all’imposta;

  • la cessione «disgiunta» di singoli beni deve invece essere assoggettata ad IVA.

Tra le altre fonti che suffragavano tale impostazione interpretativa, si rammenta la Corte di Giustizia UE, la quale, nella sentenza C-497/01 del 27.11.2003, ha chiarito che, se uno Stato membro si avvale della facoltà di escludere da imposizione ai fini IVA le cessioni aventi ad oggetto aziende o parti delle stesse, tale regola va applicata a qualsiasi trasferimento di una universalità totale o parziale di beni [comprensiva anche degli elementi immateriali].

Il principio enunciato con riguardo ai marchi dovrebbe poter essere trasferito anche ai brevetti per invenzioni industriali.

Marchio, pubblicità, inerenza

Il marchio dell’impresa può assumere rilevanza nel contesto della determinazione del reddito e del relativo accertamento, in quanto oggetto della pubblicità diffusa dall’impresa, generatrice di costi deducibili.

Nell’ambito delle attività di controllo sostanziale del fisco, si sono verificate contestazioni fondate sulla presunta non inerenza di costi pubblicitari sostenute in aree geografiche in cui la società contribuente non era presente.

Su tale questione è intervenuta la Corte di Cassazione con sentenza n. 3770 del 25.2.2015. Il problema sottoposto ai giudici di legittimità era appunto il seguente:

«se … le spese pubblicitarie per la divulgazione del marchio aziendale in aree in cui, non essendo presente alcun punto vendita, i prodotti pubblicizzati non sono ancora commercializzati, debbano essere considerate inerenti all’esercizio dell’impresa e, pertanto, deducibili».

Sul punto in discussione, la Cassazione ha affermato che

«la pubblicità da tempo non svolge più un ruolo puramente informativo limitato alla notizia dell’esistenza di un prodotto già introdotto sul mercato, poiché lo sviluppo della produzione industriale di massa ha fatto assumere al messaggio pubblicitario la funzione di sensibilizzare preventivamente l’interesse dei consumatori verso beni o servizi ancora non offerti concretamente: un tal tipo di spesa deve perciò essere qualificata come inerente all’esercizio d’impresa anche quando sia sostenuta prima ancora che l’offerta del bene o del servizio pubblicizzato si sia in concreto realizzata»

(la Corte richiamava al riguardo i precedenti costituiti da Cass. nn. 14350 del 1999 e 6502 del 2000).

Nell’attuale mercato globalizzato quindi a maggior ragione ai fini della sussistenza del requisito dell’inerenza delle spese di pubblicità non deve necessariamente sussistere un legame territoriale tra l’offerta pubblicitaria e l’area geografica in cui l’impresa svolge la propria attività.

Ciò induce a riflettere, considerando che determinate spese, tra quelle sostenute in vista dell’utilità dell’impresa e perciò ammesse a concorrere analiticamente alla determinazione del reddito imponibile, presentano un carattere immateriale [e spesso anche difficilmente determinabile] che mal ne consente la riconduzione fissa a un apparato produttivo o commerciale.

In particolare per le spese di pubblicità, a parere di chi scrive, non ha senso pretendere che questi componenti reddituali negativi siano correlati, oltre che all’attività dell’impresa, anche alla fisica materialità del suo insediamento in un luogo determinato, né che debbano essere supportati dalla presenza territoriale di un marchio.

Relativamente a quest’ultimo, va detto che si tratta di un bene [segno distintivo dell’impresa] concettualmente disgiunto rispetto alla struttura produttiva e ai punti-vendita, anch’esso non confinabile entro un «ambiente» o un territorio dato: e nella fattispecie esaminata dalla Corte si era appunto trattato della pubblicizzazione del marchio stesso in assenza di un supporto fisico «locale» dell’impresa.

Questioni differenti, sono quelle che possono riguardare il brevetto, dato che per quest’ultimo si tratterebbe di spese connesse allo sviluppo di innovazioni, la cui inerenza all’attività imprenditoriale va valutata secondo le modalità ordinarie.

Il Patent box

Il regime agevolato del patent box (introdotto dall’art. 1, cc. 37 – 45, della L. 23.12.2014, n. 190) è applicabile a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31.12.2014 (il 2015 per i soggetti «solari»).

