Deducibilità dei costi black-list fra vecchia e nuova normativa

la modifica all’articolo 110 del TUIR cambia dal 2016 la disciplina dei costi black list: tale modifica alla disciplina dell’indeducibilità può avere valore nelle contestazioni relative ad accertamenti su anni precedenti? Segnaliamo un’interessante sentenza della CTP di Firenze con alcune valutazioni sul contenzioso relativo ai costi provenienti da paradisi fiscali dopo la novella normativa

lente-antiriciclaggio-immagineLa Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, con la sentenza n. 421/2/16 del 14.03.2016, ha affrontato un caso relativo alla contestata deducibilità dei costi black list, facendo anche riferimento agli effetti della nuova disciplina normativa recentemente introdotta.

Nel caso di specie la società contribuente aveva impugnato l’avviso di accertamento con cui veniva contestata, ai sensi dell’art. 110, cc. 10 e 11 TUIR, l’indebita deduzione dei costi derivanti da operazioni con imprese residenti in Paesi c.d. black list relativi ad acquisti di metalli preziosi.

La contestazione riguardava in particolare le prove fornite da parte della contribuente della sussistenza delle esimenti previste dall’art. 110, c. 11 TUIR e relative all’effettivo esercizio di attività commerciale da parte dei fornitori e/o all’effettivo interesse economico sotteso agli acquisti.

L’Ufficio riteneva infatti che, nonostante l’effettività delle operazioni, la documentazione presentata e le memorie non fossero idonee a provare la sussistenza di tali esimenti, anche considerati i collegamenti tra la ricorrente e le società fornitrici e i raffronti tra prezzi e condizioni delle operazioni con paesi Black list e con istituti di credito nazionali White list.

I ricorrenti chiedevano quindi l’annullamento degli atti impugnati, evidenziando, tra le altre:

  • l’incremento di fatturato ed utile e la sistematica convenienza economica degli acquisti black list con sconti sul prezzo ufficiale di mercato, che invece l’Ufficio non aveva ritenuto sufficienti a provare l’effettivo interesse economico;

  • l’effettività ed inerenza delle operazioni, la strumentalità di tali forniture rispetto alla strategia aziendale adottata dalla ricorrente, che da cliente era divenuta fornitrice di oro degli istituti di credito, con la conseguente necessità di ampliare la gamma dei fornitori di oro fisico, di cui comunque i fornitori black list costituivano quota residuale.

Alla luce di tali considerazioni, secondo la contribuente, dovevano quindi essere riconosciute come sussistenti tutte e due le esimenti di cui all’art. 110, comma 11, TUIR, di cui la ricorrente aveva inoltre dato prova anche con certificazioni delle Camere di Commercio e/o di primari istituti internazionali che attestavano l’esistenza e l’operatività, ancora in essere, dei fornitori.

L’Ufficio, per conto suo, evidenziava invece che l’art. 110 TUIR ha una funzione antielusiva, richiedendo la prova che le imprese straniere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva (e non solo che l’operazione sia reale), quale onere aggiuntivo imposto alle imprese che scelgono di intrattenere rapporti commerciali con fornitori residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, e che, in quanto tale, non viola né l’art. 53 della Costituzione, né i principi comunitari sulla libera circolazione delle merci.

La ricorrente, secondo l’Agenzia, non aveva del resto fornito, neppure in sede di giudizio, prova del concreto esercizio di attività commerciale da parte dei fornitori, non essendo sufficiente la prova della loro esistenza, né dell’effettivo interesse economico, che deve essere peraltro valutato rispetto a operatori white list a loro volta convenienti (e dunque comparabili).

La ricorrente, infine, evidenziava comunque che l’art. 5, c.a 1, del D.Lgs 147/2015, con effetto dal 2015, ha stabilito che i costi di cui trattasi, purché afferenti operazioni effettive, sono deducibili nei limiti del valore normale dei beni acquistati, salva la prova dell’effettivo interesse economico conseguito dal soggetto passivo IRES e che l’art. 1, c. 142, L 208/2015 ha abrogato l’art. 110 c. 10-12 bis, con effetto dal 2016, dovendo quindi ora i costi in questione essere considerati deducibili secondo i criteri generali ex art. 109 TUIR.

Il recente intervento normativo, confermava quindi, secondo il contribuente, che la normativa precedente conteneva una presunzione di fittizietà delle operazioni con fornitori residenti nei paesi black list, con conseguente inversione dell’onere della prova rispetto alla esistenza effettiva dell’operazione.

In caso contrario, qualora cioè la funzione della normativa precedente fosse stata quella di contrastare operazioni elusive finalizzate a erodere la base imponibile prodotta in Italia, le nuove norme, in quanto non prevedono la loro applicazione a tutti i rapporti impositivi non definiti alla data di entrata in vigore, avrebbero prodotto effetti discriminatori in relazione all’art. 3 della Costituzione, da sottoporre al giudizio della Corte Costituzionale.

