E’ ammissibile il deposito del PVC in appello

in caso di contenzioso, il Fisco può depositare il PVC da cui ha avuto origine l’avviso di accertamento anche durante il processo di appello, anche se il documento non è stato prodotto in primo grado di giudizio

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.9346 del 9 maggio 2016, ha confermato l’ammissibilità del deposito del p.v.c. da parte dell’ufficio in sede di appello.

La Corte, richiamando un recente pronunciamento (Cass. 22776/2015), ha ribadito che “l’art. 58 d.lgs. 546/1992 abilita alla produzione di qualsivoglia documento in appello, senza restrizione alcuna e con disposizione autonoma rispetto a quella che – nel comma precedente – sottopone a restrizione l’accoglimento dell’istanza di ammissione di altre fonti di prova“.

La Corte ha poi chiarito che detta produzione deve avvenire “tempestivamente e ritualmente“, in sede di gravame, “entro il termine perentorio di cui all’art. 32, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, di venti giorni liberi prima dell’udienza, applicabile in secondo grado stante il richiamo, operato dall’art. 61 del citato decreto, alle norme relative al giudizio di primo grado” e che possono, entro tali limiti, essere legittimamente prodotti in appello anche “documenti tardivamente prodotti in primo grado” (Cass. nn. 3661/2015 e 655/2014).

Nella specie, osservano i supremi giudici, “la produzione documentale è avvenuta contestualmente all’atto di appello e conseguentemente la documentazione doveva essere acquisita al processo e vagliata dai giudici della C.T.R.”.

NOTA

Con la sentenza n. 725 del 19.01.2010 la Corte di Cassazione aveva già affermato che “In tema di contenzioso tributario l’acquisizione d’ufficio dei documenti necessari per la decisione costituisce una facoltà discrezionale, attribuita alle commissioni tributarie dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 3 il cui esercizio, peraltro, non può sopperire al mancato assolvimento dell’onere della prova, il quale grava sull’Amministrazione finanziaria, in qualità di attrice in senso sostanziale, e si trasferisce a carico del contribuente soltanto quando l’Ufficio abbia fornito indizi sufficienti per affermare la sussistenza dell’obbligazione tributaria. Tuttavia qualora la situazione probatoria sia tale da impedire la pronuncia di una sentenza ragionevolmente motivata senza l’acquisizione d’ufficio di un documento, l’esercizio di tale potere si configura come un dovere, il cui mancato assolvimento deve essere compiutamente motivato, (in applicazione di tale principio la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva rigettato l’impugnazione di un avviso di accertamento motivato per relationem attraverso un processo verbale di constatazione, astenendosi immotivatamente dal disporre l’esibizione in giudizio di tale documento)”. In pratica, se necessario per decidere, ovvero per motivare la sentenza, è dovere del giudice acquisirlo, e in ogni caso l’ufficio può produrlo anche in sede di appello.

Successivamente, con la sentenza n. 1385 del 21 gennaio 2011 (ud. del 16 novembre 2010) la Corte di Cassazione aveva confermato che in tema di appello avverso le decisioni delle commissioni Tributarie di primo grado, il D.Lgs. n. 54 del 1992, art. 58, comma 2, consente alle parti di produrre nuovi documenti, indipendentemente dalla circostanza dell’impossibilità incolpevole dell’interessato di produrli in primo grado; requisito, quest’ultimo, richiesto dall’art. 345 c.p.c., u.c., ma non dal citato art. 58. Da ciò consegue che costituisce erronea applicazione della norma in parola l’affermazione secondo cui la produzione documentale nel giudizio d’appello risulta illegittima ove non sia stata provata l’impossibilità incolpevole di versarla agli atti del giudizio di primo grado“. La Cassazione, pertanto, ha ritenuto corretto il comportamento del giudice del riesame che ha preso in considerazione il processo verbale della Guardia di Finanza prodotto solo in appello dall’ufficio.

