Firma dell'appello dell'Agenzia non corretta? La prova spetta al contribuente

l’onere di provare che la sottoscrizione apposta sull’atto di appello dell’ufficio finanziario sia validamente apposta dal direttore o dal funzionario delegato incombe al contribuente

giudice2-immagineL’onere di provare che la sottoscrizione apposta sull’atto di appello dell’ufficio finanziario sia validamente apposta dal direttore o dal funzionario delegato incombe al contribuente.

Quanto precede è contenuto nella sent. n. 5201/2016 della Corte di Cassazione da cui emerge che la firma dell’appello dell’ufficio finanziario è validamente apposta da parte del funzionario preposto al reparto competente, anche nel caso in cui non sia esibita in giudizio una specifica delega.

Com’è noto, la questione ha interessato un considerevole numero di funzionari dell’Agenzia delle entrate, a cui è stato conferito un incarico dirigenziale poi prorogato più volte nel corso del tempo. Tali incarichi sono previsti dall’art. 24 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate e hanno consentito il conferimento di incarichi dirigenziali in favore di funzionari non in possesso della relativa qualifica (fino al 2010). Tali dirigenti a vario titolo sono i direttori provinciali “reggenti”; i dirigenti “incaricati” che sottoscrivono gli atti su delega dei reggenti.

Prima di addentrarci nell’argomento, occorre premettere che la Suprema Corte ha espresso sino ad ora orientamenti diversi sull’argomento che lasciano inalterata la soluzione della problematica.

Fatto

Il contribuente ha impugnato alcuni avvisi di accertamento con cui l’ufficio ha ricostruito induttivamente i ricavi ex art. 39, comma 2, Dpr n. 600/1973 eccependo l’insussistenza dei presupposti per tale ricostruzione induttiva nonché l’illegittimità degli avvisi in quanto sottoscritti da parte di soggetto (capo-area controlli) privo del potere di firma e, in ogni caso, per mancato deposito della delega. La CTP ha accolto il ricorso mentre la CTR, accogliendo l’appello dell’ufficio, ha affermato che l’atto è valido in quanto il Capo ufficio controlli è stato incaricato con atto del Direttore Regionale e che la titolarità al contenzioso non necessita di deleghe specifiche.

La Corte di Cassazione ha stabilito che “in tema di contenzioso tributario, gli artt. 10 e 11, co. 2, del D.Lgs n. 546/1992 riconoscono la qualità di parte processuale all’ufficio locale dell’agenzia delle entrate nei cui confronti è stato proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore oda latra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò delegata in via generale”. Da ciò deve ritenersi validamente apposta la sottoscrizione dell’appello dell’ufficio da parte del preposto all’ufficio competente, anche se non viene esibita in giudizio specifica delega, salvo che non viene provata la non appartenenza del funzionario all’ufficio appellante e l’onere della prova spetta al contribuente e non all’ufficio. Nella nuova versione del citato art. 10, così come modificato dal D Lgs n. 15672015, in vigore dal 01/01/2016, oltre alle parti note sono stati aggiunti l’agenzia delle dogane, l’agente della riscossione e gli iscritti all’albo di cui all’art. 53 del D Lgs n. 446/1997. 1)

I giudici della Suprema Corte hanno, pertanto, respinto il ricorso del contribuente, riconoscendo piena validità all’appello siglato dal funzionario dell’agenzia delle entrate…

GIURISPRUDENZA

Il contenuto della sentenza in esame trova conforto in precedenti pronunciamenti.

La sentenza n. 6691/2014 ha affermato che la sottoscrizione dell’atto di appello dell’ufficio finanziario è validamente apposta quando proviene dal preposto al reparto competente (Cfr. Cass. nn. 220/2014 e 874/2009). Quanto precede in quanto la delega da parte del direttore può essere legittimamente conferita in anche via generale mediante la preposizione del funzionario a un settore dell’ufficio con competenze specifiche. Infatti, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 e art. 11, c. 2, riconoscono la qualità di parte processuale proprio all’ufficio locale dell’agenzia delle entrate nei cui confronti è proposto il ricorso. Ne consegue che, ove non sia contestata la provenienza dell’atto d’appello dall’ufficio competente, questo deve ritenersi ammissibile, salvo che non sia eccepita, e provata, la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante, o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza di primo grado, dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà.

Deve segnalarsi l’ordinanza n. 5360/2016 della Cassazione, depositata il 17 marzo u.s. ossia il giorno dopo la sentenza in commento, la quale ha affermato che, fermi i casi di sostituzione e reggenza fiduciaria, è espressamente richiesta la delega a sottoscrivere e che il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione in quanto il potere di organizzazione è riferibile al capo dell’ufficio. Pertanto l’atto è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio, gravando sull’’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere sostitutivo o della delega. (Cass n. 14626/2000).

Sul tema si segnalano, inoltre, alcune sentenze di merito tra cui la sent.n. 184/13/2015 della CTR di Milano (Cfr. anche n. 3222/25/2015); della CTP di Frosinone sent. n. 414/02/2015; della CTP di Brescia sent. n. 277/1/2015 ed alle sent.1789/02/2015 e 1790/02/2015 della CTP di Lecce.

In contrapposizione alla sentenza in commento si annoverano diverse interpretazioni da parte del giudice di legittimità.

Infatti con precedente sentenza n. 24492/2015 è stato affermato se l’ufficio finanziario non prova che l’accertamento è firmato da un funzionario legittimamente delegato l’atto è nullo ossia che gli accertamenti sono nulli tutte le volte che gli avvisi non risultano sottoscritti dal capo dell’ufficio o da un funzionario validamente delegato.

I giudici di legittimità, nel precisare che solo in alcune specifiche ipotesi opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio è adottato, hanno stabilito che l’orientamento in rassegna non è contraddetto dalla sent n. 22800/2015 che, seppur ponendo l’accento sull’impiegato della carriera direttiva, ribadisce che se viene contestato un specifico atto di delega da parte del capo ufficio incombe all’Amministrazione fornire la prova della non sussistenza dell’atto. Quanto precede sia in virtù del principio di leale collaborazione che grava sulle parti processuali che in virtù del principio della vicinanza della prova, non essendo consentito nemmeno al giudice attivare d’ufficio poteri istruttori (Cass n. 18758/2014; 1704/2013).

A parere dello scrivente è auspicabile, al fine di risolvere definitivamente la questione in oggetto, un intervento delle sezioni unite della Cassazione.

 

Nota: Le parti

1. – Sono parti nel processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, gli altri enti impositori, l’agente della riscossione ed i soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che hanno emesso l’atto impugnato o non hanno emesso l’atto richiesto. Se l’ufficio e’ un’articolazione dell’Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuata con il regolamento di amministrazione di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e’ parte l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso.

6 maggio 2016

Enzo Di Giacomo