Il nuovo sintetico non copre il vecchio: il contraddittorio non era obbligatorio

per gli accertamenti sintetici – redditometrici che riguardano periodi d’imposta anteriori al 2009 il contraddittorio Fisco – contribuente, pur se opportuno, non era obbligatorio

contraddittorio_immagineCon la sentenza n.3885 del 26 febbraio 2016, la Corte di Cassazione ribadisce sostanzialmente due importanti principi:

  • allo stato attuale della legislazione non sussiste, nell’ordinamento tributario nazionale una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale; anzi, proprio le SS.UU. della Cassazione (sent. n. 24823/20151) hanno individuato, tra gli altri, un argomento asseverante a contrario, proprio, nel dato normativo dell’art. 22, c. 1, del D.L. n. 78/2010, convertito nella legge 122/2010, che ha introdotto l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale in tema di accertamento sintetico “con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto“;

  • il D.L. n. 78 del 2010, art. 22, c. 1, statuisce che le modifiche apportate al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, producono effetti “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto“, ossia per l’accertamento del reddito relativo a periodi d’imposta successivi al 2009 (cfr. Cass n. 21041/2014; ribadita da Cass. n. 22746/2015).

Nota

Le questioni che si annotano (sintetizzate nel titolo di questo intervento) sono sicuramente attuali e vive, e destano l’attenzione degli operatori.

Nel vecchio sintetico il contraddittorio, pur se opportuno, non era obbligatorio. E sul punto la Corte richiama il recente pronunciamento a SS.UU. (sent. n. 24823/2015) che rileva che nell’ordinamento nazionale non esiste, allo stato, un principio generale, per il quale, anche in assenza di specifica disposizione, l’Amministrazione sarebbe tenuta ad attivare il contraddittorio endoprocedimentale ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente; e ciò si ricava anche, indirettamente, dal fatto che il nuovo sintetico ha introdotto l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, “ risultando così asseverato a contrario, il convincimento che, allo stato attuale della legislazione, non sussiste, nell’ordinamento tributario nazionale, una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale”. Per la Corte, ancor più incisivo, nel senso indicato, è che la L. n. 23/2014, di delega al Governo per la riforma del sistema fiscale, inserisce tra i principi e criteri direttivi della delega la “previsione di forme di contraddittorio propedeutiche alla adozione degli atti di accertamento dei tributi” (cfr. l’art. 1 c. 1 lett. b), nonché il rafforzamento del “contraddittorio nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale” (v. l’art. 9 c. 1, lett. b).

In ordine alla seconda questione, già con l’ordinanza n.22744/2015 i supremi giudici avevano cassato la decisione del giudice di appello che aveva ritenuto applicabile al vecchio art. 38, del D.P.R. n. 600/73, il D.M. del 24 dicembre 2012, valevole, invece per le annualità dal 2009 in poi, in forza delle modifiche apportate dall’art. 22 del D.L. n. 78/2010, convertito con modificazioni nella legge n. 122 del 30 luglio 2010.

Successivamente, con l’ordinanza n. 1772 del 29 gennaio 2016 (ud. 26 novembre 2015) la Corte di Cassazione ha confermato che il nuovo sintetico non è retroattivo. Il D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, espressamente prevede che le modifiche che esso reca al testo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, abbiano effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto (vale a dire per gli accertamenti del reddito relativi ai periodi d’imposta successivi al 2009)”. Al riguardo la Corte richiama il contenuto della sentenza n. 21041/14, secondo cui “a) non sono in questione i principi sulla retroattività, giacchè la giurisprudenza che afferma l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione (fra le varie, Cass. n. 9539/13) non fa leva sulla retroattività, bensì sulla natura procedimentale delle norme dei decreti, che ne comporta l’applicabilità in rapporto al momento dell’accertamento; b) non è in questione il principio del favor rei, perchè l’applicazione di tale principio è predicabile unicamente al cospetto di norme sanzionatorie, non già allorquando si tratti dei poteri di accertamento oppure della formazione della prova, che sono appunto i piani coinvolti dal redditometro; c) la questione della individuazione della norma applicabile è questione di diritto intertemporale che, appunto, va a identificare, nella successione fra più norme, quella da dover applicare; ma il diritto intertemporale necessariamente recede a fronte alla esplicita previsione di diritto transitorio, sopra trascritta, che essa stessa identifica la norma applicabile”.

In particolare, l’ordinanza n. 22744/2015 fa leva sulla natura procedimentale delle norme contenute nei suddetti decreti. In queste ipotesi, il potere dell’ufficio di determinare sinteticamente il reddito sulla scorta di elementi e circostanze di fatto certi, consente il riferimento a redditometri contenuti in D.M. successivi, senza porre problemi di retroattività, poiché il potere in concreto disciplinato è quello di accertamento, rispetto al quale non viene ad incidere il momento dell’elaborazione2. Né, osserva la Corte, può ritenersi applicabile il principio del favor rei, invocabile solo in presenza di norme sanzionatorie, e non nell’ambito di poteri di accertamento.

