Accertamento sintetico: i presupposti per l'accertamento

partendo da un caso di giurisprudenza, analizziamo i presupposti legali su cui il Fisco può basare l’accertamento con modalità sintetiche; puntiamo il mouse soprattutto sul concetto di capacità contributiva e sugli indici che il Fisco può utilizzare per ricostruire tale capacità

30/10/2014 Roma, Rossella Orlandi, direttore dell'Agenzia delle Entrate
Rossella Orlandi, direttore dell’Agenzia delle Entrate

Con la sentenza n. 87/5/16 del 18 gennaio 2016 la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze è tornata sui presupposti di legittimità di un accertamento sintetico. Nel caso di specie la ricorrente si doleva dell’atto notificato dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Firenze, assumendo di aver dato idonea prova di come le provviste per far fronte al mantenimento sia della casa si proprietà che delle due autovetture provenissero interamente dalle disponibilità finanziarie del compagno, ex convivente e padre di suo figlio.

Secondo i giudici di merito, tuttavia, i rilievi dell’Ufficio erano fondati, in quanto l’accertamento sintetico, con metodo induttivo, consentito all’amministrazione finanziaria dalle norme contenute nel d.P.R. n. 600/73, art. 38, cc. 4 e 5, consiste appunto nell’applicazione di presunzioni, in virtù delle quali l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto (nel caso di specie, acquisto di azienda e possesso di autoveicoli) a quello ignoto (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva).

La suddetta presunzione genera peraltro l’inversione dell’onere della prova, trasferendo sul contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà (Cassazione civile, sez. trib., 15/06/2010, n. 14434). Infatti dice la Commissione, ai sensi dell’art. 38 D.P.R. 600/73 comma 4, “l’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’articolo 39, può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d’imposta, salva la prova che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile”.

La CTP rileva poi che la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il redditometro, da un lato non pone alcun problema di retroattività per i redditi maturati in epoca anteriore, stante la natura procedimentale degli strumenti normativi secondari (emanati ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4); e dall’altro dispensa l’amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, essendo gli stessi già individuati nei decreti medesimi. Ne consegue che è legittimo l’accertamento fondato sui predetti fattori-indice, provenienti da parametri e calcoli statistici qualificati, restando a carico del contribuente, posto comunque nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (ex multis, Cass. n. 9539 del 2013, e n. 22285 del 2011).

Nella specie, peraltro, l’ufficio aveva accertato, oltre all’investimento patrimoniale, il possesso da parte del contribuente di determinati beni (autoveicoli), costituenti quegli “elementi e circostanze di fatto certi” di cui parla il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, c. 4, e sintomatici di una capacità di spesa da cui derivava la presunta corrispondente disponibilità di un adeguato reddito in capo al soggetto.

La disponibilità di tali beni, come degli altri previsti dalla norma, costituisce, quindi, una presunzione di “capacità contributiva”, da qualificare “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., essendo la stessa legge a imporre di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una capacità contributiva. Pertanto, il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’ufficio, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva contributiva che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile, o perché già sottoposta ad imposta, o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma. Nel caso di specie, la ricorrente non aveva fornito la documentazione probatoria concernente la dimostrazione che il maggior reddito accertato era costituito da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta e dunque l’accertamento andava confermato.

La determinazione sintetica del reddito avviene dunque oggi mediante la presunzione relativa che tutto quanto è stato speso nel periodo d’imposta sia stato finanziato con redditi del periodo medesimo, ferma restando la possibilità per il contribuente di provare che le spese sono state finanziate con altri mezzi, ivi compresi i redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile.

A detta presunzione si affianca, come detto, con pari efficacia, quella basata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato, con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza, ferma restando la prova contraria del contribuente. In entrambi i casi il contribuente è tutelato da una «clausola di garanzia»: la determinazione sintetica è consentita solo quando lo scostamento tra il reddito complessivo determinato presuntivamente e quello dichiarato sia pari ad almeno il 20%.

Il contribuente è poi ulteriormente garantito dalla possibilità di fornire eventuali elementi di prova per giustificare lo scostamento tra il reddito dichiarato e la capacità di spesa a lui attribuita, sia prima che dopo l’avvio del procedimento di accertamento con adesione, che deve essere obbligatoriamente attivato, in ossequio alle disposizioni contenute nello Statuto del contribuente. L’accertamento sintetico prende dunque in considerazioni i beni “significativi” sotto due punti di vista: dell’incremento patrimoniale, ovvero della necessità di un certo reddito per acquistare quei beni, reddito che quindi si presume nella disponibilità del contribuente, salvo prova contraria da parte dello stesso; della disponibilità patrimoniale per mantenere i predetti beni: sotto questo punto di vista vale il ragionamento secondo cui, se una persona acquista una macchina del valore di euro 40.000, si presume in grado di soddisfare tutta una serie di altri bisogni, che, quindi, rientrano nel calcolo della ricchezza a disposizione della persona, che avviene tramite i coefficienti ministeriali.

Le conclusioni raggiunte dai giudici di merito nella sentenza citata sono in linea, peraltro, con la consolidata giurisprudenza della Corte Suprema, la quale (vedi anche Ordinanza n. 21661 del 22 ottobre 2010) ha ricordato come la disciplina dell’art. 38, D.P.R. n. 600/1973 contempla i criteri di rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche e prevede che il controllo della congruità delle stesse venga effettuato partendo da dati certi, utilizzando gli stessi come indici di capacità di spesa per dedurne, avvalendosi di specifici e predeterminati parametri di valorizzazione, l’effettivo (o comunque più verosimile) reddito del contribuente.

Quindi, poiché le presunzioni poste sono soltanto relative e non assolute, se da una parte la determinazione del reddito, effettuata sulla base dell’applicazione del cosiddetto redditometro, non impedisce al contribuente di dimostrare, in modo concreto, che egli possiede un reddito inferiore, dall’altra, l’accertamento effettuato sulla base dell’applicazione del redditometro dispensa l’Amministrazione Finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti indici di maggiore capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria fatta valere.

È quindi compito del contribuente fornire la “prova contraria”, per dimostrare che il finanziamento delle spese effettuate è avvenuto: con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta; con redditi esenti, o soggetti a ritenuta alla fonte; con redditi che non concorrono alla formazione del reddito imponibile. L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 31 luglio 2013, n. 24/E, par. 2.3, ha comunque affermato che, quale prova contraria, il contribuente potrà utilizzare anche “argomentazioni logiche” a sostegno di una diversa rappresentazione di fatto della sua situazione reddituale. Saranno così considerate “anche le evidenze e le argomentazioni in concreto rappresentate dal contribuente, logicamente sostenibili, pur non supportate da documentazione, nell’ottica di assicurare l’economicità dell’azione amministrativa”. Si conferma dunque, ancora una volta, la piena validità ed efficacia accertativa dello strumento accertativo.

18 maggio 2016

Giovambattista Palumbo