La Commissione, accoglieva il ricorso del contribuente, affermando che era pacifico che le operazioni di acquisto delle materie prime fossero effettive, laddove, nel caso di specie, anche la Guardia di Finanza aveva dato atto della strumentalità delle forniture black ist rispetto alla strategia di impresa della ricorrente, divenuta nel tempo fornitrice degli Istituti bancari, con l’ampliamento dei volumi trattati e la conseguente necessità di ampliare anche la gamma dei fornitori, anche black list, che risultavano tuttavia residuali rispetto al totale.

Gli acquisti inoltre erano effettivamente avvenuti ad un prezzo sistematicamente inferiore rispetto a quello di mercato e che i fornitori black list svolgessero attività commerciale era stato anche dimostrato con certificazioni della camera di Commercio o organo equipollente dello Stato straniero.

In conclusione, secondo i giudici di merito, l’art. 110 TUIR, nel disporre la non deducibilità dei costi sostenuti con fornitori dei Paesi black list la non applicazione di tale disposizione qualora il contribuente provi l’effettivo esercizio di attività commerciale da parte dei fornitori, o l’effettivo interesse economico sotteso agli acquisti, opera una presunzione relativa di fittizietà delle operazioni (come dimostrano, indirettamente, le norme sopravvenute), invertendo l’onere della prova relativamente alle due esimenti, che pone a carico del contribuente.

Prova contraria che comunque, nel caso di specie, il contribuente aveva fornito.

Tanto premesso, si evidenzia che, in tema di paradisi fiscali, la disposizione contenuta nell’art. 110, c. 10, del Tuir assume(va) senz’altro una funzione di rilievo.

L’art. 110, c. 10, del Tuir, nella versione vigente fino all’entrata in vigore del recente decreto internazionalizzazione, richiamato anche nella sentenza in commento, prevedeva infatti l’indeducibilità delle componenti negative di reddito generatesi tra imprese residenti ed imprese fiscalmente domiciliate in Stati aventi regimi fiscali privilegiati.

L’articolo 110 del Tuir, ai commi 10 e 11, disponeva, come visto, che non erano ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis (cosiddetta white list). Tale deduzione era ammessa invece, per le operazioni con imprese residenti o collocate in Stati dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al citato decreto.

Ai sensi del comma 11 i costi risultavano inoltre comunque deducibili quando le imprese residenti in Italia avessero fornito la prova che le imprese estere localizzate nei “paradisi fiscali”, svolgevano prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondevano a un effettivo interesse economico e che le stesse avessero avuto concreta esecuzione.

La disapplicabilità della norma di sfavore operava, dunque, a condizione che il contribuente italiano fosse in grado di provare, alternativamente, la sussistenza di una delle circostanze rappresentate, rispettivamente:

  • dallo svolgimento prevalente, da parte dell’impresa estera, di un’attività commerciale effettiva;

  • dalla rispondenza delle operazioni, le quali devono avere avuto concreta attuazione, a un effettivo interesse economico dell’impresa italiana.

La scelta imprenditoriale doveva avere, quindi, una valida giustificazione di tipo economico, da intendersi riferita alla circostanza che non solo il prezzo della merce importata, ovvero dei servizi ricevuti, fosse inferiore a quello praticato in altro Paese (economicamente comparabile), ma anche che tutte le altre condizioni di vendita (termini di consegna e di pagamento, qualità dei materiali, costo di trasporto, ecc.) fossero identiche e che gli elementi conoscitivi offerti dalla società rappresentassero fedelmente la realtà aziendale.

In mancanza di tale prova non risultava, infatti, superata la regola generale, prevista direttamente dalla legge, dell’indeducibilità di tali costi.

La deduzione dei costi era quindi ammessa in via di eccezione solo se il contribuente esibiva la prova che le imprese estere svolgevano un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondevano a un effettivo interesse economico e avevano avuto concreta esecuzione.

Ne conseguiva che, ove mancava anche una sola delle condizioni cui era subordinata l’eccezione, si applicava la regola del divieto.

L’articolo 4 del Decreto crescita ed internazionalizzazione (D.Lgs. 147/2015) è poi però intervenuto modificando la disciplina in merito alla deducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con soggetti residenti, ovvero localizzati in Stati o territori aventi regimi fisali privilegiati di cui all’articolo 110, commi 10 – 12-bis, Tuir.

Una prima novità del D.Lgs. 147/2015 consiste, attraverso una modifica del comma 10, nel passare da una presunzione relativa di indeducibilità di tali costi (salva la prova della sussistenza delle circostanza esimenti sopra individuate) ad una presunzione legale di deducibilità nel limite del valore normale determinato ai sensi dell’articolo 9 del Tuir.

Solamente per la parte di costo che eccede il valore normale è dunque necessario fornire prova delle circostanze esimenti per garantirne la deducibilità.

