La revisione del sistema dei reati tributari

sono tanti i dubbi che hanno espresso i nostri lettori sulla revisione del sistema sanzionatorio penal-tributario; facciamo il punto sui diversi e più comuni reati tributari dopo le tante novità legislative: i casi di dichiarazione fraudolenta, infedele od omessa; l’occultamento di documenti contabili; gli omessi versamenti di IVA e ritenute; le compensazioni indebite; le possibilità di confisca…

toto-carcere-immagineAspetti generali

La sanzionabilità dei comportamenti di tipo tributario (dichiarativo e non) disapprovati dall’ordinamento è stata storicamente scissa tra il campo penale delle violazioni costituenti delitti o contravvenzioni, e quello amministrativo, delle violazioni semplicemente connesse all’evasione d’imposta o al mancato o non corretto adempimento delle norme fiscali (tale situazione emerge in modo chiaro nel testo della L. 7.1.1929, n. 4 [«Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie»].

Mentre l’applicazione delle sanzioni tributarie amministrative compete all’amministrazione funzionalmente preposta alla loro irrogazione, e quindi (per la maggior parte dei tributi erariali) all’Agenzia delle Entrate, le sanzioni penali [relative ormai tutte a delitti, dopo la riforma attuata con il D.Lgs. 10.3.2000, n. 74] rientrano nella competenza del giudice ordinario penale.

La sfera del diritto penale tributario costituisce una branca specializzata nell’ambito del diritto penale, che può operare solamente in presenza di un sistema di norme, adempimenti e controlli finalizzati a garantire l’assolvimento degli obblighi tributari, ovvero ad adottare le relative contromisure.

In attuazione della legge delega 11 marzo 2014, n. 23/E, il 24.9.2015 è stato emanato il D.Lgs. n. 158, che ha attuato una revisione generale sia delle sanzioni tributarie amministrative che di quelle collegate a violazioni tributarie. Nelle pagine che seguono si cercherà di illustrare le principali innovazioni contenute nel decreto legislativo di riforma, con riferimento sia alla delega, sia al dossier predisposto dai servizi studi parlamentari.

La delega fiscale

L’art. 8 della richiamata L. n. 23/2014 reca i principi e criteri direttivi per la revisione del sistema sanzionatorio penale, che doveva essere attuata:

  • secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità;

  • attribuendo rilevanza ai reati riferibili a comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e utilizzo di documentazione falsa [con previsione di sanzioni minime più elevate].

Era altresì prevista l’individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie, nonché la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti, con la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità.

La delega prevedeva anche che l’autorità giudiziaria potesse affidare i beni sequestrati in custodia giudiziale all’amministrazione finanziaria, in luogo degli organi della polizia giudiziaria, al fine di utilizzarli direttamente per le proprie esigenze operative, e il chiarimento della portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini per l’accertamento1.

Le definizioni generali

L’art. 1 del D.Lgs. n. 158/2015, che innova l’art. 1 del D.Lgs. n.74/2000, ha revisionato le definizioni accolte nel testo normativo, precisando quanto segue:

  • per «dichiarazioni» si intendono anche i modelli presentati dal sostituto d’imposta;

  • quanto alla nozione di «imposta evasa», non è stata accolta un’osservazione delle Commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato, intesa a includere in tale definizione anche l’imposta teorica collegata alla rettifica di perdite;

  • in relazione alle «operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente» è stata accolta l’osservazione resa dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera, volta a chiarire che con tale definizione si intendono le operazioni apparenti, diverse dalla fattispecie di abuso del diritto, poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte, ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti;

  • non è stata invece accolta l’osservazione delle stesse Commissioni riunite che chiedeva di rivedere la definizione di «operazioni simulate» facendo riferimento a una situazione oggettiva solo apparente, mentre la situazione giuridica occulta è l’unica reale e vincolante [tale revisione non è stata attuata perché comportava il rischio di attrarre nella definizione di simulazione le fattispecie di abuso del diritto];

  • non è stata accolta neppure l’osservazione secondo la quale si sarebbe dovuto ricomprendere nell’ambito di una medesima categoria le definizioni di operazioni simulate e mezzi fraudolenti [questi ultimi definiti come le condotte artificiose attive, oltre che quelle omissive, realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico che determinano una falsa rappresentazione della realtà].

