Compravendite immobiliari, prezzo-valore e potestà accertativa

Analisi delle preclusioni alla potestà accertativa del Fisco in caso di compravendite immobiliari che avvengono utilizzando la liquidazione dell’imposta di registro col meccanismo del cosiddetto ‘prezzo-valore’.

prezzo valore e accertamento fiscoLa norma sul prezzo-valore consente oggi la tassazione del trasferimento degli immobili sulla base del loro valore catastale e, al contempo, l’emersione dei valori reali delle compravendite.

Viene così meno ogni convenienza di dichiarazioni dirette all’evasione fiscale (“simulazione del prezzo”), e si elimina il conseguente rischio di riflessi negativi sulla stessa efficacia civile dei trasferimenti immobiliari.

Deve comunque trattarsi di cessioni soggette ad imposta di Registro (escluse quindi, le cessioni soggette ad IVA) nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali.

Sono quindi soggette al prezzo-valore anche le cessioni effettuate da società, imprese o enti, purché nei confronti di “persone fisiche” e purché soggette a imposta di Registro (non IVA).

Deve trattarsi inoltre di immobili ad uso abitativo e relative pertinenze (box, cantine…).

Come confermato dalla stessa Amministrazione Finanziaria, il regime di favore si estende alle pertinenze senza limitazione di numero e anche se acquistate separatamente dal bene principale, purché risulti nell’atto di acquisto la destinazione pertinenziale.

Il sistema vale anche per gli acquisti di abitazioni e relative pertinenze che non possono godere delle agevolazioni “prima casa”. Quindi anche chi acquista una seconda o terza casa, dovrà pagare le imposte secondo le aliquote ordinarie, ma potrà chiedere che la tassazione venga comunque effettuata sulla base del valore catastale.

Si ritiene concordemente che la nozione di “cessione” comprenda, oltre agli atti traslativi del diritto di proprietà, anche quelli traslativi o costitutivi di diritti reali parziali e di godimento (ad esempio la nuda proprietà e l’usufrutto).

La norma si applica a fronte di una precisa richiesta che la parte acquirente deve rendere al notaio.

Il meccanismo del prezzo-valore si applica in ogni caso a condizione che nell’atto sia indicato l’intero prezzo pattuito.

Presenti tutti tali presupposti, ove l’acquirente si avvalga delle norme sul prezzo-valore e dichiari in atto il reale corrispettivo pattuito, non trovano applicazione le norme sull’accertamento induttivo.

Se viene occultato, anche in parte, il corrispettivo pattuito, le imposte sono però dovute sull’intero importo di quest’ultimo e si applica la sanzione amministrativa.

sentenza corte di cassazione

La Cassazione 

In un contesto antecedente a tale disciplina, in parte coincidente con quella previgente, in particolare sotto il profilo del valore automatico preclusivo di accertamento, è intervenuta la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1510 del 27.01.2016.

Nel caso di specie il contribuente cedeva a due acquirenti, rispettivamente, la nuda proprietà e l’usufrutto di un immobile, composto da abitazione e box auto, sito in Roma, dichiarando, ai sensi dell’articolo 52, comma 4, d.p.r. 131/86, il valore complessivo di euro 135.000,00.

L’Agenzia delle entrate notificava quindi avvisi di accertamento e liquidazione, rettificando il valore dichiarato in atto ad euro 264.000,00, sul presupposto che il valore automatico risultante dall’applicazione dell’articolo 52, comma 4, d.p.r. 131/86 ammontava ad euro 136.466,00.

I contribuenti proponevano allora distinti ricorsi alla CTP di Roma, deducendo che la differenza tra il valore dichiarato in atto ed il valore accertato, pari ad curo 1.466,00, era frutto di mero errore di calcolo commesso in sede di stipula del contratto di compravendita, sicché l’avviso di accertamento doveva considerarsi illegittimo.

La Commissione accoglieva entrambi i ricorsi, rideterminando il valore finale del bene in euro 136.466,00, corrispondente a quello calcolato sulla base della valutazione automatica di cui all’articolo 52, comma 4, dpr 131/86.