Con il D.M. 30.7.2015 sono state introdotte le puntuali disposizioni operative atte a far funzionare il regime, mentre due provvedimenti direttoriali dell’Agenzia delle Entrate (nn. 144042/2015 e 154278/2015) hanno definito, rispettivamente, le modalità di esercizio dell’opzione e la procedura di ruling.

L’Agenzia delle Entrate ha emanato puntuali indicazioni di prassi con la circolare n. 36/E del 1.12.2015.

Infine, la legge di stabilità 2016 (L. 28.12.2015, n. 208) ha apportato modificazioni che circoscrivono l’applicazione del regime fiscale agevolativo sotto il profilo oggettivo e valorizzano il criterio di «complementarietà» dei beni.

È da ultima intervenuta la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 11/E del 7.4.2016, che ha approfondito e sviluppato molte questioni ancora aperte e non completamente risolte dalla circolare precedente (beninteso, si tratta di norme e procedure decisamente complesse, che certo richiederanno sia un adeguata crescita «pratica» e casistica, sia – con tutta probabilità – ulteriori pronunce di prassi per le puntualizzazioni che si renderanno necessarie).

Il regime speciale consiste in una detassazione di parte (il 50% a regime) del reddito imponibile ai fini IRES e IRAP, nonché del relativo valore della produzione netta IRAP, associati all’utilizzo diretto o indiretto di beni immateriali, con l’esclusione dei diritti su opere dell’ingegno (diritti d’autore).

In sostanza, l’agevolazione si estende a brevetti, marchi, know how, e si calcola ipotizzando un «box» (una sorta di conto economico separato) per ogni singolo bene immateriale («intangible») ammesso all’agevolazione.

 

Soggetti ammessi al patent box

Il patent box si applica quindi a tutti i soggetti residenti nel territorio dello Stato, in relazione alle attività produttive di redditi d’impresa, indipendentemente dalla natura giuridica, dalla dimensione e dal settore produttivo di appartenenza degli stessi.

L’agevolazione è fruibile anche dalle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti residenti in Paesi con i quali sia in vigore un accordo per evitare la doppia imposizione e con i quali lo scambio di informazioni sia effettivo.

L’art. 3 del decreto attuativo esclude dal beneficio le società assoggettate alle procedure di fallimento, alle procedure di liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Con riguardo a quest’ultima, l’Agenzia ritiene tuttavia che il beneficio possa comunque spettare qualora la procedura sia finalizzata alla continuazione dell’esercizio dell’attività economica.

Non possono, invece, accedere al regime agevolativo quei soggetti, titolari di reddito d’impresa, che determinano il reddito con metodologie diverse da quella analitica (nuovo regime forfetario, tonnage tax, società agricole che esercitano l’opzione per determinare il reddito su base catastale, ecc.).

Per poter fruire dell’agevolazione, è necessario che colui che esercita l’opzione abbia diritto allo sfruttamento economico dei beni immateriali e svolga attività di ricerca e sviluppo. Ciò consente di collegare il godimento dell’agevolazione all’effettivo svolgimento di un’attività economica che si sostanzia nello sviluppo, manutenzione ed accrescimento del bene stesso.

 

Beni immateriali agevolabili

La normativa di riferimento, ripresa e commentata nella citata circolare n. 11/E, prende in considerazione le tipologie di beni immateriali agevolabili. Rispetto a questi, viene precisato che più beni immateriali collegati da un vincolo di complementarietà possono costituire un solo bene immateriale ai fini del patent box.

Software protetto da copyright

Per software protetto da copyright si intendono i programmi per elaboratore in qualunque forma espressi purché originali quale risultato di creazione intellettuale dell’autore.

Quanto ai requisiti del software, la prova deve risultare da una dichiarazione sostitutiva, da trasmettere all’Agenzia delle Entrate, che attesti la titolarità dei diritti esclusivi su di esso in capo al richiedente, a titolo originario o derivativo [in questo secondo caso specificando il negozio da cui deriva l’acquisto], e la sussistenza dei requisiti di tutela tali da identificare i beni come opere dell’ingegno.