Le dichiarazioni fraudolente

La fattispecie della dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti è disciplinata dall’art. 2 del D.Lgs. n 74/2000, il quale dispone che:

  • è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi;

  • il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti se tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Attraverso la soppressione della parola «annuali» nell’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n 74/2000, il decreto sanzioni estende il novero delle dichiarazioni rilevanti al fine del reato ivi previsto, estendendo la portata della sanzione penale a tutte le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all’IVA, comprese quelle che vengono presentate in occasione di operazioni straordinarie o nell’ambito di procedure concorsuali.

Il successivo art. 3 del D.Lgs. n 74/2000 riguarda la diversa ipotesi della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, prevedendo che, al di fuori dai casi previsti dall’art. 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti atti a ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica nelle dichiarazioni fiscali elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente:

  • l’imposta evasa è superiore, con riferimento a ognuna delle singole imposte, a 30.000 euro;

  • l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque a 1.500.000 euro, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie è superiore al 5% dell’ammontare dell’imposta o comunque a 30.000 euro.

Il comma 2 dell’articolo in esame stabilisce che il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Secondo il comma 3, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali.

Intervenendo su questa fattispecie di reato tributario, il decreto sanzioni del 2015 ha apportato modifiche che hanno interessato la condotta punibile e la soglia di punibilità, e hanno esplicitamente escluso da tale fattispecie la mancata fatturazione o la sottofatturazione.

Con la modifica della struttura dell’illecito, il delitto si è trasformato da reato proprio dei soli contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili in reato ascrivibile a qualunque soggetto tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi o a fini IVA.

È rimasta ferma la pena, da un anno e sei mesi a sei anni, nei confronti di chiunque, a fini di evasione, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in dichiarazione elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizie.

Rispetto alla formulazione previgente è scomparsa la disposizione che richiedeva l’elemento della «falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie».

Sul piano oggettivo, poi, è stata estesa la condotta punibile in quanto il reato viene ora integrato, oltre che nel caso di indicazione in dichiarazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, anche quando la falsa indicazione ha ad oggetto crediti e ritenute fittizi.

La dichiarazione infedele

Quanto al reato di dichiarazione infedele, di cui all’art. 4 del D.Lgs. n 74/2000, il D.Lgs. n. 158/2015 è intervenuto innalzando le soglie di punibilità, escludendo dall’ambito applicativo della norma una serie di condotte, e prevedendo inoltre una «franchigia» percentuale di non punibilità.

La norma in esame, che punisce con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, indica in dichiarazione elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, se sussistono congiuntamente i seguenti presupposti (soglie di punibilità):

  1. imposta evasa superiore a 150 mila euro con riferimento a taluna delle singole imposte (la soglia precedente era di 50 mila euro);

  2. elementi attivi sottratti all’imposizione (anche considerando gli elementi passivi fittizi) superiori al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione (soglia invariata) o comunque superiore a 3 milioni di euro (soglia aumentata rispetto alla previgente soglia di 2 milioni).

Il comma 1-bis dell’articolo, inserito dal decreto sanzioni, prevede che, ai fini della configurabilità del delitto di dichiarazione infedele, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati in bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza e della non deducibilità di elementi passivi reali.

Il nuovo comma 1-ter stabilisce, inoltre, che non danno comunque luogo a fatti punibili a titolo di dichiarazione infedele le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10% da quelle corrette e che degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b).

La verifica del superamento delle soglie di punibilità previste per l’ipotesi di dichiarazione infedele dovrà quindi ignorare gli importi compresi entro il 10%, anche se lo scarto complessivo supererà il limite tollerato.