Ed ancora la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19756 del 19 settembre 2014 (ud. 30 giugno 2014), ha avallato la pronuncia dei giudici di appello dove era stato affermato che “i fatti indicati nell’atto impositivo possono ben essere richiamati per relationem al processo verbale di constatazione a suo tempo regolarmente consegnato … al termine della verifica. La mera mancata produzione in giudizio di tale p.v.c. – in difetto di una specifica dimostrazione di una effettiva lesione del diritto di difesa del contribuente (nella specie neppure tentata o allegata dalla ricorrente) – non inficia, perciò, la ricostruzione in fatto compiuta dalla CTR. La successiva produzione in appello del suddetto p.v.c. non solo è da ritenersi consentita ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art.58, comma 2 (per nuovi documenti, ai sensi di detto art. 58, si intendono quelli non prodotti o irregolarmente prodotti in primo grado: ex plurimis, Cass. n.9604 del 2000; n. 2017 del 2003; n. 200086 del 2005; n. 7714 del 2013), ma nella specie la produzione non era neppure necessaria (come puntualmente rilevato dalla CTR), dato il suddetto richiamo per relationem. Tale osservazione renderebbe irrilevante anche l’eventuale mancato rispetto del termine perentorio previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art.32, comma 1, (cioè fino a venti giorni liberi prima dell’udienza, con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, comma 1, dello stesso decreto): fatto, peraltro, non dedotto dalla ricorrente (sulla perentorietà del termine, anche in assenza di espressa previsione legislativa, ex plurimis: Cass. n.2787 del 2006; n.1915 del 2007; n. 20109 del 2013; n. 655 del 2014)”. La CTR, infatti, “nel rigettare l’appello, ha implicitamente, ma chiaramente, ritenuto irrilevante la mancata produzione in giudizio del p.v.c.…, ritenendo sufficiente la riproduzione nell’atto impositivo (e nel p.v.c.) notificato alla s.r.l. … di alcuni dati contenuti nell’altro p.v.c.. Va ricordato, al riguardo, che il giudice del merito non è tenuto a dare conto del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo averli vagliati nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito, implicitamente disattendendo gli argomenti incompatibili con la decisione adottata (come, nella specie, l’obiezione della contribuente che i dati presi in considerazione dalla CTR e riprodotti nell’atto impositivo erano contenuti in un p.v.c. notificato…, ma non prodotto in giudizio): per tale principio, tra le molte pronunce, Cass. n. 4540 del 1982; n. 14972 del 2006; n. 16650 del 2011; n. 8702 del 2013. La CTR, in effetti, ha preso in considerazione, tra i dati acquisiti in giudizio, quelli contenuti (secondo quanto affermato dalla Guardia di finanza) nel p.v.c. relativo all’….. ed ha negato rilevanza alla mera circostanza formale della mancata produzione in giudizio di tale p.v.c, rendendo cosi evidente il suo complessivo percorso motivazionale. Poichè non è stato ritualmente negato che i dati in discorso siano conformi a quelli contenuti nel p.v.c. e poichè è riservata al giudice di merito la selezione e la valutazione degli elementi probatori, ne deriva che tale motivazione del giudice di merito (non sussistendo vizi logici) è insindacabile. Oltre a ciò, per le ragioni ora esposte, la mancata produzione in giudizio del p.v.c. … non integra neppure il fatto decisivo richiesto dall’art.360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5”.

E ancora di recente, con la sentenza n. 20658 del 14 ottobre 2015 la Suprema Corte di Cassazione ha escluso l’obbligatorietà del deposito del p.v.c, richiamato per relationem dall’avviso di accertamento, consentendone il deposito, anche in un momento successivo, ovvero su impulso del giudice. La questione approdata davanti alla Suprema Corte deriva dall’impugnazione della sentenza di secondo grado, con la quale il giudice d’appello ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo della società avverso l’avviso di accertamento1, “sulla base della considerazione secondo cui, poiché l’avviso di accertamento era motivato con richiamo al processo verbale di constatazione, notificato alla società, e ne costituiva quindi parte integrante, la contribuente avrebbe dovuto, a pena di inammissibilità, depositarlo in originale o in copia all’atto della costituzione in giudizio, ai sensi dell’art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992”. Per la Corte, “la sanzione processuale della inammissibilità del ricorso è stabilita, dall’art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992, soltanto nel caso di mancato deposito degli atti e documenti previsti dal primo comma dello stesso articolo, non anche degli atti previsti dal quarto comma, con la conseguenza che l’originale (o la fotocopia) dell’atto impugnato, contemplato appunto nel quarto comma unitamente ai documentiin genere, può essere prodotto anche in un momento successivo, ovvero su impulso del giudice tributario. Ciò a fortiori vale per il processo verbale di constatazione, nel caso in cui non sia allegato all’avviso di accertamento (o in questo riportato nel suo contenuto essenziale) per essere già conosciuto dal contribuente (come è avvenuto nella fattispecie), anche perché, in linea di principio, l’onere di produrre il p.v.c., dal quale risultano i fatti posti a base dei rilievi contestati con l’atto impugnato, è a carico dell’ente impositore (attore in senso sostanziale), a meno che non sia il contribuente ad invocare circostanze a lui favorevoli, secondo il principio generale di cui all’art. 2697 cod. civ. (cfr. Cass. nn. 18872 del 2007, 3456 del 2009, 21509 del 2010)”.

26 maggio 2016

Gianfranco Antico

1 Nello stesso senso si era espressa la sentenza n. 31 della C.T.R. della Lombardia, Sez. 39, del 20 maggio 2005 (e antecedentemente lo stesso collegio con la sentenza n. 143 del 18 febbraio 2003), con cui i giudici lombardi hanno stigmatizzato la mancata produzione del p.v.c. il cui onere sarebbe posto a carico della parte ricorrente. Per i giudici meneghini, allorché l’avviso di accertamento impugnato richiami per relationem il processo verbale di constatazione, quale sua parte integrante, l’atto impugnato è costituito dall’insieme dei due documenti. Conseguentemente, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto di cui agli artt. 18 e 22 del D.Lgs. n. 546/1992, all’atto della costituzione in giudizio della parte, il ricorrente è onerato di produrre originale o copia dell’avviso di accertamento ma anche originale o copia del processo verbale di constatazione. L’omissione di tali adempimento costituirebbe motivo di inammissibilità del ricorso.