Gestire un’istanza di autotutela tributaria : vademecum

Gestire un’istanza di autotutela non è sempre facile: abbiamo predisposto per i nostri lettori una guida approfondita; esploriamo tanti concetti sull’argomento: quando è possibile l’autotutela, l’autotutela parziale, le responsabilità dell’ufficio se non risponde nei termini, la differenza rispetto all’accertamento con adesione, la soccombenza virtuale, il giudicato, il potere del giudice tributario…

L’AUTOTUTELA – Premessa

autotutela agenzia delle entrateL’interesse verso l’istituto dell’autotutela sorge principalmente dalla necessità di porre un freno al contenzioso tributario, che ritarda o vanifica sia le esigenze del cittadino di vedere riconosciuti i propri diritti sia quelle del fisco di recuperare somme effettivamente dovute all’erario.

L’autotutela è ,quindi ,uno degli strumenti più incisivi e rapidi per evitare che gli errori dell’Amministrazione finanziaria causino un pregiudizio eccessivo al contribuente Anche nell’autotutela tributaria assistiamo non ad una deroga al principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, ma ad una applicazione di questo1.

L’autotutela tributaria determina la capacità contributiva manifestata dal presupposto ovvero la giustizia nell’imposizione.

Ciò a cui mira il contribuente, allorquando sollecita il ricorso all’autotutela, è l’accertamento della infondatezza della pretesa impositiva o dell’indebita corresponsione di una somma effettuata a titolo di imposta al fine della sua restituzione.

Ossia, l’unico interesse sostanziale riconoscibile in capo a tale soggetto è e resta quello a non subire un’ingiusta imposizione.

Con l’entrata in vigore della Costituzione, l’esistenza di un principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria è desumibile dal principio di capacità contributiva previsto dall’art. 53, c. 1, e dal principio di imparzialità nell’azione della pubblica amministrazione, previsto dall’art. 97, espressione ambedue del principio di eguaglianza nell’ambito dei rapporti tributari.

Va considerata, quindi, la necessità per l’operatore di conoscere la prassi amministrativa e la recente evoluzione giurisprudenza in tema di autotutela tributaria.

Il presente contributo vuole analizzare la reale incidenza dell’istituto dell’autotutela tributaria nella dinamica d’attuazione, sostanziale e processuale dell’obbligazione tributaria, fermo restando  che l’istituto dell’autotutela tributaria si armonizza con il precetto, di cui all’art. 53 della Costituzione, secondo il quale i contribuenti hanno il dovere di

concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva“.

L’autotutela è, quindi, uno degli strumenti più incisivi e rapidi per evitare che gli errori dell’Amministrazione finanziaria causino un pregiudizio eccessivo al contribuente.

Uno dei problemi di maggiore rilevanza è quello di capire l’ambito di operatività dell’autotutela, i limiti cui essa è soggetta, nonché la posizione del contribuente

Ratio dell’istituto dell’autotutela

L’istituto dell’autotutela tributaria tende a garantire oltre ai principi dell’art. 97 anche i principi di cui all’art. 53 Cost. e quindi della capacità contributiva, perché appare evidente che una eventuale duplicazione della imposizione, ovvero l’imposizione in carenza dei presupposti soggettivo ed oggettivo incidono e ledono il diritto del cittadino a contribuire alla spesa pubblica in misura non eccedente la propria capacità contributiva.

Lo scopo da perseguire è quello di evitare il vulnus “alla corretta applicazione della legge d’imposta, quale norma di giusto riparto, e, quindi, quale strumento diretto di attuazione dei principi costituzionali”, come disegnati dagli artt. 3, 53 e 97 della Carta fondamentale.

Al contribuente non va richiesto di corrispondere al Fisco più di quanto effettivamente dovuto in base alle norme in vigore; cosa che, altrimenti, urterebbe contro i principi di trasparenza e di giustizia sociale ormai riconosciuti come immanenti a qualunque attività della Pubblica amministrazione.

Il contribuente non può essere chiamato al pagamento di tributi che non siano strettamente previsti dalla legge.

L’autotutela mira alla corretta determinazione dell’imposta, in applicazione dei principi che regolano l’attività impositiva; il fine dell’autotutela è che il contribuente abbia diritto ad una tassazione equa ed informata al principio di capacità contributiva sancito dalla Costituzione.

L’istituto dell’autotutela tributaria si armonizza con il precetto, di cui all’art. 53 Cost., secondo il quale i contribuenti hanno il dovere di

concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva2.

Casi

L’autotutela d’ufficio, cioè senza richiesta da parte del contribuente, si ha nella seguente casistica:·errore di persona; evidente errore logico o di calcolo; errore sul presupposto dell’imposta; doppia imposizione; mancata considerazione dei pagamenti di imposta, eseguiti regolarmente e tempestivamente;mancata documentazione sanata in un momento successivo, entro i termini di decadenza; sussistenza dei presupposti per aver diritto a deduzioni, detrazioni, agevolazioni in precedenza negati; errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’amministrazione.

Il potere di annullamento d’ufficio può essere esercitato in tutte le ipotesi di illegittimità dell’atto sub specie di errore di persona, evidente errore logico o di calcolo, errore sul presupposto dell’imposta, doppia imposizione…, anche se esso sia divenuto definitivo per decorso dei termini per ricorrere, anche se vi è pendenza di giudizio ed anche se non sia stata prodotta alcuna istanza da parte del contribuente.