I dossier parlamentari fanno presente che in sede di approvazione del D.Lgs. n. 158/2015 è stata accolta la condizione contenuta nel parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera, volta a sostituire la parola «fittizi», ovunque presente nel testo dell’articolo, con la parola «inesistenti», al fine di rendere la struttura del reato perfettamente coerente con il carattere dell’infedeltà.

La dichiarazione omessa

Riformando l’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000, il legislatore delegato ha anche ritoccato la fattispecie penale relativa alla dichiarazione omessa, la cui pena è ora fissata tra un anno e sei mesi a quattro anni di reclusione [la pena previgente era da un anno a tre anni].

Allo stesso tempo è stata però elevata la soglia di punibilità, che scatta ora quando l’imposta evasa è superiore a 50.000 euro [rispetto ai precedenti 30.000 euro].

Il comma 1-bis dell’articolo, di nuova introduzione, prevede il reato di omessa dichiarazione del sostituto d’imposta che punisce, con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni, chiunque non presenta, essendovi tenuto, la dichiarazione di sostituto d’imposta [modello 770], quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore a 50.000.

Per entrambi i reati previsti dall’art. 5 [dichiarazione «propria» omessa e dichiarazione del sostituto omessa], i limiti massimi di pena – superiori a tre anni – consentono, ex art. 280 c.p.p., l’applicazione di misure coercitive diverse dalla custodia in carcere [arresti domiciliari, divieto di espatrio, obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, divieto e obbligo di dimora].

Sono state accolte le condizioni contenute nel parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera, rispettivamente volte a:

  • uniformare le sanzioni per le due fattispecie previste;

  • estendere al nuovo reato di omessa dichiarazione del sostituto d’imposta la previsione in forza della quale non si considera omessa la dichiarazione presentata entro 90 giorni dalla scadenza del termine, o non sottoscritta, o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

L’occultamento e la distruzione di documenti contabili

L’art. 6 del decreto sanzioni, intervenendo sull’art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000, ha elevato la pena edittale applicabile a chi, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. La nuova pena va da un anno e sei mesi fino a sei anni di reclusione [la pena previgente era da sei mesi a cinque anni].

Il superamento della soglia dei cinque anni, ai sensi degli artt. 266 e 280 del c.p.p., comporta – nelle indagini per l’occultamento e la distruzione di documenti contabili – il possibile utilizzo sia delle intercettazioni telefoniche che della custodia cautelare in carcere.

L’omesso versamento di ritenute

L’art. 7 del decreto sanzioni, modificando l’art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000, ha chiarito la portata del reato di omesso versamento di ritenute certificate e ha innalzato la relativa soglia di non punibilità da 50.000 a 150.000 euro.

Il reato di omesso versamento di ritenute certificate punisce con la reclusione da sei mesi a due anni [pena non modificata] chiunque non versa, entro il termine ordinario per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto di imposta, le ritenute dovute sulla base della dichiarazione, ovvero risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a 150.000 per ciascun periodo d’imposta.

Affinché il reato si configuri, quindi, le omissioni non devono più necessariamente risultare dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, essendo sufficiente che esse siano dovute in base alla dichiarazione.

È stata accolta l’osservazione fatta delle Commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato, volta ad integrare la rubrica dell’articolo tenendo conto dell’estensione del comportamento omissivo non più alle sole ritenute «certificate», ma anche a quelle «dovute» sulla base della dichiarazione del sostituto d’imposta.

L’omesso versamento dell’IVA

Sostituendo l’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, l’art. 8 del decreto sanzioni ha elevato la soglia di punibilità del reato di omesso versamento dell’IVA da 50.000 a 250.000 euro per ciascun periodo di imposta.

In sostanza, tale articolo prevede l’applicazione di quanto previsto dall’art. 10-bis [omesso versamento di ritenute certificate] anche a chiunque non versa l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al successivo periodo di imposta.

La disposizione normativa punisce infatti con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo successivo, l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a 250.000 per periodo di imposta.

