I presupposti di legittimità per procedere ad accertamento integrativo: la sopravvenuta conoscenza

quali sono i presupposti che rendono legittimo l’accertamento integrativo da parte del Fisco: puntiamo il mouse sul concetto di ‘nuovi elementi’ che incidono sulla possibilità di integrare l’accertamento già emesso

giudice2-immagineLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 576 del 15.1.2016, ha chiarito quali sono i presupposti di legittimità per procedere ad accertamento integrativo.

Nel caso di specie, una spa, con atto del 31.12.1999, efficace dal 1.1.2000, cedeva ad altra società un ramo di azienda.

L’Agenzia delle Entrate emetteva, nell’anno 2002, un avviso di accertamento, con il quale determinava a carico della società cedente una maggiore imposta Irpeg oltre interessi e sanzioni, conseguente ad una maggiore plusvalenza derivante dalla rettifica del corrispettivo conseguito con la predetta cessione di ramo di azienda.

Con segnalazione pervenuta nel 2004, la Direzione Regionale della Campania informava però l’Ufficio che aveva emesso l’originario accertamento che, a dicembre 2000 (dopo cioè neppure un anno dalla cessione), il medesimo ramo di azienda di cui all’avviso richiamato, unitamente ad altri due rami di azienda, era stato riacquistato dalla medesima società cedente, per un valore di avviamento periziato in euro di diversi milioni di Euro.

Pertanto l’Agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento integrativo, con il quale determinava una maggiore plusvalenza rispetto a quella originariamente determinata con il primo avviso.

Avverso l’avviso di accertamento integrativo la cedente (poi acquirente) proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale, che lo rigettava.

Contro la sentenza la società proponeva allora appello alla Commissione tributaria regionale, che lo accoglieva, ritenendo l’insussistenza di nuovi elementi necessari per procedere ad accertamento integrativo a norma dell’art. 43, c. 3, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600.

Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, eccependo, tra le altre, la violazione e falsa applicazione dell’art. 43, c. 3, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, nella parte in cui la Commissione tributaria regionale aveva ritenuto l’insussistenza dei presupposti previsti per l’emissione di un atto di accertamento integrativo; e la violazione e falsa applicazione degli artt. 43 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 e 2909, con riferimento all’inciso della motivazione della sentenza impugnata, che aveva ritenuto ostativo alla emissione dell’avviso integrativo, ai fini delle imposte sul reddito, il fatto che la medesima plusvalenza fosse stato oggetto di un accertamento con adesione intervenuto tra le parti ai fini dell’imposta di registro.

Il primo motivo, secondo i giudici di legittimità, era fondato.

Sussisteva infatti il requisito della “sopravvenuta conoscenza” degli elementi posti a base dell’avviso di accertamento integrativo relativo alla maggiore plusvalenza tassabile, appresi dall’Agenzia delle Entrate di Milano (l’Ufficio che aveva emesso l’avviso di accertamento prima citato) a seguito della segnalazione della Direzione regionale Campania, successiva al primo avviso di accertamento emesso nell’anno 2002.

A tal fine, sottolinea la Corte, devono infatti considerarsi sopravvenuti, ai sensi dell’art. 43, comma terzo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, anche i dati conosciuti da un ufficio fiscale, ma non ancora in possesso di quello che ha emesso l’avviso di accertamento al momento dell’adozione di esso (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 11057 del 12/05/2006).

La Commissione tributaria regionale aveva invece affermato l’insussistenza dei presupposti richiesti per l’emissione di un avviso di accertamento integrativo sul rilievo che il valore della plusvalenza “non è revisionabile in aumento per mezzo della pura e semplice mutuazione del maggior valore attribuito successivamente ad altro evento negoziale“, e che “il precitato art.43 è preordinato alla ripresa a tassazione di altri elementi reddituali incrementativi del reddito complessivo definito in precedenza e non noti al momento dell’esercizio della precedente attività accertatrice“.

L’argomentazione era dunque viziata da erronea interpretazione dell’art. 43, c. 3, d.P.R. 29 settembre 1973 n .600, considerato che la sopravvenienza di “nuovi elementi” richiesti dalla norma per l’emissione dell’accertamento integrativo non può essere restrittivamente interpretata quale sopravvenienza di “nuovi elementi reddituali“, poiché, sottolinea la Corte, l’emersione di nuovi cespiti imponibili legittima senz’altro l’adozione di un autonomo avviso di accertamento.