Le situazioni sopra richiamate, contenute nel D.M. 37/97, non sono tassative, anche perché la casistica non può essere così limitata

Autotutela tributaria

L’autotutela, in materia tributaria, denota caratteri peculiari e differenti rispetto all’autotutela amministrativa e si pone in una prospettiva diversa rispetto a quest’ultima.

Occorre conciliare il principio fondamentale o dogma dell’indisponibilità dei crediti tributari (rectius: il dovere di esigere le entrate tributarie per gli atti di imposizione divenuti definitivi) e la necessità di assicurare la par condicio tra i contribuenti con interessi concreti, riconducibili a valori garantiti dalla Costituzione, quali l’interesse ad un’equa ripartizione del carico fiscale, l’interesse ad una tassazione giusta e conforme alle regole dell’ordinamento, l’interesse ad evitare inutili o antieconomiche (cd. rapporto costi-benefici ovvero rapporto tra l’esiguità della pretesa e i costi amministrativi connessi alla difesa della pretesa stessa) spese giudiziali.

Nell’esercizio dell’autotutela in materia tributaria, diversamente da quella amministrativa, non è fondamentale una preliminare valutazione e comparazione tra l’interesse pubblico all’annullamento e gli altri interessi secondari pubblici e privati eventualmente coinvolti, con particolare riferimento all’eventuale consolidamento di situazioni o posizioni giuridiche sorte sulla base dell’atto (provvedimento) oggetto di riesame che possono rendere totalmente o parzialmente inattuabile il provvedimento emesso in sede di autotutela.

Si sostiene che, diversamente dal diritto amministrativo (in cui l’esercizio del potere di annullamento è subordinato alla duplice condizione dell’illegittimità dell’atto e dell’esistenza di un interesse pubblico «specifico ed attuale» alla rimozione del provvedimento) in campo tributario, trattandosi di annullare provvedimenti onerosi per il destinatario, l’ufficio non avrà più interessi da ponderare, ma dovrà solo verificare la corretta applicazione della norma impositrice al caso concreto.

In sede di riesame l’ufficio dovrà perseguire l’interesse alla corretta applicazione della norma tributaria non potendosi rintracciare in campo tributario interessi da ponderare ulteriori rispetto a quello al ripristino della legalità violata.

Differenza tra autotutela e accertamento con adesione

L’accertamento con adesione è un procedimento complesso retto principalmente dalla necessità di dialogo fra Fisco e contribuente; dialogo nel quale è posta in discussione la sostenibilità della pretesa dell’Amministrazione fiscale e calcolata la convenienza a definire l’accertamento in rapporto alla prosecuzione della controversia in sede contenziosa.

Il procedimento di accertamento con adesione trova il suo fondamento nel dialogo che necessariamente deve instaurarsi fra fisco e contribuente, durante il quale viene posta in discussione la sostenibilità della pretesa fiscale, analizzati gli eventuali elementi che possano condurre alla sua riduzione o modificazione, ponderata la convenienza a definire l’accertamento con l’adesione in rapporto alla prosecuzione della controversia in sede contenziosa.

Sussiste una netta distinzione tra i due istituti: da un lato, per l’autotutela assume un rilievo preminente l’interesse alla rimozione dei profili di illegittimità e infondatezza degli atti (e ciò indipendentemente dall’eventuale definitività degli stessi); dall’altro, per l’accertamento con adesione , l’interesse preminente diviene quello di una definitiva cristallizzazione extragiudiziaria del rapporto controverso, a tal fine prevedendosi tutta una serie di preclusioni che impediscono alle parti di rimettere in discussione l’assetto dei rapporti consensualmente accettato con l’atto di adesione.

Giova puntualizzare che :

  • Nell’accertamento con adesione si controverte sulla sostenibilità della pretesa tributaria, ovvero sulla misurazione del presupposto impositivo
  • Nell’autotutela oggetto del riesame è la legittimità, parziale e/o totale, della pretesa
  • L’autotutela – nelle tre ipotesi di annullamento, revoca o rinuncia all’imposizione – non necessita di apposita istanza da parte del contribuente, ben potendo l’amministrazione attivare il procedimento d’ufficio.
  • L’accertamento con adesione muove da esplicite e formali richieste, avanzate da una delle due parti (fisco o contribuente).
  • L’accertamento con adesione presuppone l’inesistenza di atti d’accertamento ovvero la presenza di atti non definitivi, si muove su un percorso procedurale molto ben delineato dal legislatore, a seconda dello stato della controversia, e impone il rigoroso rispetto dei termini previsti dal n. 218/1997.
  • L’autotutela può e deve essere esercitata anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, ovviamente ricorrendo la circostanza dell’illegittimità dell’atto o dell’imposizione.
  • L’autotutela si atteggia a potere-dovere dell’amministrazione finanziaria che deve intervenire in nome dell’interesse pubblico alla rimozione degli atti illegittimi e/o infondati
  • L’accertamento con adesione costituisce a tutti gli effetti un diritto del contribuente per quanto riguarda l’attivazione del procedimento, che ha carattere di obbligatorietà se richiesto e che deve egualmente essere portato a conclusione, seppure senza vincoli per le parti in ordine all’esito.
  • La scelta di esercitare o meno il potere/dovere di autotutela deve essere orientato solo dall’esito del riesame dell’atto in contestazione, a prescindere, quindi, dalla situazione amministrativa e/o processuale dello stesso.
    L’ufficio, alla conclusione dell’indagine circa la fondatezza o meno della propria pretesa dovrà procedere all’annullamento anche se l’atto è stato impugnato dinanzi il giudice e vi è pendenza di giudizio oppure l’atto è divenuto definitivo per mancata impugnazione nei termini stabiliti

