Il calcolo del full costing

la definizione dei prezzi col metodo del Full Costing – spiegazione pratica: a ciascun prodotto vengono assegnati tutti i tipi di costo: variabili e, in qualche modo, anche i costi fissi, sia specifici che generici. Il Commercialista deve affiancare l’imprenditore nelle scelte aziendali…

6927038744_23d30eb159_oAvevamo concluso la seconda parte dell’articolo dicendo che è necessario calcolare tre livelli di costo, al fine di determinare il prezzo ideale di vendita di un certo prodotto. I tre livelli di costo sono:

  • livello Full Costing. A ciascun prodotto vengono assegnati tutti i tipi di costo: variabili e, in qualche modo, anche i costi fissi, sia specifici che generici;

  • livello Direct Costing. A ciascun prodotto vengono assegnati i costi diretti (tutti i costi variabili e la manodopera diretta, ma volendo anche altre tipologie di costo fisso specifico);

  • livello Variable Costing. A ciascun prodotto vengono assegnati i soli costi variabili, ossia praticamente solo quelli “certamente assoggettabili”.

Si comincerà con l’affrontare il metodo Full Costing.

Il Full Costing, come già detto, assegna tutti i tipi di costo al prodotto, variabili e fissi.

Con il Full Costing i costi variabili diretti vengono assegnati ai prodotti attraverso la distinta base. Successivamente ed attraverso i cicli ed i tempi di lavoro, viene determinato il costo di produzione (se il metodo di calcolo è a valore aggiunto), così da assegnare anche l’incidenza dei:

  • costi variabili indiretti,

  • costi fissi specifici,

  • costi fissi generici. Il ribaltamento di tali costi fissi sarà ovviamente “probabilistico” e non “certo”.

Esistono diverse metodologie per assegnare i costi fissi ed i costi variabili indiretti. Ciascun metodo utilizza dei coefficienti (definiti cost-drive) per assegnare la parte di costi fissi a ciascun prodotto o servizio. Parleremo dei due metodi maggiormente utilizzati:

  • a valore aggiunto,

  • a costo primo.

L’esempio che segue si riferisce al metodo di calcolo a valore aggiunto.

Per calcolare il costo di produzione vengono normalmente utilizzati i tempi di lavoro (in minuti) moltiplicati i costi/minuto (calcolati per ogni centro di costo). Nel calcolo del costo di valore aggiunto è inglobato anche il costo della manodopera. Riepilogo:

calcolo Full Costing di un articolo = costi variabili diretti + costo di valore aggiunto. Il costo di valore aggiunto viene determinato come:

Calcolo costo produzione sul centro A = minuti di lavoro in A x costo/minuto di A

Calcolo costo produzione sul centro B = minuti di lavoro in B x costo/minuto di B

… e così via

In tal modo, sommando tutti i costi di lavorazione di ciascun centro di costo, si perviene alla determinazione del costo complessivo di valore aggiunto a cui, aggiungendo costo materia prima e altri costi variabili diretti, si ottiene il costo complessivo del prodotto. Al costo complessivo così determinato, aggiungendo un certo ricarico (o margine), si perverrà al prezzo di vendita.

Per determinare il costo minuto occorre dividere tutti i costi fissi aziendali+costi variabili generici per i minuti prodotti dagli operai diretti. Esempio 1.700.000€ di costi fissi (manodopera esclusa)+variabili generici annui, diviso 1.436.160 minuti prodotti dai diretti porta un costo/minuto di 1,18€. A loro volta i minuti prodotti sono stati calcolati moltiplicando le unità lavorative per 480 minuti/giorno e poi per il numero di giorni di lavoro annui. Per pervenire ai minuti prodotti basta moltiplicare i minuti lavorati per il coefficiente di rendimento. Esempio 17 unità x 480mingg x 220 gg x 0,8rendim = 1.436.160 min/annui

Ora facciamo un esempio numerico.

Supponiamo una piccola azienda, che per semplificare le cose non abbia costi variabili generici ed a cui assegneremo un unico centro di costo (con costo/minuto pari a 1,2 €/min e con costo manodopera MNDP pari a 0,35 €/min) e che abbia questi dati per un certo articolo:

  • costo materia prima (CMP): 24€

  • tempo di lavoro: 51 minuti

  • provvigioni: 7%

  • trasporto di terzi: incidenza media di 6€ al pezzo

  • margine di utile desiderato: 15%

La determinazione del prezzo Full Costing dell’articolo sarà quindi una semplice equazione di primo grado, in cui il prezzo (X) sia così determinato:

X = 24 + 51*1,2 + 51*0,35 + 0,07X + 6 + 0,15X. E’ facile arrivare alla conclusione che l’equazione si risolva per X=139,81€. In tal caso 51*1,2+51*0,35 ossia 79€, rappresenta il costo di valore aggiunto (o di trasformazione o di lavorazione) del prodotto. Stiamo così implicitamente dicendo che i costi fissi che il prodotto dovrà “assorbire”, manodopera inclusa, saranno pari a 79€. E’ bene specificare che in tal caso si è implicitamente adottato un criterio di associazione (definito, come detto in precedenza, cost-drive) costo->tempo.

Il metodo a costo primo assegna invece i costi fissi generici in termini percentuali sul fatturato. Se ad esempio la mole di costi fissi, manodopera esclusa, sul fatturato è normalmente del 43%, riprendendo i valori dell’esempio precedente avremo un prezzo X così calcolato: X = 24 + 51*0,35 + 0,43X+ 6 + 0,07X + 0,15X. L’equazione si risolve per X=136,71 €.