Ma, in ogni caso, nei diversi pronunciamenti già emanati, viene evidenziato che è stato lo stesso legislatore a precisare l’ambito temporale di applicazione del nuovo accertamento sintetico.

Infatti, l’art. 22, c. 1, del D.L. n. 78 del 2010 stabilisce che le modifiche apportate all’art. 38 del D.P.R. n. 600/73 hanno effetto “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto” (con conseguente esclusione della validità per gli accertamenti relativi a periodi d’imposta anteriori al 2009).

Le nuove disposizioni si applicano, quindi, con riferimento agli accertamenti relativi ai redditi dichiarati per il 2009 e seguenti, superando il previgente impianto normativo, che rimane, tuttavia, in vigore per i controlli relativi ai periodi d’imposta precedenti. In pratica, è presente un doppio regime: ante e post annualità 2009.

Né è possibile il confronto fra i due strumenti, se più vantaggioso per il contribuente, come per gli studi di settore. Già nel corso di Telefisco 2013, l’Amministrazione Finanziaria, rispondendo ad un apposito quesito con il quale si chiedeva se per effetto dell’applicazione del nuovo redditometro il reddito complessivo risulta inferiore a quello calcolato coi vecchi coefficienti, poteva valere la regola, come per gli studi di settore, che il metodo più recente (evoluto e/o integrato) venga applicato se favorevole al contribuente, ha fornito una risposta negativa. Posizione, di fatto, successivamente confermata nella circolare n. 1/E del 15 febbraio 2013 (punto 1.3)3.

Nel sistema delineato dal decreto, non è presente, infatti, come rilevato dalla circolare n. 24/2013, una disposizione analoga a quella prevista dall’art. 5, c. 3, u.p., del D.M. 10 settembre 1992, il quale (nel far salvi gli accertamenti emanati sulla base del precedente D.M. 21 luglio 1983) aveva previsto che “Il contribuente può, tuttavia, chiedere, qualora l’accertamento non sia divenuto definitivo, che il reddito venga rideterminato sulla base dei criteri indicati nell’art. 3 del presente decreto). Al contrario, il nuovo decreto ribadisce che le disposizioni in esso contenute “si rendono applicabili alla determinazione sintetica dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009”.

Ciò determinato anche dalla portata innovativa del decreto4 che va, più in generale, considerata nella più complessiva rivisitazione dell’accertamento sintetico (diversa metodologia e fonti), laddove, invece, in materia di studi di settore, le procedure adottate sono tuttora comparabili.

Il decreto, infatti, come rilevato dalla circolare n.24/2013, “ha realizzato un effettivo intervento di sistema e non rappresenta la semplice evoluzione di una metodologia statistica di ricostruzione del reddito”, che tende a misurare la spesa complessiva ed effettiva del contribuente, in relazione al dichiarato, non guardando più al solo possesso/disponibilità di beni o investimenti in quanto tali.

17 marzo 2016

Gianfranco Antico

1 Il principio affermato è il seguente: Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto“.

2 Cfr. sent. n. 13776 del 31 maggio 2013 (ud. 9 maggio 2013), con cui la Corte di Cassazione ha confermato, ancora una volta, la legittimità dell’applicazione retroattiva dei decreti ministeriali, per il vecchio sintetico. Tale sentenza si pone sul solco di ulteriori precedenti pronunce (Cass. nn. 12731/2002, 14161/2003, 1797/2005, 19403/2005).

3 Il richiamo agli studi di settore non appare pertinente, atteso che in quel caso trattasi di evoluzione degli studi, tant’è che la circolare n. 30/E del 28 giugno 2011 ha evidenziato che gli studi di settore evoluti possono essere utilizzati ai fini dell’accertamento, ove più favorevoli al contribuente ed a richiesta del medesimo, anche con riguardo a periodi d’imposta precedenti quello della loro entrata in vigore (cfr paragrafo 2.1 della circolare n.23/E del 2006, richiamato anche dal paragrafo 5 della circolare n.34/E del 2010). Sul punto, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22599 dell’11 dicembre 2012 (ud. 8 novembre 2012) ha ritenuto, viceversa, obbligatorio per l’Amministrazione procedere all’applicazione dello strumento presuntivo più evoluto, richiamando e facendo proprio il pronunciamento a SS.UU. (sentenza n. 26635/09).

4 Anche nel Preambolo del D.M. 24 dicembre 2012 viene giustificata la riforma del metodo di accertamento con “la finalità di adeguare l’accertamento sintetico al contesto socio-economico mutato nel corso dell’ultimo decennio, rendendolo più efficiente”.