N.d.r. sfoglia qui i nostroi approfondimenti sull’accertamento con adesione >>

Prescrizione e decadenza

Gli uffici, allo stato attuale della normativa, non potranno legittimamente esercitare il potere di autotutela, se gli effetti tributari dei rapporti sui quali si va a incidere abbiano ormai definitivamente esaurito la loro funzione, in quanto maturati i termini prescrizionali o decadenziali posti a carico del contribuente per il corretto esercizio dei propri diritti.3

Non è esercitatile il potere di autotutela dell’amministrazione finanziaria nel caso di un diritto al rimborso di un credito d’imposta prescrittesi.

L’annullamento dell’atto impositivo comporta altresì l’obbligo di restituzione delle somme indebitamente riscosse, nel rispetto, però, delle preclusioni decadenziali del rimborso.

Pertanto, nel caso in cui l’autotutela risulti finalizzata unicamente alla restituzione di quanto indebitamente riscosso dall’erario ma la istanza del contribuente sia stata presentata dopo che siano spirati i termini di decadenza dal rimborso medesimo, difetterà in capo all’amministrazione finanziaria la potestà medesima e la relativa istanza di rimborso non potrà che essere dichiarata inammissibile (circolare n. 198/S del 1998).

Autotutela spontanea e doverosa

Sembra preferibile per l’autotutela tributaria la tradizionale facoltatività dell’autotutela spontanea e la connotazione di doverosità nella sola ipotesi di istanza di parte, stante l’intervento sostitutivo dell’ufficio gerarchicamente sovraordinato in caso di grave inerzia dell’ufficio subordinato, l’obbligo dell’ufficio incompetente a trasmettere la domanda di autotutela a quello competente, comunicando al contribuente l’avvenuta trasmissione, e la riconosciuta possibilità di procedere ad autotutela in assenza dell’istanza dell’interessato.

L’ufficio è sempre obbligato all’adozione di un provvedimento espresso(accoglimento o diniego) nel caso in cui il procedimento sia stato iniziato ad istanza di parte, ai sensi dell’art. 2, L. n. 241/1990, per cui deve provvedere ai sensi dell’art. 3 della stessa legge a stendere la motivazione nell’ipotesi di rigetto dell’istanza che assolve ad un dovere di informazione circa l’esito del procedimento innescato dal contribuente (Circ. DRE Lombardia 16 novembre 1999, n. 3/22993).

D’altra parte, la questione sulla natura (discrezionale o doverosa) dell’autotutela deve tener conto dello Statuto dei diritti del contribuente, che ha enfatizzato il rapporto tributario basandolo sulla correttezza e buona fede.

Il mancato esame dell’istanza può originare l’inerzia che, se connotata dal requisito della gravità, da una parte determina il radicamento della competenza a decidere in seno alla DRE (in via sostitutiva su istanza di parte o anche d’ufficio), dall’altra comunque provoca una valutazione negativa, quanto meno sotto il profilo disciplinare, nei confronti del responsabile dell’Ufficio.

L’Ufficio in relazione all’esercizio della potestà di annullamento in via di autotutela, dovrà procedere, alla luce del principio di economicità e di efficienza dell’azione amministrativa e in una prospettiva di analisi costi/benefici senza alcun indugio alla valutazione delle istanze di autotutela prodotte dai contribuenti, provvedendo a dare risposta in senso positivo per le pretese infondate o illegittime, al fine di evitare l’instaurazione di un dannoso e inutile contenzioso tributario, anche sotto il profilo della condanna alle spese processuali.

Qualora il provvedimento di autotutela comporti l’annullamento parziale dell’avviso di accertamento, è fatto obbligo all’ufficio (come precisa la circolare ministeriale 4 novembre 1998, n. 258/E) di comunicare tempestivamente al contribuente anche l’ammontare delle maggiori imposte e del maggior contributo che restano dovuti nonché delle connesse sanzioni .

La stessa circolare ministeriale n. 258/E del 1998 chiarisce che, in caso di istanza di autotutela prodotta in pendenza dei termini di impugnativa, gli eventuali provvedimenti di annullamento totale o parziale dell’avviso di accertamento

dovranno essere opportunamente adottati e comunicati al contribuente prima della scadenza dei suddetti termini, al fine di evitare l’eventuale instaurazione del procedimento contenzioso su motivi di illegittimità dell’atto, dei quali la stessa Amministrazione riconosce l’oggettiva sussistenza“.

Autotutela parziale

L’atto di annullamento parziale in autotutela non rientra tra gli atti impugnabili salva l’ipotesi in cui esso abbia una portata ampliativa dell’originaria pretesa.