Altri metodi di ribaltamento dei costi fissi, ossia altri cost-drive utilizzabili, darebbero certamente risultati ancora diversi. Ad esempio se si dovessero ribaltare i costi usando come cost-drive il fatturato realizzato da ciascun articolo, il prezzo risulterebbe, magari, completamente diverso. A titolo non esaustivo possiamo dire che i cost-drive maggiormente utilizzati nella pratica aziendale, oltre ai tempi di lavoro, sono:

  • fatturati

  • volumi di vendita (in unità)

  • costo materie prime

Quali di tutti questi cost-drive è più esatto ? Nessuno lo potrà mai dire. Si potrebbe verificare addirittura il paradosso che per la stessa impresa, certe volte è più adatto, nei confronti del prezzo di mercato, un ribaltamento per costo materie prime, altre volte lo è utilizzando i tempi di lavoro. Se si dovesse valutare l’argomento in maniera il più possibile oggettiva, si potrebbe dire che il metodo più ovvio è quello di scaricare tanti più costi quanto più un prodotto ha alti tempi di realizzazione. Per questo il cost-drive costituito dai tempi di lavoro sembra essere il metodo maggiormente utilizzato, ma non sempre le imprese sono organizzate per avere rilievi sui tempi di produzione.

Tuttavia la domanda da porsi è: con il prezzo calcolato precedentemente, ad esempio nel caso “a valore aggiunto”, quanto renderebbe in termini di utili l’articolo esaminato ? Si potrebbe rispondere 21€ (15% di 139,81€). Quindi la naturale osservazione è che un prezzo posto a “costo”, quindi a 118,81€ (139,81-21) darebbe la possibilità all’impresa di recuperare i costi complessivi, senza avere nessun margine di utile. Quindi se l’impresa dovesse trovare un committente che offra 110 Eur, quasi certamente sarebbe indotta a rifiutare la vendita perché “sottocosto”, con una potenziale perdita di 8,81€ a pezzo.

Ma le cose non stanno così.

In base a quanto detto, difatti, è piuttosto facile capire che la non vendita del prodotto non permetterebbe all’impresa di “recuperare” quei famosi 79€ di costi fissi i quali, moltiplicati per le unità di vendita del committente, ad esempio 1.000 pezzi, genererebbero un certo “recupero” di costi fissi, pari a 79 mila Euro..

Sappiamo tuttavia che il committente non è disposto a pagare il prezzo stabilito, ma soli 110€. Quindi l’impresa, rifiutando la vendita, in realtà quanti costi fissi non potrebbe recuperare ? Per rispondere alla domanda scomponiamo il prezzo di 110€ assegnando al prodotto i soli costi variabili ossia: 24€ + 0,07*110 + 6. La formula restituisce un costo variabile di 37,7€. Quindi, ad un prezzo di 110€, vi sarebbe un “margine” per recuperare i costi fissi pari a 110-37,7, ossia 72,3€. Con una vendita di 1.000 pezzi al committente, l’impresa “recupererebbe” non 79 mila euro ma 72.300€ di costi fissi, altrimenti persi. Quindi, in realtà, accettando un prezzo di 110€ si creerebbero utili o perdite per l’impresa ?

Nonostante una trattazione certamente non esaustiva, si è arrivati ad una importantissima conclusione: LA REDDITIVITA’ DI UN ARTICOLO E’ DATA DALLA CAPACITA’ DI RECUPERARE QUANTI PIU’ COSTI FISSI POSSIBILE e quindi non dal suo UTILE NETTO, il cui calcolo è puramente teorico e non porta a nessuna considerazione oggettiva.

Matematicamente, quindi, identificati con:

  • PV il prezzo

  • CV il costo variabile e

  • MdCL la capacità di recupero dei costi fissi,

avremo che MdCL = PV – CV.

Se un prodotto venduto a 100 ha costi variabili per 60, esso, per ogni unità di vendita, permette un “recupero” di costi fissi pari a 40, ossia ha un margine di contribuzione lordo del 40%. Quindi se l’articolo in questione fattura 67.000€ annui, esso da solo permette un recupero di costi fissi pari a 67.000 * 0,4 cioè 26.800 €.

Occorre quindi sfatare, una volte per tutte, l’idea che un prodotto genera utili netti (che, occorre ribadirlo, sono solo calcolati in via del tutto teorica) ma solo utili lordi, chiamati appositamente MARGINI DI CONTRIBUZIONE LORDO (MdCL). Da qui si evince anche, come dimostrato, che un prodotto venduto “in perdita” secondo il full costing può tranquillamente generare utili, poiché permette comunque di recuperare costi fissi. In sintesi un prodotto in perdita è solo quello venduto con prezzo inferiore ai propri costi variabili. Va da sè che se tutti i prodotti dovessero essere venduti con margini leggermente superiori ai soli propri costi variabili, si rischierebbe alla fine di non riuscire a recuperare tutta la mole di costi fissi dell’azienda, manodopera inclusa. Ecco che quindi si rende necessario adottare delle politiche di prezzo, in base alle specificità dei prodotti (ossia dal loro livello di competitività), al loro mix delle vendite, ed ai committenti con i quali si ha a che fare.

Diremo inoltre che le politiche di prezzo si rendono indispensabili in caso di insaturazione aziendale.

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24 maggio 2016

Luciano Cipolletti