Brevetti industriali

I brevetti industriali agevolabili sono quelli concessi o in corso di concessione, ivi inclusi i brevetti per invenzione, le invenzioni biotecnologiche e i relativi certificati complementari di protezione, i brevetti per modello d’utilità, nonché i brevetti e certificati per varietà vegetali e le topografie di prodotti a semiconduttori.

Per brevetti industriali si intendono:

  1. i brevetti per invenzione;

  2. i brevetti per modello di utilità;

  3. i brevetti per nuove varietà vegetali;

  4. le topografie di prodotti a semiconduttori;

  5. il certificato complementare per prodotti medicinali;

  6. il certificato complementare per prodotti fitosanitari.

Le prove richieste circa la sussistenza dei requisiti necessari possono essere fornite producendo i titoli di proprietà industriale concessi dai competenti uffici nazionali e comunitari, o da Organismi internazionali, variamente denominati.

Marchi di impresa

Per marchi di impresa, ivi inclusi i marchi collettivi, siano essi registrati o in corso di registrazione, si intendono i marchi registrati dai competenti uffici per la proprietà industriale, variamente denominati.

Si fa presente che i marchi rientrano nel regime di patent box italiano e non in analoghi regimi istituiti da altri Stati europei: il motivo di questa scelta è intuibile, dato il peso assunto dal c.d. Made in Italy.

Disegni e modelli giuridicamente tutelabili

Per disegni e modelli giuridicamente tutelabili, si intendono:

  1. le domande di registrazione di disegni e modelli;

  2. i disegni e modelli registrati;

  3. i disegni e modelli comunitari non registrati che posseggano i requisiti di registrabilità, la cui tutela dura per un periodo di tre anni decorrente dalla data in cui il disegno o modello è stato divulgato al pubblico per la prima volta nella Comunità (di cui all’art. 11 del regolamento CE n. 6/2002 del Consiglio, del 12.12.2001, su disegni e modelli comunitari);

  4. il disegno industriale che presenti di per sé carattere creativo e valore artistico (ai sensi dell’art. 2, c. 1, n. 10, della L. 22.4.1941, n. 633 sul diritto d’autore).

Le domande di registrazione sono depositate presso, ed i titoli di proprietà industriale sono rilasciati dai competenti uffici per la proprietà industriale variamente denominati.

La prova dell’avvenuto deposito della domanda può essere fornita mediante ricevuta rilasciata da tali uffici, ovvero, in determinati casi, da dichiarazione sostitutiva del contribuente.

Informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali

Per informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali o scientifiche proteggibili come informazioni segrete, giuridicamente tutelabili, la circolare fa riferimento all’ambito di protezione delle informazioni aziendali riservate, come previsto dall’articolo 39 del TRIPs Agreement (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights), ratificato dall’Italia con la L. 29.12.1994, n. 747, che nell’ordinamento nazionale italiano attribuisce in capo al legittimo detentore un diritto di proprietà industriale, disciplinato agli artt. 98 e 99 del Codice della Proprietà Industriale (D.Lgs. 10.2.2005, n. 30).

In particolare, rientra in tale ambito di applicazione il know-how di cui all’art. 1, lett. i, del regolamento CE n. 772/2004 del 27.4.2004 (definito come «patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove»).

Tale patrimonio è:

  • segreto, vale a dire non genericamente noto o accessibile;

  • sostanziale, vale a dire significativo e utile per la produzione di prodotti contrattuali;

  • individuato, vale a dire descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da verificare se risponde ai criteri di segretezza e sostanzialità.

Le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali segrete sono agevolabili, inoltre, purché abbiano valore economico in quanto segrete e purché siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.

Costituiscono altresì oggetto di protezione i dati relativi a prove o altri dati segreti, la cui elaborazione comporti un considerevole impegno ed alla cui presentazione sia subordinata l’autorizzazione dell’immissione in commercio di prodotti chimici, farmaceutici o agricoli implicanti l’uso di nuove sostanze chimiche.

La prova circa la sussistenza delle condizioni necessarie deve risultare da una dichiarazione sostitutiva da trasmettere all’Agenzia delle Entrate, che attesti la legittima detenzione delle informazioni riservate in capo al richiedente, avendole lo stesso acquisite a titolo originario o derivativo (in questo secondo caso specificando il negozio da cui deriva l’acquisto) e la sussistenza dei requisiti di tutela sopra individuati.