In tema di contenzioso tributario, l’atto con il quale l’amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo non rientra nella previsione di cui all’art. 19 D.lgs. 546/1992 e non è quindi impugnabile. In caso di atto di annullamento parziale o di

provvedimento di autotutela di portata riduttiva rispetto alla pretesa impositiva contenuta negli atti divenuti definitivi

questi non possono essere impugnati in quanto si tratta di atti che

non [possono] comportare alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto a quanto a lui già noto e consolidatosi in ragione della mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento”.

Diversamente è invece ammessa la

autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa” (Cassazione sentenza n. 7511 del 15 aprile 2016).

Con la sentenza n. 14243 del 2015 la Corte, viceversa ammette l’impugnabilità degli atti di annullamento parziale in autotutela.

Tale sentenza afferma che

“l’annullamento parziale di un avviso impositivo, non preclude al contribuente, ancorché l’originario provvedimento fosse già definitivo, la possibilità di impugnare, nei termini di legge, il provvedimento emesso in autotutela, privandosi altrimenti il contribuente della possibilità di difesa relativamente a tale atto”.

Infatti l’elencazione degli atti impugnabili ex art. 19 del D.lgs. 546/1992

non esclude l’impugnabilità di atti non compresi in tale novero ma contenenti la manifestazione di una compiuta e definita pretesa tributaria, come nel caso di provvedimento di autotutela”.

Leggi anche: Autotutela e revoca parziale dell’atto impositivo: prassi e problemi aperti

Responsabilità

Quando l’ufficio è “convinto dell’erroneità o infondatezza della pretesa fiscale” appare opportuno che esso “non insista o provochi in un infruttuoso contenzioso” anche perché trova applicazione l’art. 96 c.p.c. sulla lite temeraria ,con la conseguenza che l’ufficio potrebbe essere obbligato al risarcimento dei danni.

L’inerzia può comportare per il fisco maggiori oneri patrimoniali e la conseguente responsabilità amministrativa per danno indiretto del funzionario preposto all’autotutela.

Spetta alla giurisdizione tributaria il risarcimento del danno sopportato da un soggetto per ottenere l’annullamento di un provvedimento amministrativo in sede di autotutela (danno consistente ad esempio nelle spese legali sostenute per proporre ricorso contro l’atto illegittimo); la qualificazione di tali spese come danno risarcibile, deriva dal fatto che esse si riferiscono a un procedimento amministrativo.

L’emissione di un avviso di accertamento illegittimo, successivamente rimosso per effetto dell’esercizio del potere di autotutela, comporta la responsabilità per l’Amministrazione finanziaria in relazione agli oneri sostenuti dal contribuente per la difesa tecnica.

La sentenza della Cassazione, sezione prima, (n. 21963 del 24 ottobre 2011) “addebita” i costi per la consulenza sostenuta dal contribuente, necessarie per ottenere l’annullamento dell’atto impositivo all’Agenzia delle entrate.

Il comportamento dell’ente impositore che, pur essendo convinto e dando atto del buon fondamento delle ragioni del contribuente, insiste nel chiedere la conferma dell’atto impositivo invece che annullarlo in autotutela, lamentando che il contribuente ha proposto il ricorso invece che formulare istanza di annullamento in autotutela, manifesta palese violazione dei principi di lealtà e collaborazione di cui all’art.10 della Legge 212/2000 e configura gli estremi oggettivo e soggettivo della lite temeraria ex art. 96 c.p.c. (Sent. del 07/10/2014 n. 372, C.T.P. Campobasso, Sezione 1).

La circolare 198/S del 1998 ha evidenziato l’ipotesi di responsabilità per il funzionario

ove si tratti di palese illegittimità dell’atto per cui, a seguito del mancato esercizio, anche d’ufficio, del potere di autotutela può verificarsi danno erariale (ad esempio in ipotesi di soccombenza processuale per quanto riguarda la condanna alle spese). D’altra parte non può a priori escludersi che sussista la stessa responsabilità ove venga esercitato il potere in presenza di atti definitivi a seguito di giudicato sui motivi per cui sia chiesto l’annullamento con travalicamento, quindi, dei limiti dell’istituto.

Silenzio – rifiuto

In relazione al rifiuto tacito dell’autotutela si sostiene che la mancata risposta non determina un’ipotesi di silenzio-rifiuto impugnabile di fronte alla CT: nell’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, non compare il silenzio dell’ufficio per il procedimento di riesame.

Grave inerzia dell’ufficio

Il potere di autotutela spetta all’ufficio locale che ha posto in essere l’atto .

Quando si è di fronte ad un’inerzia piuttosto grave da parte dell’ufficio che dovrebbe provvedere, procede direttamente la Direzione Regionale da cui l’ufficio stesso dipende. In presenza di istanza da parte del contribuente, questa deve essere indirizzata all’ufficio competente per territorio e per materia, mentre se la richiesta è diretta ad un ufficio incompetente, quest’ultimo è tenuto a trasmetterla all’ufficio competente, dando comunicazione allo stesso contribuente.

Il parere preventivo della Direzione Regionale è obbligatorio se l’importo dell’imposta, delle sanzioni e degli oneri accessori supera complessivamente 516.456,90 euro.