Le sentenze erano confermate dalla Commissione Tributaria Regionale sul rilievo che il valore dichiarato in atto era in lieve misura inferiore a quello desumibile dal procedimento previsto dall’articolo 52, comma 4, dpr 181/86 e ciò rendeva evidente che si trattava di un errore di conteggio commesso involontariamente in sede di stipula del contratto di compravendita, sicché era inverosimile presumere una volontà precostituita della parte contribuente di indicare un valore che in ogni caso, in sede di esame da parte dell’amministrazione finanziaria, sarebbe stato contestato.

Inoltre non poteva ritenersi congruo il maggior valore determinato dall’ufficio secondo i dati forniti dall’Osservatorio Immobiliare dell’Agenzia del territorio, di cui peraltro non era stata fornita alcuna indicazione.

Avverso le sentenze della CTR proponeva infine distinti ricorsi per cassazione l’Agenzia delle entrate, deducendo violazione di legge in relazione all’articolo 52 d.p.r. 131/86, in quanto la CTR aveva errato nell’applicazione della citata norma, dato che essa prevede che il potere di accertamento dell’Ufficio è limitato solo nel caso in cui il valore dell’immobile risulti non inferiore all’importo ottenuto moltiplicando la rendita catastale per i coefficienti di aggiornamento, mentre a nulla sarebbe valso il fatto che la differenza del valore indicato in atto rispetto a quello così calcolato potesse essere ascritta a mero errore di calcolo.

Il procedimento di valutazione automatica, secondo l’Agenzia, rappresentava in sostanza un limite al potere accertativo dell’Ufficio, ma solo nei casi ed alle condizioni previste dal comma 4 dell’articolo 52 e, cioè, laddove il valore dichiarato risulti non inferiore a quello desumibile dal procedimento descritto dalla medesima norma, e non essendo comunque previsto il diritto del contribuente ad ottenere, ex post, una valutazione pari a quella ottenibile tramite la valutazione automatica.

I giudici di legittimità, evidenziato che la norma enuncia un principio di natura meramente procedimentale, istitutivo di un vincolo, inteso come strumento per ridurre il contenzioso, per l’attività di accertamento della pubblica amministrazione, che viene meno ove il contribuente attribuisca al bene un valore inferiore a quello che deriva dalla “valutazione automatica” e che l’art. 52, c. 4, dpr 26 aprile 1986 n. 131 preclude all’Ufficio finanziario il potere di accertare un valore venale superiore solo se il valore dell’immobile iscritto in catasto con attribuzione di rendita sia stato dichiarato in misura non inferiore all’importo ottenuto moltiplicando la rendita catastale per i coefficienti di aggiornamento, accoglievano il ricorso dell’Agenzia, concludendo quindi che, se il valore del bene è indicato in misura inferiore, l’Ufficio può procedere all’accertamento del valore venale in comune commercio, non essendo attribuito al contribuente il diritto di ottenere in ogni caso la determinazione della base imponibile tramite il meccanismo di calcolo sopra indicato (cfr. Cass. n. 15080 del 2001; Cass. n. 7504 del 1996).

La norma, evidenziano in particolare i giudici, non prevede inoltre che l’errore nell’indicazione del corrispettivo nel quale le parti siano incorse possa costituire ragione ostativa dell’accertamento.

Tanto premesso in ordine al decisum della sentenza, la conclusione sembra a dire il vero un po’ eccessiva, in particolare se riferita, come evidenziato correttamente dalla stessa Corte, a quella che sarebbe la ratio della norma e cioè quella di evitare defatigante contenzioso.

Ed anche considerato che, se l’Ufficio ha la prova dell’occultamento, comunque non vige preclusione.

Insomma non si deve correre il rischio contrario che il dichiarare (anche per errore) un importo inferiore alla valutazione automatica diventi esso stesso indice di presunzione di evasione.

La L. 23 dicembre 2005, n. 266 (legge Finanziaria 2006), a far data dall’1 gennaio 2006, ha dunque introdotto il sistema del c.d. “prezzo-valore”, che consente (allargandone la sfera soggettiva) di individuare l’imponibile secondo i criteri della valutazione automatica.