 

Opzione

I soggetti indicati al paragrafo precedente, per poter accedere al regime di tassazione agevolata, devono esercitare un’opzione da comunicarsi all’Agenzia delle entrate con modalità telematiche.

Per i primi due periodi d’imposta di applicazione della norma è necessario utilizzare un apposito modello semplificato da inoltrare telematicamente, direttamente o tramite soggetti incaricati della trasmissione di cui all’articolo 3, commi 2-bis e 3, del D.P.R. n. 322/1998, entro il termine del periodo d’imposta in cui ha inizio il regime di tassazione [il modello è stato approvato con provvedimento prot. n. 144042 del 10.11.2015, ed è disponibile sul sito Internet www.agenziaentrate.gov.it].

A decorrere dal terzo periodo di imposta successivo a quello in corso al 31.12.2014 (cioè, per i soggetti solari, dal 2017 – modello Unico 2018), l’opzione dovrà essere comunicata direttamente nella dichiarazione dei redditi e decorrerà dal periodo di imposta al quale la è riferita.

L’opzione ha durata pari a cinque periodi d’imposta, è irrevocabile ed è rinnovabile.

L’opzione non deve essere necessariamente esercitata con riferimento a tutti i beni immateriali detenuti dai soggetti beneficiari, bensì può essere esercitata, fin dal primo periodo d’imposta successivo al 31.12.2014, per singolo bene immateriale.

Con riferimento all’opzione è possibile esercitare la remissione in bonis di cui all’art. 2, c. 1, del D.L. 2.3.2012, n. 16, convertito dalla legge 26.4.prile 2012, n. 44.

Se quindi, ad esempio, il contribuente non ha esercitato l’opzione per il 2015, ma ha presentato istanza di ruling entro la fine di tale anno, potrà fruire dell’agevolazione a condizione che sia in possesso dei requisiti sostanziali, effettui la comunicazione telematica dell’esercizio dell’opzione utilizzando entro il 30.09.2016 e versi contestualmente l’importo della sanzione di 250 euro.

 

Il Ruling internazionale

ruling internazionale per marchi e brevettiIl ruling all’Agenzia delle Entrate può configurarsi come obbligatorio (in caso di utilizzo diretto del bene immateriale) e facoltativo (in caso di utilizzo indiretto2 e in altre ipotesi).

L’istanza di ruling, indirizzata all’ufficio accordi preventivi e controversie internazionali dell’Agenzia delle Entrate, deve essere trasmessa in carta libera a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento ovvero da consegnare direttamente al citato ufficio che rilascia attestazione di avvenuta ricezione.

La documentazione necessaria può essere presentata o integrata entro 120 giorni (150 giorni per le istanze presentate fino al 31.03.2016) dalla presentazione dell’istanza, unitamente a memorie integrative atte a illustrare e integrare la stessa, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento ovvero direttamente all’ufficio, che rilascia attestazione di avvenuta ricezione.

Per quanto disposto dall’art. 4, c. 3, del decreto attuativo, quando il reddito agevolabile è determinato sulla base dell’accordo con l’Agenzia delle Entrate (in contraddittorio, mediante la valutazione degli «intangibles»), l’opzione diviene efficace dall’anno di presentazione dell’istanza di ruling.

In caso di presentazione di ruling obbligatorio, l’opzione produce efficacia (e, quindi, il quinquennio inizia a decorrere) a partire dall’anno di presentazione dell’istanza di ruling.

Secondo quanto affermato nella circolare, la mancata presentazione o integrazione della documentazione entro i termini previsti causa la decadenza dell’istanza e, conseguentemente, la mancata efficacia dell’opzione effettuata.

Qualora l’istanza di ruling venga nuovamente presentata e correttamente integrata, l’opzione diviene efficace ed il quinquennio inizia a decorrere dall’anno di presentazione della nuova istanza.

Con riferimento al ruling facoltativo, è precisato che, qualora venga esercitata l’opzione e non venga presentata istanza di ruling, l’opzione è comunque efficace e il quinquennio inizia a decorrere; il contribuente determina autonomamente l’ammontare del reddito agevolabile.