È necessario, quindi, , il parere preventivo e vincolante, della Direzione Regionale cui fa capo l’ufficio competente a decidere quando l’importo della pretesa fiscale supera 516.456,90 euro, soltanto, però, nel caso in cui l’ufficio sia determinato ad annullare o revocare il proprio atto e non in caso di diniego di autotutela.

La richiesta di parere preventivo si rende necessaria soltanto quando l’ufficio ritenga che sussistano le condizioni per provvedere all’autoannullamento; in altri termini, non vi è alcun obbligo di acquisire un parere preventivo per il “non annullamento” .In base all’art. 1 del decreto ministeriale n. 37/1997, la Direzione regionale ha il potere di annullare gli atti emessi dai dipendenti uffici “in caso di grave inerzia”.

L’intervento in via sostitutiva della Direzione regionale, cioè, è ammesso e giustificato non quando vi sia un mero comportamento “inerte” dell’ufficio, ma soltanto quando tale inerzia sia ulteriormente qualificabile come “grave”. I parametri per valutare la grave inerzia possono essere:

  • l’entità del danno che potrebbe subire il contribuente a seguito del mancato esercizio del potere di autotutela;
  • la consolidata giurisprudenza a favore del contribuente;
  • l’approssimarsi del termine di scadenza per impugnare l’atto.

Si tratta, a ben vedere, di norma di chiusura, con la quale è stata trasferita, in via del tutto eccezionale, la competenza all’emanazione dell’atto dall’organo istituzionale a quello gerarchicamente sovraordinato nell’intento di sensibilizzare il primo al rispetto dei principi che presiedono all’applicazione dell’autotutela.

La grave inerzia potrebbe essere esclusa da comportamenti dell’Ufficio di natura incolpevole e/o derivati da ostacoli anche di natura giuridica o formale frapposti alla formulazione del riesame, come nel caso in cui non vengano dall’istante prodotti allegati o documenti importanti per decidere

La gravità dell’inerzia si manifesterà in presenza di vizi talmente evidenti che non giustifichino, salvo casi eccezionali, l’omissione del provvedimento in tempi ragionevoli. Ad esempio si ritiene che la gravità possa manifestarsi:

  • per la mancata richiesta del parere alla DRE nei casi in cui è obbligatorio;
  • in presenza di atti prodromici, nel mancato esame protratto fino all’emissione dell’atto impositivo;
  • in caso di mancato riesame prima della scadenza dei termini di impugnativa (in quanto con la presentazione del ricorso già potrebbe verificarsi un’ipotesi di danno);
  • in corso di giudizio per il protrarsi del silenzio dalla data di presentazione dell’istanza e fino al compimento di ulteriori atti processuali (ad esempio fino all’udienza di trattazione del ricorso);
  • prolungato silenzio a fronte di istanza su atti definitivi ove non ricorra la preclusione del giudicato

Autotutela implicita

La Circolare 5/8/1998 n. 198/S afferma che

“l’annullamento dell’atto travolge necessariamente ed automaticamente tutti gli altri atti ad esso consequenziali (ad esempio, il ritiro di un avviso di accertamento determina automaticamente la nullità delle cartelle di pagamento emesse in base all’avviso stesso)

È configurabile, nell’ordinamento tributario, la cd. autotutela implicita ossia una diffusione degli effetti di un provvedimento di ritiro ad altri atti della sequenza procedimentale allorché, tra l’atto ritirato e gli altri atti della serie, sussista un nesso di pregiudizialità-dipendenza (es. l’annullamento dell’atto presupposto comporta anche l’annullamento dell’ato consequenziale). L’annullamento dell’atto travolge necessariamente ed automaticamente tutti gli altri atti ad esso consequenziali (ad esempio, il ritiro di un avviso di accertamento determina automaticamente la nullità delle cartelle di pagamento emesse in base all’avviso stesso) e comporta l’obbligo di restituzione delle somme indebitamente riscosse.

Sarebbe, infatti, del tutto contraddittorio che l’Amministrazione annullasse un atto in quanto lo riconosce illegittimo e infondato, e poi lasciasse che le procedure di riscossione proseguano indisturbate, ovvero trattenesse le somme riscosse in forza di esso”.

Autotutela in malam partem

Se è disposto in autotutela l’annullamento di un atto , un successivo provvedimento dell’Amministrazione finanziaria che, sempre in autotutela, annulli il precedente annullamento non è idoneo a far rivivere l’originario atto impositivo annullato, essendo necessario emettere un nuovo atto impositivo sostitutivo del precedente.

Ancorché sia possibile annullare un precedente atto di annullamento (in quanto detto potere rientra nella generale potestà di autotutela) tale annullamento “di secondo grado” non fa rivivere il provvedimento originario.

Detto ciò, il potere di emanazione dell’atto da ultimo indicato deve sottostare ai principi enunciati dalla giurisprudenza in tema di “autotutela sostitutiva“, per cui devono ancora essere pendenti i termini decadenziali per la notifica del provvedimento e deve essere rispettato l’eventuale giudicato sostanziale formatosi.

L’ente impositore, esercitando un potere di autotutela, può annullare un precedente atto di annullamento illegittimo. E’ necessario però che lo stesso proceda alla notifica di un nuovo atto, che può avvenire soltanto se sono pendenti i termini di decadenza dell’accertamento. Rimane invariato per il contribuente il termine di sessanta giorni dalla notifica per impugnare l’atto. (Cass. civ. Sez. V, 08- 10-2013, n. 22827).