L’indebita compensazione

L’art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000 ha sostituito l’art. 9 del decreto sulle violazioni penali tributarie, distinguendo le due differenti ipotesi di:

  • indebita compensazione di crediti non spettanti – per la quale rimane ferma la pena previgente, da sei mesi a due anni, nei confronti di chi non versa le somme dovute;

  • indebita compensazione di crediti inesistenti, punita più severamente con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.

Per entrambe le fattispecie rimane ferma la previgente soglia di punibilità di 50.000 euro.

Nella seconda più grave ipotesi di reato, il limite massimo di pena superiore a 5 anni consente alla magistratura l’uso delle intercettazioni e della custodia cautelare.

Secondo quanto affermato nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 158/2015, devono escludersi dall’ambito applicativo della disposizione tutte quelle ipotesi in cui l’inesistenza del credito emerga direttamente da controlli automatizzati operati dall’Amministrazione, nonché le ipotesi di utilizzazione di crediti in violazione di regole di carattere procedurale non prescritte a titolo costitutivo del credito stesso.

La confisca

L’art. 10 del decreto sanzioni ha inserito nel D.Lgs. n. 74/2000 il nuovo art. 12-bis, in forza del quale nel caso di condanna o di patteggiamento [applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 del c.p.p.] per uno dei delitti previsti dallo stesso D.Lgs. n. 74/2000 è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo [cd. confisca obbligatoria], salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando non è possibile, la confisca per equivalente di beni per un valore corrispondente nella disponibilità del reo.

Questa previsione esplicita direttamente quanto già previsto – in forza del rinvio operato all’art. 322 – ter del codice penale [confisca obbligatoria a seguito di condanna per reati contro la P.A.] dall’art. 1, comma 143, della legge finanziaria 2008 [L. 24.12.2007, n. 244] – in materia di confisca obbligatoria per reati tributari.

A seguito dell’accoglimento della condizione contenuta nel parere delle Commissioni riunite della Camera, la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento, la confisca è invece sempre disposta.

Il pagamento del debito tributario

Per quanto disposto dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000, sostituito dall’art. 11 del decreto sanzioni, costituisce causa di non punibilità l’integrale pagamento – prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado – di tutte le somme dovute a titolo di imposta, sanzioni e interessi, per i reati di omesso versamento delle ritenute certificate [art. 10-ter], di omesso versamento dell’IVA [art. 10-bis] e di indebita compensazione di crediti non spettanti [art. 10-quater, comma 1].

Il pagamento degli importi dovuti può essere fatto anche mediante le procedure alternative al contenzioso, nonché attraverso il ravvedimento operoso2.

Il comma 2 dell’art. 13 nel testo attualmente vigente prevede che per i reati di dichiarazione infedele [art. 4] e di omessa dichiarazione [art. 5] la non punibilità scatta solo con l’integrale pagamento degli importi dovuti [debiti tributari, sanzioni e interessi], se il ravvedimento o la presentazione della dichiarazione avvengono prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Il pagamento può avvenire tramite il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa (nelle ipotesi di omessa presentazione) entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo.

Il parere delle Commissioni riunite del Senato richiedeva un eguale trattamento tra le ipotesi sopra menzionate [omesso versamento / indebita compensazione] e le fattispecie dichiarative [dichiarazione infedele ed omessa], con previsione anche nel primo caso di una valenza preclusiva dei controlli fiscali [controllo noto al contribuente = impossibilità di far valere la causa di non punibilità], ma il Governo non ha accolto tale indicazione in ragione dei profili di diversità ravvisati.

Il comma 3 prevede che nel caso in cui il contribuente, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, stia provvedendo all’estinzione del debito tributario mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti previste dall’art. 13-bis [introdotto dal successivo articolo 12 del decreto sanzioni], è data la possibilità allo stesso contribuente di pagare il debito residuo entro tre mesi, termine che può essere prorogato per ulteriori tre mesi dal giudice una sola volta, ferma restando la sospensione della prescrizione.

Le circostanze del reato

L’art. 12 del D.Lgs. n. 158/2015, come si diceva, ha inserito il nuovo art. 13-bis del D.Lgs. n. 74/2000, relativo alle circostanze del reato.