In particolare, l’art. 1, c. 497, di tale legge ha stabilito che per le cessioni di immobili e relative pertinenze tra privati, che non agiscono nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, l’imponibile è costituito dal valore catastale, indipendentemente dal corrispettivo pattuito purché l’acquirente ne faccia richiesta, con dichiarazione resa al notaio e recepita nell’atto.

L’art. 35, c. 21, del citato decreto ha dunque stabilito che il corrispettivo debba essere obbligatoriamente indicato in atto. E, in caso di occultamento, anche parziale, del corrispettivo pattuito, le imposte sono dovute sull’intero importo di quest’ultimo e si applica, inoltre, una sanzione amministrativa calcolata sulla differenza tra l’imposta dovuta e quella già applicata in base al corrispettivo dichiarato, detratto l’importo della sanzione eventualmente già irrogata ex art. 71 del Tur.

Quanto ai profili temporali, la Circolare n. 6/E del 6 febbraio 2007 dell’Agenzia delle Entrate ha stabilito che la (nuova) limitazione della preclusione all’accertamento di cui alla “valutazione automatica” non ha effetto retroattivo e riguarda gli atti stipulati dal 12 agosto in poi (data di entrata in vigore della legge di conversione n. 248 del 4 agosto 2006).

La preclusione all’accertamento (sotto certi aspetti, invero, anche più difficile da realizzare rispetto alla precedente disciplina) viene però meno nel caso in cui, all’atto di cessione dell’immobile, non sia stata resa la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà contenente l’indicazione analitica delle modalità di pagamento, del mediatore di cui eventualmente ci si è avvalsi e delle spese di mediazione, ivi comprese le informazioni sull’agente immobiliare coinvolto.

Negli atti aventi ad oggetto la cessione di beni immobili, ciascuna delle parti (cedente e cessionario) è quindi tenuta a rendere una dichiarazione sostitutiva attestante:

  • le analitiche modalità di pagamento del corrispettivo, avendo riguardo non soltanto al saldo, bensì anche ad eventuali caparre e acconti;
  • le seguenti informazioni in merito all’attività prestata dal mediatore, se intervenuto:
    • l’ammontare della spesa sostenuta per l’attività di mediazione;
    • le analitiche modalità di pagamento della stessa;
    • il numero di partita Iva o del codice fiscale dell’agente immobiliare;
    • se il mediatore (agente immobiliare) è una persona fisica, il numero di iscrizione al ruolo degli agenti di affari in mediazione e la CCIAA di riferimento del titolare;
    • se il mediatore (agente immobiliare) non è una persona fisica, la denominazione ovvero la ragione sociale della società di intermediazione (agenzia immobiliare), il numero di iscrizione al ruolo degli agenti di affari in mediazione; la CCIAA di riferimento del legale rappresentante, ovvero del mediatore non legale rappresentante che ha operato per la società.

L’omissione delle predette dichiarazioni, ovvero la loro incompletezza o falsità comporta conseguenze sanzionatorie e, ai fini dell’imposta di registro, espone, come detto, all’azione di rettifica di valore.

Se è vero infatti che il fisco non può più contestare il valore “catastale” denunciato dal contribuente, può verificarsi il caso in cui l’amministrazione finanziaria venga a conoscenza di atti certi ed inoppugnabili, come ad esempio, una sentenza o un preliminare di vendita, dai quali risulti, in maniera inequivocabile, che nell’atto, presentato per la registrazione, è stato indicato un prezzo inferiore a quello effettivamente pagato dal compratore.

Al verificarsi di questa eventualità, si applica allora la disposizione contenuta nell’articolo 72 del Testo Unico delle imposte di Registro, in base alla quale l’imposta di registro già pagata dall’acquirente, in sostanza, verrà considerata, dall’amministrazione finanziaria, come un acconto sull’imposta effettivamente dovuta.

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23 maggio 2016

Giovambattista Palumbo