Secondo diverso orientamento (Sent. n. 17576 del 12 febbraio 2002 dep. il 10 dicembre 2002 della Corte Cass., Sez. tributaria) non sussiste la possibilità di considerare legittima l’adozione da parte della Pubblica Amministrazione di un atto ulteriore (sfavorevole per il contribuente), teso ad elidere dalla realtà giuridica un precedente atto (favorevole per il contribuente) e tutti gli effetti ad esso connessi.

Ad esempio, emanare “in autotutela” un atto che, eliminando un precedente provvedimento emesso (in autotutela o meno) in favore del contribuente, determini:

  • la reviviscenza di un precedente atto di accertamento (prima emesso, poi annullato e, infine, nuovamente emanato);
  • la revoca di una agevolazione (prima negata, poi riconosciuta e, infine, definitivamente revocata);
  • il mancato riconoscimento di un rimborso (prima accolto e, poi, definitivamente negato).

Sussiste l’illegittimità dell’esercizio della potestà di autotutela, in malam partem nei confronti del contribuente, in presenza di una situazione giuridica soggettiva di vantaggio di quest’ultimo, acquisita in base all’applicazione del principio della tutela dell’affidamento legittimo del contribuente stesso.

Giudicato

L’art. 2, c. 2, del D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, in tema di esercizio del potere di autotutela degli Uffici, stabilisce che non si procede all’annullamento di ufficio per i motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione. L’interpretazione è quella che l’esercizio dell’autotutela è impedito in linea generale solo nei casi di giudicato nel merito favorevole all’Ufficio4.

In presenza di un giudicato di merito favorevole all’Amministrazione va ammesso il ritiro dell’atto per motivi e vizi diversi da quelli ritenuti non sussistenti in sede giudiziale.

Ciò per far sì che, in ogni caso, l’imposizione fiscale non prescinda dalla effettiva capacità contributiva del soggetto e che l’azione amministrativa si conformi al canone costituzionale dell’imparzialità.

L ‘interpretazione “costituzionalmente orientata” è quella che limita il valore ultrattivo del giudicato alle sentenze che affrontano il merito della controversia in relazione ai motivi esposti dalle parti sostanzialmente identici.

L’ufficio, in definitiva, non può applicare l’autotutela, né di propria iniziativa né su istanza del contribuente, quando sia stata emessa una sentenza definitiva (“passata in giudicato“) favorevole nel merito all’Amministrazione finanziaria.

Attenzione, però; solo il giudicato di merito, e solo per i motivi decisi con sentenza definitiva, preclude l’autotutela, che invece sarà sempre attivabile: inammissibilità, improcedibilità…);

  • quando il giudicato è solo formale (la sentenza ha deciso solo sul rito:
  • quando il giudicato è di merito ma parziale (la sentenza ha deciso su più punti, ma alcuni vengono impugnati), per le parti non ancora in giudicato
  • perfino in caso di giudicato di merito totale, se l’istanza di autotutela riguarda motivi di illegittimità del tutto diversi da quelli oggetto della sentenza, cioè esaminati e respinti dai giudici Per la circolare n. 258/E del 04/11/1998 della direzione centrale per l’accertamento (Ministero Finanze) e per la programmazione e per la circolare 3/22993 del 16/11/1999 della DRE Lombardia, l’annullamento dell’atto è altresì consentito con esclusivo riferimento agli eventuali motivi di illegittimità che non formarono oggetto della pronuncia dei giudici.

Soccombenza virtuale

A seguito della sentenza n. 274 del 2005 della Corte costituzionale, il totale annullamento d’ufficio dell’atto impugnato non determina, di per sé, l’integrale cessazione della materia del contendere, dovendosi procedere al regolamento delle spese di lite in base alla cosiddetta soccombenza virtuale, che presuppone un esame della fondatezza delle questioni introdotte nel giudizio e, quindi, l’individuazione dell’ipotetico soccombente, anche per ragioni di natura solo processuale.

Per ciò che riguarda la ripartizione delle spese è necessario che il giudice tributario accerti a quale delle parti del giudizio deve imputarsi la responsabilità di aver causato lo stesso. Il giudice tributario effettua, caso per caso, una valutazione sul regime processuale delle spese da applicare senza essere vincolato ad operare la compensazione automatica nell’ipotesi di cessata materia del contendere.

La tardività nell’esercizio dei poteri di autotutela (es. sgravio della cartella) che non consente di evitare l’impugnazione dell’atto impositivo permette al giudice tributario la condanna alle spese processuali dell’ente impositore; infatti, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 274/2005, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 46 del D.Lgs. n. 546/1992 nella parte in cui esclude la possibilità di condannare alle spese una delle parti in caso di dichiarazione di cessazione della materia del contendere, non vi è alcun ostacolo a porre a carico del “ritardatario” ente impositore il rimborso delle spese di giudizio a favore del contribuente

Definitività

La scelta di esercitare o meno il potere/dovere di autotutela deve essere orientato solo dall’esito del riesame dell’atto in contestazione, a prescindere, quindi, dalla situazione amministrativa e/o processuale dello stesso. L’ufficio, alla conclusione dell’indagine circa la fondatezza o meno della propria pretesa dovrà procedere all’annullamento anche se l’atto è stato impugnato dinanzi il giudice e vi è pendenza di giudizio oppure l’atto è divenuto definitivo per mancata impugnazione nei termini stabiliti.