Le modifiche al comma 11 hanno inoltre variato tali circostanze esimenti necessarie esclusivamente al fine di dedurre la parte di costo eccedente il valore normale.

È sufficiente ora fornire la prova che le operazioni:

  • rispondano ad un effettivo interessi economico;

  • abbiano avuto concreta attuazione.

Non è, invece, più prevista la prova dell’effettivo svolgimento, da parte del soggetto estero, di un’attività commerciale in via prevalente, difficilmente reperibile e documentabile, quantomeno senza la collaborazione del fornitore estero.

Queste nuove disposizioni trovano applicazione anche per i costi relativi ai servizi resi da professionisti domiciliati nei Paesi aventi regime fiscale privilegiato, che sarebbero pertanto deducibili senza prove o formalità, se di importo non eccedente il valore normale.

Resta ferma la necessità che il soggetto residente indichi i componenti negativi in questione in modo separato in dichiarazione, in modo da “segnalarli” all’Amministrazione finanziaria, sia con riferimento all’ammontare compreso entro il valore normale che per quello eccedente.

In particolare si tratterà di indicare il totale dei costi black list (entro e oltre il valore normale) come variazioni in aumento in dichiarazione (rigo RF29 modello Unico SC 2015) e come variazioni in diminuzione (rigo RF 52 modello Unico SC 2015), sempre per l’ammontare compreso entro il valore normale e per l’ulteriore parte eccedente, solo se il contribuente ritiene di essere in grado di fornire le prove “ridotte” di cui al novellato articolo 110, comma 11, Tuir.

Si ricorda che la mancata separata indicazione in dichiarazione, pur non comportando l’indeducibilità dei costi, comporta l’irrogazione di una sanzione pari al 10% del relativo ammontare, con un minimo di 500 € ed un massimo di 50.000 €.

Per espressa previsione normativa, le disposizioni commentate trovano applicazione a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto (7 ottobre 2015) e quindi, per i soggetti con periodo di imposta coincidente con l’anno solare, dal 2015.

La Stabilità 2016, con i commi 142-144, ha poi però comunque ulteriormente modificato la disciplina sulla deducibilità dei costi connessi a operazioni con Paesi black list.

Le novità si applicano dal periodo d’imposta successivo a quelli in corso al 31 dicembre 2015.

In primo luogo, è stata abrogata la disciplina speciale che prevedeva, in caso di operazioni intercorse con soggetti operanti in Paesi o Stati a regime fiscale privilegiato, la deducibilità dei costi nei limiti del valore normale delle componenti negative, a meno che non fosse stato provato che le operazioni compiute non rispondessero a un effettivo interesse economico, concretamente eseguito. Pertanto, anche con riferimento a tali componenti negative, vanno applicate le disposizioni generali sulla deducibilità fiscale dei costi contenute nell’articolo 110 del Tuir.

Modificato anche il contenuto dell’articolo 167 del Tuir nella parte in cui erano individuati gli Stati o territori considerati come aventi regime fiscale privilegiato ai fini dell’applicazione della disciplina sulle cfc.

D’ora in avanti, per individuare gli Stati black list cfc, è previsto un criterio unico e oggettivo consistente nella presenza di un livello nominale di tassazione inferiore al 50% di quello applicabile in Italia.

Inoltre, in presenza di particolari condizioni relative per lo più a un basso livello di tassazione, la disciplina sulle cfc potrà essere applicata anche a stati membri dell’Unione europea o a Paesi dello Spazio economico europeo che hanno in essere un accordo con l’Italia in materia di scambio di informazioni ai fini fiscali.

È stato introdotto, inoltre, uno specifico obbligo a carico delle imprese multinazionali tenute alla redazione del bilancio consolidato (con fatturato consolidato almeno pari a 750 milioni di euro), consistente nell’invio all’Agenzia delle Entrate di un rendiconto, distinto paese per paese, con l’ammontare dei ricavi lordi, le imposte pagate e maturate e tutti gli altri elementi indicatori di un’attività economica effettiva.

L’omessa o inesatta presentazione di tale rendicontazione, le cui modalità, termini ed elementi saranno stabiliti con apposito decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze, comporterà una sanzione pecuniaria da 10mila a 50mila euro.

Tanto sottolineato in ordine al percorso di modifica normativo recentemente intervenuto sulla materia, si ricorda infine che la Corte di Cassazione con la Sentenza n. 20033 del 7 ottobre 2015 ha stabilito che, in caso di contestazione in ordine alla deducibilità dei costi black list, l’Amministrazione, prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento, deve notificare al contribuente un apposito avviso, concedendogli la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove dei presupposti richiesti dalla norma per la deducibilità dei costi, anche quando egli non abbia adempiuto all’obbligo di indicare specificamente gli stessi costi nella dichiarazione dei redditi.

7 aprile 2016

Giovambattista Palumbo