Tuttavia, se nel corso del quinquennio il contribuente presenta istanza di ruling facoltativo, lo stesso non può continuare a determinare il reddito autonomamente, ma deve attendere la conclusione dell’accordo con l’Agenzia delle Entrate (per la residua parte del periodo di godimento dell’agevolazione).

Giacché, come già evidenziato sopra, dal periodo di imposta 2017 (Unico 2018), l’opzione verrà direttamente fatta in dichiarazione, potrebbe accadere che il contribuente eserciti l’opzione in Unico 2018 e presenti l’istanza di ruling obbligatorio contestualmente o dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi (nell’anno 2018).

In tale ipotesi, l’opzione diviene efficace a partire dall’anno in cui è depositata l’istanza di ruling (2018), con conseguente impossibilità di fruire dell’agevolazione per l’anno 2017 alla quale si riferisce la dichiarazione e, di conseguenza, l’opzione.

Per ragioni di coerenza e per agevolare l’esercizio dell’opzione, è consentito presentare l’istanza di ruling nel corso dell’anno per il quale si intende fruire dell’agevolazione [nel caso sopra descritto, entro la fine del 2017] e comunicare l’opzione nella dichiarazione dei redditi relativa a tale annualità [Unico 2018]; in tal modo, il patent box può essere fruito a partire dall’anno al quale si riferisce la dichiarazione dei redditi (2017).

La circolare illustra anche le ipotesi di passaggio dal ruling obbligatorio al ruling facoltativo e viceversa, che potrebbe verificarsi nell’ipotesi di operazioni straordinarie aventi l’effetto di mutare la titolarità diretta del bene immateriale (fusioni, scissioni, conferimenti).

 

Effetti

Secondo il decreto attuativo (art. 4, c. 4):

  • nelle more della stipula dell’accordo, i soggetti beneficiari determinano il reddito d’impresa secondo le regole ordinarie;

  • al fine di consentire l’accesso al beneficio fin dal periodo di imposta in cui è presentata l’istanza di ruling, la quota di reddito agevolabile relativa ai periodi di imposta compresi tra la data di presentazione della medesima istanza e la data di sottoscrizione dell’accordo può essere indicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta di sottoscrizione del ruling.

Protraendosi i tempi per la risposta (dato che l’istruttoria potrebbe essere piuttosto lunga e complessa), i contribuenti avranno la possibilità di presentare istanza di rimborso o dichiarazione integrativa a favore di cui all’art. 2, c. 8-bis, del D.P.R. n. 322/1998.

Ipotizzando quindi la situazione di un contribuente che abbia esercitato l’opzione e prodotto istanza di ruling nel 2015, ma abbia sottoscritto l’accordo solo nel 2017, sarà possibile:

  • gestire il periodo di imposta 2015, per il quale il reddito è stato determinato secondo le regole ordinarie, con dichiarazione integrativa a favore;

  • in alternativa, se ne ricorrono le condizioni, presentare istanza di rimborso;

  • gestire il periodo di imposta 2016 con l’ordinaria dichiarazione dei redditi UNICO 2017 da presentare entro il 30.9.2017, con facoltà di includere in tale dichiarazione anche la variazione in diminuzione riferibile al 2015 [la variazione in diminuzione sconterà in tal caso le aliquote IRPEF/IRES e IRAP vigenti per l’anno d’imposta 2016];

  • gestire il periodo di imposta 2017 verrà gestito con la dichiarazione UNICO 2018 da presentare entro il 30.9.2018;

  • in alternativa, fruire dell’agevolazione per le tre annualità considerate – 2015, 2016 e 2017 – nella dichiarazione UNICO 2018 [in tale ipotesi, la somma delle variazioni in diminuzione sconterà le aliquote IRPEF/IRES e IRAP vigenti nel periodo di imposta 2017].

 

Per approfondire: Ruling internazionale: cos’è e come funziona

Determinazione dell’agevolazione patent box

L’agevolazione concessa dal patent box consiste in una variazione in diminuzione – da operare ai fini IRPEF o IRES, nonché ai fini IRAP – per la cui determinazione occorre:

  1. individuare il reddito agevolabile derivante dall’utilizzo diretto o indiretto del bene immateriale;

  2. calcolare il nexus ratio, dato dal rapporto tra i costi qualificati e i costi complessivi, ai sensi dell’art. 9, commi da 2 a 5 del decreto attuativo;

  3. effettuare il prodotto tra il reddito agevolabile e il nexus ratio per ottenere la quota di reddito agevolabile.