L’autotutela può e deve essere esercitata anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, ovviamente ricorrendo la circostanza dell’illegittimità dell’atto o dell’imposizione.

Per l’atto divenuto definitivo una volta scaduti i termini di impugnazione, appare comunque ingiusto sottoporre il contribuente ad una tassazione illegittima o fondata su presupposti di fatto erronei.

L’art. 2, c. 1, del D.M. 11 febbraio 1997, n. 37 (“Regolamento recante norme relative all’esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell’amministrazione finanziaria”), dispone:

L’amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all’annullamento o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell’atto o dell’imposizione”.

La parola “anche” dimostra positivamente che l’amministrazione può annullare gli atti amministrativi impugnabili ma non impugnati o non più sub iudice.

Potere del giudice tributario

Il sindacato del mero rifiuto dell’esercizio di autotutela deve limitarsi all’esame della legittimità della condotta omissiva, e non può estendersi al merito, ovvero a valutare la fondatezza della pretesa tributaria del contribuente( Cass. civ., sez. V, 29 dicembre 2010, n. 263137)

Secondo i giudici di legittimità (Sent., sez. trib., n. 19740 del 13 novembre 2012)il diniego di autotutela deve ritenersi un provvedimento impositivo autonomamente impugnabile, ma i motivi di ricorso possono concernere solamente i profili di illegittimità dell’atto, e non il merito della pretesa.

Diversamente argomentando, cioè se la contestazione si estendesse al merito dell’atto, verrebbero aggirati i termini decadenziali (60 giorni dalla notificazione) normativamente previsti per l’impugnazione.

In caso di accertamento divenuto definitivo, il contribuente che avanza la domanda di autotutela non può limitarsi a dedurre i vizi dell’atto, ma deve dimostrare la sussistenza di un interesse generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto.

Conseguentemente, avverso il diniego opposto dal Fisco, non possono essere addotte censure per contrastare il merito della pretesa erariale avanzata, ma possono essere contestati solamente eventuali profili di illegittimità del rifiuto opposto dall’Agenzia delle entrate all’esercizio dell’autotutela (cfr. Cass. n. 11457/2010).

La Cassazione, con la sentenza n. 23765/2015, ha stabilito che il ricorso contro il diniego di annullamento d’ufficio di un atto ormai definitivo per decorrenza dei termini o per altra ragione è circoscritto ai vizi di legittimità dell’atto di diniego.

Il diniego di autotutela del Fisco è impugnabile innanzi alle Commissioni tributarie solo se il contribuente si limita a contestare la legittimità del rifiuto (es. difetto di motivazione, omessa sottoscrizione, vizi della notifica o comunicazione del rifiuto) e non la fondatezza della pretesa tributaria (errore che cade sulla quantificazione dell’imponibile accertato).

Ciò per impedire un’indebita sostituzione e un’ingerenza del giudice tributario nell’attività amministrativa.

Tale assunto è stato statuito dalle Sezioni Unite della Cassazione, con la Sent. 23 aprile 2009, n. 9669. La Sent. n. 9669/2009 sottolinea che:

  1. l’esercizio del potere di autotutela «non costituisce un mezzo di tutela del contribuente»;
  2. nel giudizio instaurato contro il diniego può esercitarsi un sindacato, nelle forme ammesse sugli atti discrezionali, «soltanto sulla legittimità del rifiuto, e non sulla fondatezza della pretesa tributaria» ovvero sul merito dell’avviso di accertamento divenuto ormai definitivo;
  3. il giudice tributario ha il compito di valutare solamente la legittimità dell’uso del potere discrezionale del fisco.

Sotto il profilo processuale, l’atto di rifiuto, che confermi un precedente avviso di accertamento definitivo, non può essere impugnato per vizi che attengono all’atto confermato.

Non può dunque essere ipotizzata una sentenza che, accogliendo l’impugnazione del rifiuto di autotutela, si pronunci sui vizi dell’atto impositivo definitivo (che è atto diverso da quello impugnato).

diniego di autotutelaOggetto di impugnazione non è l’atto originario, ma il nuovo atto, frutto di un nuovo procedimento; e il giudice può annullare l’atto impugnato, non l’atto originario. Di fronte al diniego espresso di autotutela, il giudice tributario può annullare il diniego, non può annullare l’atto impositivo originario.

Può annullare il diniego, come afferma la sentenza delle Sezioni Unite 27 marzo 2007, n. 7738, esercitando un sindacato, nelle forme ammesse sugli atti discrezionali, soltanto sulla legittimità del rifiuto; non può certo annullare l’atto originario. Può far rinascere il dovere di riesame e di pronuncia .

Annullare o sostituire l’atto originario resta una prerogativa riservata alla discrezionalità dell’amministrazione Il giudice tributario, cui sia rivolto un ricorso contro la mancata autotutela, può annullare il diniego di autotutela, ma non può annullare l’atto originario, perché non

può emettere, sostituendosi all’amministrazione, il provvedimento di autotutela.

