Le conclusioni dell’Avvocato Generale aprono le porte alla falcidia dell’Iva?

forse si apre un nuovo capitolo nella possibilità di proporre la falcidia IVA nelle procedure di concordato preventivo dopo le recenti conclusioni dell’Avvocato Generale della comunità europea…

La Corte di Giustizia, in diverse occasioni, ha chiarito che il diritto dell’Unione impone agli Stati membri di adottare tutte le misure legislative e amministrative idonee a garantire che l’imposta sul valore aggiunto dovuta nel loro territorio sia interamente riscossa. La misura della discrezionalità di cui godono a tal proposito è limitata dall’obbligo, in primo luogo, di garantire l’effettiva riscossione delle risorse proprie dell’Unione e, in secondo luogo, di non creare disparità di trattamento sostanziali tra i soggetti passivi, all’interno di uno Stato membro o fra gli Stati membri (principio di neutralità fiscale).

Nella domanda di pronuncia pregiudiziale il Tribunale di Udine chiede indicazioni, in sostanza, sulla questione se tali principi precludano ad uno Stato membro di accettare un mero pagamento parziale di un debito IVA da parte di un imprenditore in stato di difficoltà finanziaria, nel corso di un concordato preventivo basato sulla liquidazione del suo patrimonio.

Ricordiamo che la possibilità o meno di falcidiare o meno il debito IVA all’interno di una procedura concorsuale minore può essere un discrimine importante nella possibilità di evitare il “fallimento”; per esperienza comune le aziende in crisi nelle ultimi fasi di vita possono trovarsi nella condizione di non poter versare le imposte dovute, fra cui l’IVA. La necessità di versare per l’intero l’IVA in fasi di crisi, e di successivo concordato, ha rappresentato un problema per gli operatori, perché la rigidità della riscossione fiscale a fronte di patrimoni aziendali incapienti ha prodotto, come effetto, l’obbligo della procedura fallimentare.

Come noto, la liquidazione fallimentare in Italia ha rigidità e costi tali da far svalutare il patrimonio in procedura con notevole danno ai creditori che vedono prolungarsi di anni il momento dell’incasso e ridursi la massa attiva. Anche un privilegio fiscale elevato, a fronte di attivi incapienti rispetto alla massa creditoria, non genera un incasso.

Dai qui l’importanza delle conclusioni dell’Avvocato Generale Eleanor Sharpston, presentate il 14 gennaio 2016 nella Causa C-546/14, secondo cui “Né l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, né la direttiva 2006/12/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, ostano a norme nazionali come quelle di cui trattasi nel procedimento principale (NdR artt. 162 e 182-ter della legge fallimentare), qualora tali norme debbano essere interpretate nel senso di consentire ad un’impresa in difficoltà finanziaria di effettuare un concordato preventivo che comporta la liquidazione del suo patrimonio senza offrire il pagamento integrale dei crediti IVA dello Stato, a condizione che un esperto indipendente concluda che non si otterrebbe un pagamento maggiore di tale credito in caso di fallimento e che il concordato sia omologato dal giudice

23 gennaio 2016

Valeria Nicoletti e Luca Bianchi