La quota di reddito agevolabile non concorre a formare il reddito d’impresa in misura pari:

  • al 30%, per il periodo di imposta successivo a quello in corso al 31.12.2014 [2015];

  • al 40%, per il periodo successivo [2016];

  • al 50% a regime.

Considerando la percentuale a regime del 50%, questo meccanismo può determinare, di fatto, una tassazione ai fini IRES del bene immateriale con aliquota pari alla metà di quella ordinaria e, quindi, pari al 12% tenendo conto della riduzione dell’aliquota IRES al 24% prevista dalla legge di stabilità 2016 a decorrere dal periodo di imposta 2017.

 

Reddito agevolabile

Il reddito agevolabile deve essere individuato per ciascun bene immateriale oggetto dell’opzione. In caso di utilizzo diretto del bene immateriale, si tratta di un reddito figurativo, cioè di una quota stimata – mediante il ruling – di risultato economico attribuibile all’intangible in questione [definito anche come «intellectual property» – IP].

Nel caso di concessione in uso [utilizzo indiretto], il reddito agevolabile è costituito dai canoni derivanti dalla concessione in uso dei beni immateriali, al netto dei costi fiscalmente rilevanti diretti e indiretti a essi connessi.

La documentazione a corredo dell’istanza, da presentarsi entro 150 giorni [per le istanze prodotte fino al 31.3.2016], ovvero entro 120 giorni, da parte del contribuente deve permettere di ricostruire in modo dettagliato il reddito agevolabile per il primo periodo di esercizio dell’opzione. Dato che l’accordo verterà sui criteri e sui metodi di determinazione del reddito agevolabile [non direttamente sul «quantum»], per comprendere la coerenza degli stessi, è necessario quantificare il reddito agevolabile del primo periodo al fine di dimostrare la coerenza dei criteri e dei metodi scelti con il risultato ottenuto.

 

Plusvalenze da cessione

Il regime di patent box prevede anche un trattamento di favore anche in caso di cessione del bene immateriale.

Le plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni immateriali agevolabili non concorrono, infatti, alla formazione del reddito complessivo in quanto escluse, a condizione che almeno il 90% del corrispettivo derivante dalla cessione sia reinvestito in attività di ricerca e sviluppo finalizzate allo sviluppo, mantenimento e accrescimento di altri beni immateriali compresi tra quelli agevolabili.

Secondo quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate, le plusvalenze in questione non dovrebbero ritenersi escluse in toto dall’imponibile ma, costituendo anch’esse «reddito agevolabile», solo nella misura del 30% [per il 2015], 40% [per il 2016], e 50% [a regime] dell’ammontare.

Le attività di ricerca e sviluppo in cui deve essere reinvestito almeno il 90% del corrispettivo possono essere svolte:

    1. direttamente dal soggetto beneficiario dell’agevolazione;

    2. mediante contratti di ricerca stipulati con università o enti di ricerca e organismi equiparati;

    3. mediante contratti di ricerca stipulati con società, anche start up innovative, che non appartengono al gruppo societario del soggetto beneficiario dell’agevolazione;

    4. mediante contratti di ricerca stipulati con società, anche start up innovative, che appartengono al gruppo societario del soggetto beneficiario dell’agevolazione, le quali si siano limitate a fare svolgere le attività di ricerca e sviluppo dai soggetti indicati alle lettere sub b) e c).

L’obbligo di reinvestimento deve essere assolto prima della chiusura del secondo periodo di imposta successivo a quello nel quale si è verificata la cessione.

In caso di plusvalenze realizzate nell’ambito di cessioni di beni immateriali a parti correlate, i criteri e metodi di determinazione del prezzo di cessione e della conseguente plusvalenza possono essere stabiliti mediante ruling, che rimane invece escluso se le plusvalenze sono realizzate mediante cessione di beni immateriali a terze parti indipendenti.