Tra i compiti del giudice tributario in tema di autotutela non vi è l’attività di tipo sostitutivo nemmeno in sede di giudizio di ottemperanza; il giudice tributario sia nel processo di cognizione che nel processo di ottemperanza non può emettere atti di autotutela in sostituzione degli Uffici.

Il diniego espresso di annullamento è riconducibile all’elenco dell’art. 19 nei casi in cui è classificabile come “rinnovazione” dell’atto di cui è stata negata la rimozione. Il diniego di annullamento equivale, in linea di massima, alla conferma del precedente provvedimento.

E, per regola generale, gli atti di conferma non sono impugnabili (rectius: non sono impugnabili per motivi che attengono all’atto confermato). L’impugnazione dell’atto confermativo è ammissibile se l’atto impugnato non è una mera conferma, ma una “rinnovazione” dell’atto precedente, conseguente ad una nuova istruttoria, e se l’impugnazione è sorretta da motivi diversi da quelli che erano proponibili contro l’atto confermato.

Occorre riconoscere l’impugnabilità di un diniego di autotutela, opposto ad una domanda fondata su norme, o fatti, successivi al provvedimento di cui si chiede la rimozione.

Deve trattarsi insomma di un caso in cui con il ricorso si alleghino vizi “ propri” del diniego, impugnando non l’atto originario, ma il nuovo atto, frutto di un nuovo procedimento.

Il rigetto manifestato dall’Amministrazione finanziaria in ordine all’istanza di autotutela formulata dal contribuente costituisce atto impugnabile la cui controversia è devoluta alla cognizione del giudice tributario.

Qualora siano dedotti fatti e circostanze nuovi e sopravvenuti (es. condono, modifica del sistema sanzionatorio; assoluzione penale) essi devono essere valutati al fine di accertare se siano idonei a costituire vizi propri del provvedimento di rigetto.

In carenza deve disconoscersi natura di atto impugnabile al menzionato provvedimento.

L’ultimo arresto giurisprudenziale del giudice di legittimità (Cass. 8 luglio 2015, n. 14243, sez. trib.) ha puntualizzato che anche se non è ricompreso nell’elenco recato dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, il contribuente può proporre ricorso contro l’atto, in autotutela, che annulla parzialmente l’accertamento.

17 maggio 2016

Ignazio Buscema

Leggi i nostri approfondimenti in tema di autotutela tributaria >>

NOTE

1 Il principio dell’indisponibilità dell’imposizione tributaria non osta a che l’Amministrazione finanziaria riconosca l’illegittimità totale o parziale dell’atto impositivo, e lo ritiri in via di autotutela, determinando così la cessazione della materia del contendere e l’estinzione del processo pendente, o comunque, disponga della lite, decidendo di resistere o non ad un ricorso, di impugnare o no una pronuncia sfavorevole, di coltivare un gravame o rinunciarvi (Cass. civ. Sez. V Sent., 2 luglio 2008, n. 18054).

2 Al contribuente non va richiesto di corrispondere al Fisco più di quanto effettivamente dovuto in base alle norme in vigore; cosa che, altrimenti, urterebbe contro i principi di trasparenza e di giustizia sociale ormai riconosciuti come immanenti a qualunque attività della Pubblica amministrazione. Il contribuente non può essere chiamato al pagamento di tributi che non siano strettamente previsti dalla legge (circolare 5 agosto 1998, n. 198/S) L’autotutela mira alla corretta determinazione dell’imposta, in applicazione dei principi che regolano l’attività impositiva;il fine dell’autotutela è che il contribuente abbia diritto ad una tassazione equa ed informata al principio di capacità contributiva sancito dalla nostra Costituzione. I princìpi costituzionali in materia di attività amministrativa e quelli posti a tutela di una tassazione equa e conforme alla legge devono indurre ritenere che l’Amministrazione finanziaria non goda di una discrezionalità assoluta, non solo nella determinazione dell’imposta, ma anche nel momento del riesame dell’atto impositiva.

3 Con la circolare ministeriale n. 195/E del 08/07/1997, è stato, riaffermato il principio secondo il quale la possibilità riconosciuta all’Amministrazione finanziaria di annullare i propri atti illegittimi, con effetti retroattivi, non può spingersi sino all’eliminazione di situazioni ormai irrevocabili ed esauritesi nel tempo. L’annullamento dell’atto impositivo comporta altresì l’obbligo di restituzione delle somme indebitamente riscosse, nel rispetto, però, delle preclusioni decadenziali del rimborso. Pertanto, nel caso in cui l’autotutela risulti finalizzata unicamente alla restituzione di quanto indebitamente riscosso dall’erario ma la istanza del contribuente sia stata presentata dopo che siano spirati i termini di decadenza dal rimborso medesimo, difetterà in capo all’amministrazione finanziaria la potestà medesima e la relativa istanza di rimborso non potrà che essere dichiarata inammissibile (circolare n. 198/S del 1998).ù

4 Il potere può essere esercitato anche nelle more del giudizio tributario, causando la cessazione della materia del contendere, secondo il principio enunciato dalla Corte di Cassazione (Cass., sez. trib., 15 febbraio 2010, n. 3519).

Ti segnaliamo:
Il provvedimento di rifiuto dell’autotutela non è impugnabile (2022)
Diniego di autotutela, non impugnabile (2018)
Impugnazione del diniego di autotutela (2021)
Scarica il documento