Il comma 1 del nuovo articolo prevede, al di fuori dei casi di non punibilità [di cui al precedente art. 13], la diminuzione delle pene fino alla metà [la norma previgente prevedeva la riduzione fino a un terzo], senza applicazione delle pene accessorie, nel caso in cui il debito tributario venga estinto mediante pagamento integrale prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, anche a seguito di procedure conciliative e di adesione all’accertamento.

A tale riguardo non è stata accolta l’osservazione formulata dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato, volta a prevedere l’applicazione della circostanza attenuante anche se il contribuente procede alla rateizzazione delle somme dovute o alla prosecuzione del pagamento rateale già concesso, in quanto ritenuta incoerente con la necessità che il debito sia estinto mediante integrale pagamento delle somme dovute.

Il comma 2 dell’articolo subordina la richiesta di patteggiamento per i delitti di cui al D.Lgs. n. 74/2000 al caso in cui sia stato pagato integralmente il debito tributario prima dell’apertura del dibattimento (comma 1), ovvero nel caso in cui sia stato esperito il ravvedimento operoso.

Da tale previsione sono escluse le ipotesi di cui all’art. 13, comma 2, ovvero i casi in cui l’autore dei reati di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione abbia avuto formale conoscenza dell’avvio di un procedimento penale o di un’attività di controllo.

A seguito dell’osservazione – accolta – cui alla lett. m) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato, il comma 2 dell’art. 13-bis è stato riformulato, al fine di fare escludere anche il caso in cui i debiti tributari sono stati estinti prima dell’apertura del dibattimento in primo grado, anche in seguito a conciliazione e ad accertamento con adesione, ovvero a ravvedimento operoso.

Per quanto stabilito dal comma 3 dell’articolo in esame, se il reato è commesso dal compartecipe nell’esercizio di attività di consulenza fiscale, esercitata da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione di modelli di evasione fiscale, le pene stabilite per il Titolo II del D.Lgs. n. 74/2000 sono aumentate della metà.

Ulteriori disposizioni

La custodia giudiziale dei beni sequestrati è preveduta dal nuovo art. 18-bis del D.Lgs. n. 74/2000, introdotto dall’art. 13 del D.Lgs. n. 158/2015.

In forza di tale disposizione normativa, i beni sequestrati nell’ambito dei procedimenti penali relativi a reati tributari, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possono essere affidati dall’autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi dell’amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative.

Le somme di denaro sequestrate e i proventi derivanti dai beni confiscati affluiscono al «fondo unico giustizia» [art. 61, comma 23, del D.L. 25.6.2008, n. 112; art. 2 del D.L. 16.9.2008, n. 143.

Infine, l’art. 14 del decreto sanzioni dispone l’abrogazione espressa di alcune disposizioni normative ormai contrastanti con le nuove norme contestualmente introdotte [artt. 7 (rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio) e 16 (adeguamento al parere del Comitato per l’applicazione delle norme antielusive) del D.Lgs. n. 74/2000 e art. 1, comma 143, della L. n. 244/2007 (confisca)].

17 marzo 2016

Fabio Carrirolo

1 Come è noto, il raddoppio dei termini – revisionato con il decreto certezza del diritto – o decreto abuso [D.Lgs. 5.8.2015, n. 128] – è stato successivamente accantonato a seguito della legge di stabilità 2016 [art. 1, commi 130 e ss., L. 28.12.2015, n. 208].

2 Nella versione innovata a opera della legge di stabilità 2015 [L. 23.12.2014, n. 190], il ravvedimento operoso è consentito a tutti i contribuenti e ha un’applicazione molto vasta, che consente di regolarizzare i comportamenti dei contribuenti in un lungo arco temporale salvo che non siano stati già notificati degli atti di liquidazione e di accertamento (comprese le comunicazioni da controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni). A seguito dell’estensione del ravvedimento, vengono superati anche alcuni strumenti deflattivi del contenzioso [definizione dei pvc e degli inviti al contraddittorio], mentre permangono l’accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale [oltre al reclamo – mediazione].