 

Oggetto dell’accordo preventivo

L’accordo preventivo tra i contribuenti e l’Agenzia delle Entrate, connesso all’utilizzo dei beni immateriali, ha ad oggetto:

  1. la preventiva definizione dei metodi e dei criteri di calcolo del contributo economico alla produzione del reddito d’impresa o della perdita in caso di utilizzo diretto dei beni immateriali agevolabili di cui all’art. 6 del decreto patent box;

  2. la preventiva definizione dei metodi e dei criteri di calcolo dei redditi derivanti dall’utilizzo dei beni di cui all’art. 6 del decreto attuativo, in ipotesi diverse da quelle di cui alla precedente lett. A), realizzati nell’ambito di operazioni con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa;

  3. la preventiva definizione dei metodi e dei criteri di calcolo delle plusvalenze di cui all’art. 10 del decreto attuativo, realizzate nell’ambito di operazioni con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.

Gli accordi hanno insomma ad oggetto esclusivo la preventiva definizione dei metodi e dei criteri sopra indicati, al fine di consentire al contribuente di beneficiare del regime agevolativo.

In casi di operazioni con parti correlate estere si rendono applicabili le disposizioni in materia di transfer pricing, con il relativo ruling speciale, mentre se le operazioni sono con parte correlate nazionali o con parti terze resta fermo il potere dell’amministrazione finanziaria di effettuare le ordinarie valutazioni in merito all’eventuale antieconomicità delle operazioni stesse.

Secondo quanto affermato nella circolare, l’accordo non può includere anche i criteri di calcolo del nexus ratio.

 

Variazione in diminuzione

La variazione in diminuzione del 30%, 40% e 50%, deve essere apportata dai contribuenti in sede di determinazione del reddito di impresa.

Per esigenze di semplificazione, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la variazione in diminuzione da operare ai fini IRPEF/IRES debba essere operata, nel medesimo ammontare, anche ai fini IRAP, senza tener conto della diversa modalità di calcolo di tale ultima imposta.

 

Perdite da patent box

Come già sottolineato nella precedente circolare dell’Agenzia delle n. 36/E del primo dicembre 2015, paragrafo 2, se, una volta esercitata l’opzione per l’anno d’imposta 2015, l’impresa verifica che lo sfruttamento economico del bene immateriale genera una perdita fiscale, l’impresa deve rinviare gli effetti positivi dell’opzione agli esercizi in cui lo stesso bene sarà produttivo di reddito.

L’effetto negativo della perdita risulta particolarmente evidente con riferimento ad alcune tipologie di aziende [aziende ad alta tecnologia, aziende farmaceutiche] nelle quali gli IP agevolabili producono per molti anni della loro vita utile, in cui si concentrano ingenti investimenti di ricerca e/o di promozione-lancio sul mercato, ricavi bassi o addirittura nulli.

Nella successiva fase di «maturità» dell’IP, al contrario, i costi subiscono una sostanziale riduzione [se non un azzeramento] e i ricavi incrementano esponenzialmente a seguito dell’affermazione del prodotto sul mercato.

Secondo l’Agenzia, per un corretto funzionamento dell’agevolazione è necessario tenere memoria, attraverso il sistema di tracciatura imposto dall’art. 11 del decreto attuativo, del risultato fiscale differenziale relativo all’IP anche negli esercizi in cui l’azienda non aveva ancora generato l’IP ed esercitato l’opzione per entrare nel regime.

La perdita del singolo IP – anche per la parte relativa al periodo antecedente alla creazione dello stesso – dovrà quindi essere «tracciata» a decorrere dall’anno 2015, anche se l’impresa non ha optato per il regime agevolato.

Le perdite fiscali generate da un determinato IP devono essere mantenute all’interno del regime patent box del solo IP che le ha prodotte, senza alcun impatto sui redditi eventualmente generati da altri IP per i quali sia stata esercitata l’opzione.

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Transfer price – royalties relative all’utilizzo di marchi

27 giugno 2016

Fabio Carrirolo

NOTE

1 Cfr. R. Moro Visconti, «Esiste davvero un valore “normale” per marchi e brevetti?», Il Fisco n. 12 del 24 marzo 2008, pag. 1-2125.

2 Cioè nell’ambito di operazioni con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.