L’ampia dizione utilizzata nella disposizione di legge, che richiede genericamente la sopravvenienza di “nuovi elementi“, legittima quindi il ricorso all’avviso di accertamento integrativo, allorché, successivamente all’accertamento originario, l’ufficio venga a conoscenza di elementi fattuali, probatoriamente rilevanti, sconosciuti al momento dell’emissione dell’avviso originario.

Il contenuto preclusivo dell’art.43 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 deve essere in sostanza limitato al divieto, rebus sic stantibus, di emettere un avviso di accertamento integrativo sulla base della semplice rivalutazione o maggiore approfondimento di dati probatori già interamente noti all’Ufficio al momento della emissione dell’avviso originario (conforme Sez. 5, Sentenza n. 11421 del 03/06/2015; Sez. 5, Sentenza n. 8029 del 03/04/2013).

Nel caso in esame, il contenuto della segnalazione della Direzione Regionale della Campania, consistente nella comunicazione dell’intervenuto riacquisto, dopo pochi mesi dalla cessione, da parte della originaria venditrice, del medesimo ramo di azienda, con attribuzione, mediante valutazione peritale, di un valore di avviamento di gran lunga superiore a quello determinato in occasione della prima cessione, costituiva quindi sicuramente elemento nuovo sopravvenuto, probatoriannente rilevante ai fini fiscali e legittimamente utilizzabile ai fini della emissione dell’avviso di accertamento integrativo previsto dall’art.43 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600.

Né certo, conclude la Corte, costituisce circostanza ostativa all’ accertamento di una maggiore plusvalenza ai fini dell’imposta sui redditi, il fatto che, ai diversi fini dell’imposta di registro, sia intervenuto un accertamento con adesione, attesa la diversità dei principi relativi alla determinazione del valore di un bene valevole per le due tipologia di imposta.

Con l’integrazione di un avviso di accertamento già emanato, l’ufficio può in conclusione emettere un nuovo avviso, contenente elementi rinvenuti successivamente al primo e tali da modificare nella sostanza il presupposto d’imposta.

L’accertamento integrativo non deve essere peraltro confuso con l’autotutela sostitutiva, anche considerato che il primo, a differenza del secondo, presuppone un avviso del tutto valido (e solo da integrare).

L’avviso di accertamento emesso in sostituzione di uno precedente, viziato da un errore materiale evidente, non costituisce quindi espressione del potere di autotutela integrativa (ex articolo 43, comma 4, Dpr 600/1973) ma, piuttosto, del potere di autotutela sostitutivo, esperibile anche in assenza di sopravvenute conoscenze.

Nell’ipotesi di integrazione o modificazione si esercita un ulteriore potere accertativo, che, in quanto tale, richiede necessariamente la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

Per la Corte suprema, il presupposto della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, per l’esercizio del potere di integrare o di modificare in aumento l’avviso di accertamento già notificato, non è richiesto invece per l’autoannullamento di un precedente avviso di rettifica e la sostituzione dello stesso con uno nuovo, contenente lo stesso dispositivo ma una diversa motivazione, atteso che, in tal caso, non ricorre esercizio del predetto potere integrativo o modificativo, ma sostituzione di un precedente provvedimento illegittimo con un nuovo provvedimento conforme a diritto.

Questi principi sono stati ribaditi anche con la sentenza 22019/2014 della medesima Cassazione.

La Corte evidenzia infatti che, in tema di accertamento, nell’ambito del potere di autotutela amministrativa tributaria, il ritiro di un precedente atto può avvenire in due diverse forme, quella del “contro-atto”, cioè l’atto di secondo grado che assume l’identica struttura di quello precedente, salvo che per il suo dispositivo di segno contrario, con cui si dispone l’annullamento, la revoca o l’abrogazione del primo, o quella della “riforma”, cioè l’atto di secondo grado che non nega il contenuto di quello precedente, ma lo sostituisce con un contenuto diverso.

Entrambi sono dunque caratterizzati dal fatto che l’oggetto del rapporto giuridico controverso resta identico, il che li distingue dall’accertamento cosiddetto integrativo, che è, invece, emesso sulla scorta della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Sopravvenuta conoscenza che, come visto, va riferita, in concreto, all’Ufficio che ha emesso l’atto.

25 maggio 2016

Giovambattista Palumbo